La valutazione finale ai tempi del Covid 19

Riflessioni per Dirigenti Scolastici

di Fiorella Ricciardi e Ugo Vitti

I primi di giugno vedono l’avvio imminente degli scrutini, per tutte le scuole di ogni ordine e grado. Anche quest’anno sarà così, ma quest’anno l’emergenza fa sedere al tavolo dello scrutinio un nuovo componente, che non può, ma soprattutto non deve, essere ignorato. Il Covid 19, che ha pesantemente condizionato le vite di tutti i componenti della comunità educante, ha tuttavia consentito di aprire nuovi scenari e prefigurare un fare scuola diverso. Non bisogna perdere questa opportunità, a partire dalla valutazione di questo fine anno, per proiettarci nel futuro (immediato) del nuovo avvio e fare tesoro del tanto di buono che è emerso in questi mesi. 

A partire dall’evidenza di un nuovo “sentiment” (per usare una espressione stra – usata nei talk show) che attraversa la professione docente: l’importanza dell’empatia, passata da una parte all’altra dello schermo, e che ora, nella pratica valutativa, ma anche nella futura pratica didattica, non deve andare perduta! Che potenzialità ha espresso l’empatia, e quella cura dell’altro che nasceva dalla solidarietà! Il rapporto uno a uno ne risultava enfatizzato, valorizzato, una risorsa immediata, anche grazie alla tecnologia, a disposizione con un click, con una chiamata in causa, con una apertura di microfono, con una centratura dello schermo. 

E, ancora, il tema delle sedute sincrone o asincrone, il tempo lasciato per i lavori di gruppo, la funzione di guida ed

accompagnamento del docente; l’uso proprio (e ahime’, talvolta improprio) del silenzio ma anche dell’ascolto;  l’importanza della punteggiatura, quella relazionale, non quella grammaticale, ed altro ancora.

Tanto altro che non bisogna dimenticare di valutare in questa ultima tornata di scrutini, come insegnamento e come apprendimento.

Ecco allora che questo scritto è rivolto, innanzi tutto, ai colleghi Dirigenti, che guideranno i consigli di classe e poi il Collegio finale e che, in entrambe le circostanze, dovranno fare uso di competenza, saggezza e misura perché questi appuntamenti risultino propositivi e proattivi, capaci di leggere l’emergenza in senso propulsivo e “succhiarne” le indicazioni per tornare a scuola, a settembre, con maggiore consapevolezza e fiducia. I colleghi guideranno gli scrutini anche perché essi siano informati da quella ampiezza di sguardo, quella apertura di scenario, quella sensibilità empatica che, spontaneamente, molti docenti hanno messo in campo nella didattica a distanza e che ora non si deve perdere, non deve essere vanificata da contrapposizioni (non necessarie e nemmeno utili) tra valutazione formativa e valutazione sommativa, tra colombe e falchi, tra “giustizieri” e “indulgenti”, ma, viceversa, deve valorizzare la nuova prospettiva. 

Questo contributo si offre come “documento aperto” che i colleghi potranno, se vorranno, rivolgere ai Collegi o, quanto meno, considerare nella quotidiana attività di rielaborazione e riflessività che caratterizza il loro lavoro di direzione e gestione; si offre anche come stimolo per la costante ricerca e innovazione che non solo appartiene alla scuola dell’autonomia ma a ciascuno dei dirigenti che ne vive, con passione e partecipazione, le responsabilità.      

È giunto, alla fine, il momento della valutazione. Il dibattito è aperto e ci si chiede quanto e se dare spazio alla valutazione formativa rispetto a quella sommativa o viceversa. I dubbi – soliti, bisogna dire – di ogni fine anno, sono accresciuti dalle incertezze (sempre minori in realtà) circa l’apertura delle scuole a settembre, con il conseguente onere di recupero degli ammessi anche con voti poco convincenti e, ancora, sul giudizio finale da attribuire alla esperienza della didattica a distanza, peraltro iniziata in circostanze drammatiche. 

Ecco, allora, che con queste righe non si vogliono suggerire tecniche e metodologie, e nemmeno una facile soluzione del caso, quanto un punto di vista, con l’intento di sostenere la comune serenità e il lavoro futuro.

Mai come in questo caso, è necessario utilizzare qualche aforisma che guidi le riflessioni ed il primo che sembra opportuno è che “il cammino è la strada”. A dire che ripercorrere a ritroso quanto fatto, ma anche le aspettative, le emozioni e i sentimenti legati all’emergenza non potrà che darci la consapevolezza e la misura del da farsi.

La didattica a distanza è, infatti, iniziata in emergenza e non bisogna dimenticarne due aspetti fondamentali:

  • La comune e condivisa finalità prioritaria di mantenere la scuola vicina e presente per gli studenti e le famiglie: intento lodevolmente ed immediatamente individuato da docenti e dirigenti e poi perseguito con tenacia e fatica;
  • Le opportunità che, man mano che si è andati avanti, la nuova modalità ha dimostrato di possedere, al punto da manifestare adesso, con chiarezza, che sarebbe un peccato non giovarsi di tanta strada percorsa, sia pure nell’affanno, spesso, e nella diversità e, talvolta, discontinuità.

La terza cosa che non bisogna dimenticare è che la normativa che regola la valutazione non è cambiata (DPR 122/09 e d lgs 62/17), pur essendo completamente cambiato il contesto di riferimento; pertanto sta alle scuole, nella funzione docente, ovvero attraverso i propri docenti, ché di professionalità e di persone si tratta, evidentemente intesi in forma collegiale e pertanto deliberante, esprimere e saper correttamente interpretare le conseguenze di questo cambiamento totale e repentino di contesto e trasformarle in misurazioni e, infine, valutazione. Con lucidità e fermezza, ma anche tanta consapevolezza ed empatia.

Pertanto i punti che saranno sviluppati a seguire si limiteranno, si fa per dire, a tre, portatori però di ben articolate diramazioni.

Veniamo al primo punto. In pochi giorni dirigenti e docenti hanno dovuto assumere numerose decisioni: 

  • avere contezza della distribuzione di account e device;  
  • provvedere alla bisogna, insieme alla relativa assicurazione dei beni della scuola dati in comodato; 
  • decidere le ore di video sincrono/asincrono cui esporre gli alunni; 
  • sviluppare strategie (e le istruzioni) per il lavoro asincrono; 
  • proporre questionari o altri strumenti per conoscere le realtà delle famiglie prima o comunque contestualmente al “caderci dentro” attraverso il web (la fondamentale raccolta dati per attutire l’impatto);  
  • approntare un calendario credibile e non fotocopia (impossibile) di quello in presenza;
  • rintracciare/seguire gli alunni assenti, quelli “spazzati via” dall’emergenza, vaporizzati nella difficoltà;
  • immaginare che cosa potesse essere disponibile nelle case per l’esecuzione dei compiti/attività, senza richiedere impossibili uscite nel lockdown; 
  • scegliere lo strumento (piattaforma) di cui servirsi (dal registro elettronico, alle piattaforme gratuite – ahi!

la privacy!-, agli Educational);  

  • sviluppare competenze di gestione al riguardo;
  • produrre video per trasferire agli alunni le competenze di utilizzazione;
  • produrre video per trasferire ai genitori degli alunni più piccoli le competenze di utilizzazione;
  • stilare “Vademecum di comportamento in collegamento” (una sorta di netiquette) da proporre ai ragazzi; 
  • gestire la relazione con le famiglie, molto più “vicine” e “presenti” che non nella normale relazione scolastica;
  • essere consapevoli che non si doveva normalmente insegnare ma “fare coraggio”; attutire o almeno contenere l’ansia; offrire supporto; cercare le parole per dirlo e farlo dire ai genitori; sollecitare l’espressione e la gestione dell’angoscia; volgere al “fare” le risorse e le energie, per avere, almeno, riscontri positivi di un lavoro ben fatto in tanta desolazione;
  • limitare lo studio individuale e prediligere il “fare insieme”, soprattutto per i più piccoli;
  • valorizzare la metacognizione, dando sempre e comunque un feed back relativamente al lavoro svolto, per guidare e accrescere l’autovalutazione (ma anche l’autostima), anche nei più piccoli; 
  • decidere quanto fosse tollerabile (ma lo è per legge!) la telecamera spenta (che risponde, soprattutto per gli alunni adolescenti e preadolescenti, ad una conosciuta difficoltà di mostrarsi in continuità e rivendicata libertà di “gestirsi”);
  • essere “scudi di quiete”, “presidi di riti e miti”, agenti di “rassicurante routine” nella tempesta che infuriava.

Tutti, ovvero ciascuno, siamo stati tutto questo? Forse no, ma tutti insieme siamo stati tutto questo.  O avremmo voluto esserlo e moltissimi, se non proprio tutti, ci abbiamo tenacemente provato. Certo, oggi sappiamo che tutto questo – e anche altro – era il totale (o almeno una dignitosa e ragguardevole parte) che, vedendolo realizzato dopo, tutto insieme, era quello che andava fatto.

Questo per dire che ora, andando ad approcciare la parte finale di questo sconcertante anno, abbiamo una lista (anche incompleta) di quello che necessitava e possiamo considerarla alla luce di una incontrovertibile verità, quella per cui si valuta quello che “abbiamo messo” nei ragazzi e non quello che “ci abbiamo trovato”. Si valutano gli esiti (da ex – eo, tirare fuori, in latino) e non i risultati. Le azioni che sono state reputate necessarie e che pertanto in coscienza riteniamo di avere messe in campo, diventano così una checklist di quello che si deve andare a cercare per valutare. Valutiamo allora “quello che ci abbiamo messo”, con la giusta indulgenza per quello che non è stato possibile metterci, giacché l’emergenza c’è stata per tutti e sarebbe difficile ora pretendere da noi stessi di non averla avvertita come tale anche a livello personale e professionale. 

Il secondo punto riguarda le cose che abbiamo imparato noi, facendo “intanto che facevamo”. E sono state tante, appunto le opportunità cui si accennava sopra, che non possiamo impedirci di proiettare verso il futuro.

Intanto abbiamo imparato che lo schermo divide ma anche unisce. Gli studenti sono apparsi nella loro quotidianità familiare, più nudi ed esposti di sempre, anche loro malgrado. E, in fondo, anche noi, nelle nostre case e realtà private. Si è stabilito un rapporto più diretto ed umano, ciascuno nelle proprie piccolezze ed anche incapacità, a saperle vedere ed accettare. Molte cose le abbiamo imparate semplicemente osservando le loro inquadrature, essendo partecipi degli spazi che avevano a disposizione, dei colori e delle forme fra cui vivevano, dei silenzi e dei rumori con cui interagivano. Abbiamo imparato qualcosa di più di loro anche quando si nascondevano dietro una telecamera chiusa o un microfono spento e abbiamo anche imparato amaramente che i più fragili erano i più difficili da raggiungere e da “toccare” e che forse servivano delle catene virtuose per riuscire a stare loro vicino, catene fatte da più di un collega, da più di un operatore e dalla famiglia, concretamente insieme. Catene che ora bisogna preservare e badare bene di non sciogliere mai. 

Abbiamo imparato che anche le famiglie erano provate e quasi ci chiedevano aiuto e conforto; siamo stati per molte famiglie punto di riferimento e sicurezza. Abbiamo guadagnato in reputazione e credibilità.  Molti genitori non avevano mai, prima di questo momento, condiviso con i figli tanto tempo in prima persona, tanto tempo per conoscersi e per fare insieme. E lo hanno scoperto con noi questo tempo, quello che noi, nella normalità, trascorrevamo, invece, con i loro ragazzi. A molte famiglie abbiamo dato suggerimenti e consigli, quando richiesti. 

Tutti hanno sentito acutamente la mancanza di una cosa data fino a quel momento per scontata: la Scuola. Siamo stati capaci di farla risorgere, come l’araba fenice, anche dalle ceneri del lockdown.

La prof. Maria Ranieri, dell’Università di Firenze, ha trattato specificamente i tratti di unione e disunione della lezione attraverso il web.

L’ansia (reciproca: docente/discente) generata dal silenzio, dalle mancate risposte, dal personale senso di inadeguatezza rispetto al mezzo, dalla minore capacità di adattamento al cambiamento, dalla vulnerabilità anche tecnica dello strumento (“Mi senti? Mi vedi?”).

La differente gestione del tempo, che richiede maggiore ritmo, organizzazione competente degli spazi comunicativi (non supportati dall’uso del corpo, dal linguaggio della prossimità e dall’interazione), predisposizione di scalette e costante uso di messaggi fatici e di incoraggiamento (richiamo alla comunicazione socioemotiva e sociocognitiva a sostegno dell’apprendimento).

Anche a distanza, anzi, proprio a distanza, si sono percepite le richieste e le offerte di rapporto diretto da parte degli alunni – una nuova intimità -, sui fatti propri e sulle personali difficoltà, a saper vedere e a voler correre il rischio, da parte del docente, di una diversa vicinanza.

La funzione docente in quanto educatore ne è risultata esaltata, dirigendosi decisamente verso l’accoglienza, il “lasciare spazio”, la domanda non formale “come stai, oggi?”, l’ascolto (noi, spesso inseguiti ed anzi tallonati dal “dire” e dal “fare”, concentrati viceversa, e finalmente, sull’ascolto), l’incoraggiamento e la proiezione al futuro.

Ma a distanza, e immersi nell’ambiente della loro quotidianità famigliare, molti alunni, soprattutto i più giovani, appartenenti al primo ciclo, hanno manifestato comportamenti informali e a volte inappropriati, malgrado l’impegno dei docenti nella pubblicazione e nella costante rappresentazione della netiquette,   leggibili, adesso e per la valutazione finale, con il giusto equilibrio solo alla luce di quel ragionamento sugli “esiti” e non sui risultati che si faceva prima. Ovvero: più avremo lavorato con gli alunni nella conquista della nuova consapevolezza di presenza, più saremo legittimati nell’aspettativa di comportamenti consoni. Attenti, dunque, a non dare per scontata l’appropriatezza: è essa stessa un conseguimento, ovvero una competenza, nuova per giunta. Da annoverare tra gli indicatori del comportamento e della partecipazione.

A proposito di partecipazione, la comunicazione mediata dal computer è caratterizzata da altre dinamiche specifiche: l’accaparramento/marginalizzazione dipendenti dall’attenzione del docente rivolta ad un alunno; la conflittualità per guadagnare il protagonismo; la paura del giudizio dell’altro/altri; l’overload comunicativo; il senso di abbandono in conseguenza di battute perse; l’indecifrabilità e il fraintendimento non dichiarati per timidezza o senso di inadeguatezza.

Tutte cose che abbiamo imparato a conoscere, a maneggiare, più o meno avendone coscienza. Ma percependole, anche se non sempre capendole.

Ogni docente deve chiedersi ora, giunti in fondo al percorso, quanto e come ha lavorato su questi aspetti e quanto tempo e sforzo è stato necessario per metterli a fuoco e diventarne gestori consapevoli. Tutto ciò deve avere un riscontro concreto nella definizione di nuovi indicatori e descrittori di valutazione, sia disciplinare che educativa. Tutto quello che abbiamo detto fa parte di quel contesto, infatti, che il conferimento dell’autonomia nel lontano 2000 ci chiedeva di considerare e di declinare perché il servizio di istruzione più vicino al cittadino ne cogliesse i bisogni specifici ed organizzasse una risposta adeguata. E non c’è dubbio che il contesto definito da Covid 19 non è assomigliato in alcun modo a quanto di

precedentemente conosciuto. Così i vecchi indicatori, descrittori, livelli e le prove di valutazione debbono necessariamente essere rivisti.

E ancora, cogliendo spunti forniti dalla prof. Lucangeli dell’Università di Padova: non ci ha forse dato, l’esperienza della didattica a distanza, una maggiore e più diffusa consapevolezza della necessità di nutrire gli aspetti “caldi” del processo apprenditivo; di porsi accanto e non davanti a chi sta imparando; di accompagnare lo sviluppo del potenziale di ciascuno e non di dirigerlo; di costruire una alleanza solidale con l’alunno contro l’errore e non con l’errore contro l’alunno?  

E, a ben guardare, possiamo allora riconoscere in ciò il traguardo finalmente raggiunto di essere diventati veri maestri, quelli che puntano alla competenza ed alla consapevolezza degli studenti, cogliendo l’opportunità di rovesciare finalmente un rapporto con loro cristallizzato da troppo tempo ma ormai non del tutto e/o non più sempre adatto; a dire: non sono io docente il protagonista del tuo apprendimento, sei tu, io sono qui per aiutarti e lavorare insieme. 

Elemento essenziale di questo nuovo approccio del docente: la fiducia, nelle persone e nel futuro; elemento essenziale: la presenza emotiva che rende credibile e condivisibile la speranza. 

Obiettivo essenziale: farli innamorare del loro potenziale, del loro apprendimento, del differenziale di coscienza e di competenza che possono guadagnare.

Se puntiamo tutto sulla consapevolezza e la condivisione, non ha più senso “sorvegliare” chi copia o si aiuta; la assenza di consapevolezza è un parametro di valutazione, un obiettivo apprenditivo; un criterio da condividere. 

Questa straordinaria, praticata e conquistata progettazione e realizzazione per competenze non si può perdere, ora che l’abbiamo finalmente vissuta. Non solo non va perduta, ma va rafforzata trasfondendola coerente in tutti i passaggi del mestiere, valutazione in primis. 

Ci avviamo verso l’ultimo punto del ragionamento, così riassumibile: e allora, cosa facciamo per la valutazione?

La risposta è inderogabile: quello che la norma ci richiede, quello che facevamo prima, ma con strumenti affinati a fronteggiare il contesto del tutto cambiato in cui ci siamo trovati. 

Se finora e con riferimento, anche in questo scritto, al processo della didattica a distanza, si è privilegiata, per dirlo in estrema sintesi, un’ottica di valutazione formativa, richiamata allorché abbiamo parlato di feed back costanti agli studenti (Nota n. 388 del 17 marzo 2020 «Se l’alunno non è subito informato che ha sbagliato, cosa ha sbagliato e perché́ ha sbagliato, la valutazione si trasforma in un rito sanzionatorio, che nulla ha a che fare con la didattica, qualsiasi sia la forma nella quale è esercitata. Ma la valutazione ha sempre anche un ruolo di valorizzazione, di indicazione di procedere con approfondimenti, con recuperi, consolidamenti, ricerche, in una ottica di personalizzazione che responsabilizza gli allievi, a maggior ragione in una situazione come questa»), di supporto alla metacognizione, di sostegno alla consapevolezza ed all’autovalutazione, di relazione attraverso il video, di cura della warm cognition, è pur vero che in tutto il periodo, più o meno sistematicamente, più o meno ordinatamente e/o con l’aiuto di griglie, rilevazioni o di semplice memoria (documentata però, che la documentazione è la base essenziale della valutazione), si sono raccolti dati che ora vanno trasformati prima in misurazioni e poi in voto, ovvero in valutazione sommativa.

Risulta utile, ed anzi necessario, specificare che i dati raccolti possono non essere affatto dei voti, la norma è chiara in questo senso e non a caso si è parlato di griglie: possono essere aggettivi capaci di descrivere atteggiamenti e comportamenti; semplici misurazioni numeriche riguardanti la soluzione di item; brevi sintesi capaci di descrivere il lavoro organizzativo e finale di un gruppo di studenti; descrizioni di prodotti singoli o collettivi (realizzazioni artistiche, ad esempio). Ogni scuola avrà declinato, attraverso le delibere collegiali, a quali adattamenti necessitati dalla didattica a distanza dovessero essere sottoposte le rilevazioni dei dati. Ogni Collegio avrà elaborato le prove/strumenti da utilizzarsi e i nuovi indicatori capaci di corrispondere alla raccolta sintetica di quelle prove ma, ancor di più, capaci di accogliere la competenza scaturita dalla didattica a distanza. Ed è una competenza diversa, sia sotto il profilo disciplinare che educativo.

Tuttavia la parola “magica” che dovrebbe contraddistinguere la valutazione di questo anno speciale, credo debba essere proprio “accogliere” nel senso più ampio possibile: accogliere l’alunno nel percorso nuovo intrapreso e valorizzare ciò che può essere valorizzato del suo percorso di crescita.   

Partiamo comunque dal secondo profilo, il profilo educativo, ovvero la valutazione del comportamento, che appare più direttamente ed intuitivamente conseguente rispetto alle numerose considerazioni svolte in precedenza.

Quante nuove circostanze, collegate a nuovi comportamenti, apprendimenti e competenze hanno dovuto affrontare i nostri alunni?

Ne abbiamo indicate alcune: 

  • Il rispetto della netiquette;
  • La puntualità nel collegamento;
  • La disponibilità alla partecipazione e all’adattamento;  
  • La competenza del contenimento dell’ansia da schermo;
  • L’intervento regolato dalla mano alzata;
  • L’ascolto dei compagni oltre che dell’insegnante;
  • La tolleranza dell’ansia da giudizio (che diranno di me se…);
  • La collaborazione, anche silenziosa;
  • L’autonomia operativa in asincrono;
  • La cooperazione on line;
  • La costanza, la tenacia, l’impegno;
  • L’apertura e la manifestazione di sé (disponibilità a mostrarsi per quel che si è);
  • L’impegno all’autovalutazione;
  • La maturazione della consapevolezza del percorso proposto; 
  • Il conseguimento della propositività e del coraggio; – ……..

Ed altre potrebbero aggiungersene. 

Sono questi, o altri, i nuovi indicatori che “narrano” la Cittadinanza. Ai Collegi spetta la determina, ma tutti i docenti sono chiamati a concorrere attivamente alla definizione ed alla declinazione in descrittori e livelli, a partire dall’esperienza effettuata. E’ un esercizio di presa di coscienza dell’esperienza che si è vissuta, prima che un processo dovuto alla trasparenza della valutazione.

Non diversamente per le discipline o, meglio, gli ambiti disciplinari. Che non si è trattato, per gli studenti, anche in ragione, ed anzi proprio in ragione, delle prove prescelte, di sostenere le interrogazioni rituali, ma di organizzarsi; rielaborare; documentarsi; raccogliere e/o valutare materiali, fonti e punti di vista; guadagnare autonomia di giudizio, singolo o di gruppo; pervenire ad un prodotto; risolvere problemi complessi; acquisire un’ottica trasversale alle discipline ed alle loro epistemologie per giungere a minimi comuni denominatori di linguaggi e processi da applicare ai costrutti. Insomma, di imparare ad imparare in modi e circostanze nuove e mai sperimentate; individuare, acquisire e gestire lessici specialistici; affrontare problemi in ottica proattiva e risolutiva; assumere decisioni e responsabilità di giudizio: insomma, il prototipo della competenza.

Allora i nuovi indicatori, da attribuire anche a compiti multidisciplinari, ovvero complessi e capaci di apportare dati a più discipline, potrebbero essere:

  • Capacità di concentrazione;
  • Capacità di individuare e utilizzare lessici specifici;
  • Capacità di sostener il proprio punto di vista con argomentazioni ed esempi;
  • Capacità di mutare il proprio punto di vista a seguito di un confronto;
  • Capacità di effettuare transazioni e giungere a decisioni condivise;
  • …………………………..

Nell’ingegnarci a trascinarli nell’amore per il loro apprendimento, li abbiamo avviati verso prove sempre più operative e concrete (quei compiti di realtà su cui in passato tanto si è discusso), ed è ora necessario ridisegnare il circolo virtuoso tra “quel che ci abbiamo messo” , gli esiti apprenditivi registrati (l’incremento o differenziale di valore in esito) e le prove / strumenti di accertamento prescelti, per pervenire ad una valutazione sommativa in senso proprio, non l’espressione di una media ma il risultato di un prodotto sempre superiore agli ingredienti utilizzati. Si intende dire che anche la valutazione sommativa disciplinare deve contenere in sé i caratteri di trasversalità che connotano la vita reale e le conoscenze e capacità ad essa applicate.

Insomma, quel che si vuol affermare, concludendo, è che l’approccio alla valutazione di questo fine d’anno non potrà essere quello degli anni passati e che, anzi, forse quello degli anni passati non potrà e giovevolmente non dovrà essere usato più in futuro, ferme restando le responsabilità e pertinenze del corpo docente: “La valutazione e’ espressione dell’autonomia professionale propria della funzione docente, nella sua dimensione sia individuale che collegiale, nonché dell’autonomia didattica delle istituzioni scolastiche.” (DPR 122/2009).

Quel che si vuol dire è che la “media” dei voti ha sempre meno senso e non misura l’accrescimento di consapevolezze determinato dalla didattica a distanza. E nemmeno dalla didattica in presenza. E che l’occasione ha consentito di scoprire un modo diverso di fare scuola come nuove possibilità date agli studenti di costruire consapevolmente il loro sapere. A queste nuove prospettive deve conformarsi la valutazione sommativa di fine anno, sintetizzata in voti ma in voti che ricostruiscono un percorso e danno conto di un progresso, attraverso la considerazione più ampia ed empatica delle esperinze maturate da ciascuno. 

Quel che si vuol dire è che, vivendo all’epoca del Covid, è capitato alla Scuola di saltare il fosso dove prima ci si era presentati esitanti e reticenti e di ritrovarsi sull’altra sponda del medesimo fiume, con qualche sicurezza in più e senz’altro uno sguardo diverso. Lo sguardo di chi sa di aver perso un ruolo totalizzante ma di averne guadagnato uno più solidale, ecologico, realistico e produttivo; di aver perso il ruolo di insegnante per aver guadagnato quello di “maestro”.