A. Nothomb, Sete

La Nothomb scrive di Cristo

di Antonio Stanca

   Quest’anno, a febbraio, la casa editrice Voland di Roma ha pubblicato la prima edizione italiana del romanzo Sete di Amélie Nothomb. La traduzione è di Isabella Mattazzi. Scrittrice belga in lingua francese, la Nothomb vive tra Bruxelles e Parigi dopo essere stata per un certo tempo in Giappone. Qui è nata nel 1967, qui si trovava allora la famiglia a causa degli spostamenti richiesti dall’attività diplomatica del padre. A Bruxelles Amélie ha compiuto gli studi universitari, in questa città dopo molto tempo si sarebbe stabilita definitivamente la famiglia senza che Amélie rinunciasse a stare pure a Parigi.

   Al 1992, al romanzo Igiene dell’assassino, risale il suo esordio letterario e d’allora non si sarebbe più fermata, avrebbe sempre scritto. Di narrativa, teatro, poesia sarebbe stata autrice, molte traduzioni avrebbero avuto le sue opere, molte trasposizioni cinematografiche, molto premiate sarebbero state. Il romanzo Sete è il suo ventottesimo, lo ha scritto l’anno scorso e allora è risultato secondo al Prix Goncourt. Anche qui come in altri romanzi la Nothomb è insolita, particolare, presenta situazioni e personaggi fuori dal comune per poi ricondurli entro i termini della logica, della regola. E’ la sua maniera di procedere, generalmente volta a rappresentare quanto di strano, difficile, complicato sia oggi sopravvenuto nella vita, nella società, nei rapporti individuali, sociali senza, però, lasciare che si giunga alla fine, alla rovina poiché capace sempre è la sua scrittura di riprendersi, tornare all’ordine, contenere il disastro. Ogni volta, in ogni opera, si arriva al limite, si sfiora la tragedia ma si riesce sempre ad evitarla, a fare un passo indietro, a salvarsi.    Anche in Sete la situazione è nuova, è quella di Cristo che discute sulla sua figura, sulla sua funzione, sulla sua vita, sulla sua morte, su Dio che lo ha voluto, su tutto quanto ha fatto parte di lui, lo ha costituito. Nell’opera della Nothomb sono tanti i problemi che Cristo si pone da sembrare una persona comune, da assumere una dimensione, un’espressione, una condizione quotidiana. Le vicende che attraversa, i luoghi, le persone della sua vita sono quelle che i Vangeli hanno trasmesso ma questa volta sono state riportate ad una misura più ridotta, più familiare. Cristo discute di quanto gli succede, di quanto gli viene detto, sembra uno dei tanti non l’unico, il solo. Altre cose si aggiungono alla sua figura, di altri pensieri, di altre azioni lo si vede capace, ad un processo di umanizzazione sembra che la Nothomb lo abbia sottoposto: non diverso ma come gli altri è, come loro fa. E’ una novità che alla fine, però, cessa di essere tale poiché la situazione rientra tra quanto stabilito, tramandato dalla tradizione religiosa. Torna Cristo ad essere unico, ad essere Dio dopo aver pensato e agito come uomo, recupera la scrittrice quanto tralasciato, accetta le regole di sempre. Momentanea è stata la loro inosservanza ma non inutile poiché è riuscita a far pensare quanto attendibile possa ritenersi un Cristo diverso.