Educazione interculturale ed educazione alla diversità: insegnare il relativismo culturale in classe

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da Orizzontescuola

di Myriam Caratù

Il termine educazione interculturale è apparso per la prima volta, ufficialmente nella scuola italiana, nel 1990 con la Circolare ministeriale del 26 luglio (n. 205) che trattava i temi dell’inserimento degli alunni stranieri all’interno delle classi e conseguentemente, appunto, l’educazione all’interculturalità.

Nella circolare si fornivano anche indicazioni circa la valenza interculturale di tutte le discipline e delle attività interdisciplinari, e si affermava che “l’educazione interculturale si basa sulla consapevolezza che i valori che danno senso alla vita non sono tutti nella nostra cultura, ma neppure tutti nelle culture degli altri; non tutti dal passato ma neppure tutti nel presente e nel futuro. Educare all’interculturalità significa costruire la disponibilità a conoscere e a farsi conoscere nel rispetto dell’identità di ciascuno in un clima di dialogo e di solidarietà”.

Relativismo culturale

Tali concetti prendono le mosse da quel che veniva definito – da parte dell’etnologo ottocentesco Franz Boas – relativismo culturale. Diametralmente opposto all’etnocentrismo – ovvero il concetto per cui si guarda alle altre società e culture con la lente e i preconcetti tipici della nostra – il relativismo culturale è diventato imprescindibile in capo etnologico. Si tratta infatti di un approccio “che contrappone l’analisi delle singole culture, storicamente e spazialmente determinate, alla loro analisi comparativa, finalizzata a individuare l’esistenza di principi comuni” (Treccani). Il riconoscimento della molteplicità culturale e delle differenze si traduce quindi in un riconoscimento della pari importanza di tutti i costumi (o culture) nell’organizzazione della vita e della società umana.

Obiettivi e buone prassi

Educare alla comprensione dell’altro richiede un agire sui piani:

  • cognitivo, costituito dalla conoscenza e dalle informazioni sul mondo e sugli altri;
  • affettivo, centrato sull’attenzione alla relazione, alle interazioni, alla storia di tutti e di ciascuno.

Le strategie didattiche da mettere in atto, dunque, dovranno perseguire gli obiettivi di entrambi i piani: o singolarmente o in maniera congiunta. In presenza di alunni stranieri classe (adottati da una famiglia italiana e non), i docenti dovranno dunque coinvolgere tutte le componenti scolastiche a vario titolo chiamate nel processo di inclusione di tali alunni, al fine di attivare prassi mirate a valorizzarne le specificità, a sostenerne l’inclusione e a favorirne il benessere scolastico. Tra l’altro essi:

  • proporranno attività per sensibilizzare le classi all’accoglienza e alla valorizzazione di ogni individualità;
  • manterranno in classe un atteggiamento equilibrato, evitando sia di sovraesporre gli studenti adottati sia di dimenticarne le specificità;
  • nell’ambito della libertà d’insegnamento attribuita alla funzione docente e della conseguente libertà di scelta dei libri di testo e dei contenuti didattici, porranno particolare attenzione ai modelli culturali in essi presentati;
  • nel trattare argomenti “sensibili” (quali la storia personale dell’alunno, la diversa cultura e religione, ecc.) informano preventivamente i genitori e adattano i contenuti alle specificità degli alunni presenti in classe;
  • se necessario, predispongono percorsi didattici personalizzati calibrati sulle esigenze di apprendimento dei singoli.

Strumenti operativi

Valorizzare le specificità e al tempo stesso evidenziare le comunanze è il metodo più efficace per educare all’interculturalità. In tal senso, le attività di confronto in classe, anche in forma laboratoriale, sono strumenti operativi che possono perseguire i già citati obiettivi sia sul piano cognitivo che affettivo. Un esempio può essere un progetto da portare avanti per il secondo quadrimestre: organizzare la merenda di fine anno per l’intera classe mettendo in risalto la personalità di tutti gli alunni. Tale compito può sembrare semplice, ma in realtà coinvolge tutte (o quasi) le discipline, se si pensa che:

  • a livello di scelte gastronomiche, va effettuata una ricerca (materia coinvolta in questo caso: storia) su quali siano le varie pietanze tipiche di ogni nazione a cui appartengono i vari alunni;
  • a livello di scelte di design (materia: arte e immagine), c’è bisogno di predisporre un invito – magari in diverse lingue (materia: lingua straniera) – in cui si evidenzi lo scopo dell’evento, i tempi e il luogo;
  • a livello di scelte oratorie, gli alunni dovranno preparare un discorso di benvenuto ai genitori o ai ragazzi delle altre classi invitate (materia coinvolta in questo caso: italiano), evidenziando il senso dell’iniziativa e il suo sostrato interculturale.
  • livello di logistica, gli alunni dovranno gestire tempi e costi secondo un budget a disposizione (materia coinvolta: matematica), per realizzare l’evento.

Tale attività avrà, in definitiva, anche un risvolto positivo sugli alunni in termini di gestione autonoma dei progetti (project managing) e di problem solving.