Il mio quattro giugno

Il mio quattro giugno (estratto dal mio “Balilla Moschettiere”)

di Maurizio Tiriticco

…Eravamo vicini, vicini alla fine, all’inizio di un nuovo giorno? Speravamo? Eravamo certi? Era difficile essere ottimisti, e si ascoltava la radio, anche Radio Londra… quei messaggi speciali, di cui non capivamo mai il significato. Poi agli inizi di giugno più nulla… I tedeschi c’erano ancora? Non c’erano più? Era difficile a dirsi. Da un quartiere all’altro della città si incrociavano le telefonate, ma la prudenza era sempre d’obbligo… In tutti i quartieri vigeva solo il silenzio! Niente passi marziali… perché i tedeschi anche in libera uscita marciavano, e sempre con lo stesso passo, a testa alta e con le facce aggrondate. Niente passi marziali, niente tedeschi! Davvero non c’erano più tedeschi a Roma? O stavano chiusi a doppia mandata nelle loro caserme?

2 giugno… niente, 3 giugno, niente, 4 giugno, niente… No! No! No! SIII!!! In serata una telefonata dal quartiere San Giovanni a un coinquilino: «So’ arivati l’americaniii!!! Ammazzeli, quanti so’!!! Ce so’ carri armati, camion, autoblinde, auto scoperte, piccole,  veloci, tante, tutti in fila… ammazza che sordati… rideno… e salutano pure…». La notizia si diffuse prestissimo, di pianerottolo in pianerottolo, di scala in scala, ma parole solo sussurrate… Il sottovoce era d’obbligo! Era vero? Era uno scherzo? Come mai qui da noi niente? Solo un grande silenzio in una bella notte serena. Con la luna di sempre…

Una notte insonne… avemmo altre conferme sempre dai quartieri di Roma Sud, ma a Roma Est niente, solo un silenzio di piombo, dietro le finestre o sulla grande terrazza del palazzo… e neanche un colpo di fucile… come erano entrati? Roma era città aperta, c’era pure il Papa, ma… con i tedeschi c‘era poco da scherzare…Possibile? Avevano lasciato Roma, così, senza ferire, senza neanche un colpo di fucile?

All’alba uno scoppio tremendo, poi qualche colpo di fucile, una sparatoria, lontana, veniva da Monte Sacro, poi il silenzio. Che era successo? 

Alle prime luci del mattino cominciammo pian piano a mettere il naso fuori della finestra e a uscire di casa, prima due a due, poi sempre di più, alle 8 eravamo tutti fuori casa! La Via Nomentana si animava, si animava sempre di più, e tutti verso Monte Sacro, verso il ponte sull’Aniene, non quello vecchio, quello romano su cui passa la Via Nomentana, quello nuovo, il Ponte Tazio, degli anni Venti, che collega la città alla Città Giardino, un quartiere tutto nuovo, tutte villette e, ovviamente giardini.

Il ponte Tazio si presentava con uno squarcio terribile. Era impraticabile alle auto, non ai pedoni. I tedeschi in fuga avevano tentato di farlo saltare. C’era stato un conflitto a fuoco. Ricordo una jeep – non sapevamo ancora che certi mezzi veloci degli americani si chiamavano così – a fianco sulla strada con il muso sul marciapiede; un gran telone la ricopriva e da un lato fuoriusciva lo stivaletto di un militare. Una piccola folla intorno. Un militare americano ucciso nel conflitto a fuoco dell’alba. Poi giunse un altro mezzo americano e portò via jeep e il soldato morto. LA FINE DELLA GUERRA… tutti pensavamo così! LA FINE DELLA GUERRA, anche quella personale, che ciascuno di noi lì presenti aveva subito.

Quel cinque giugno fu una gran festa! Quale meraviglia! Quali meraviglie! Soldati con divise a noi sconosciute! Tutti in camicia! E che belle stoffe! Niente grigioverde, niente fasce ai polpacci! Niente scarpe chiodate! Scarponcini leggeri, elastici! E poi volti sereni! Bei ragazzi, ridenti, alti, ben nutriti! Con la barba fattaaa!!! Divise semplici, comode, pulite! E sembravano disarmati… E parlavano con noi, volevano parlare e cantavano e volevano che noi cantassimo. Canzoni napoletane e poi “Oi Marì, oi Marì, quante notti ho passato con te”, e “O sole mio…” e distribuivano sigarette e gomme americane, quelle a barretta, incartate, bellissime, non quelle a palline colorate, a cui eravamo abituati e che sembravano biglie.

Passavano e passavano camion militari con le radio accese… ma non erano canzoni di guerra… e i soldati ci lanciavano sigarette tavolette di cioccolato, merendine, ed erano sempre ridenti! Non sembravano soldati in guerra! E c’erano pure soldati negri – allora non dicevamo neri – anche loro ridenti… 

E poi non capivamo chi fossero gli ufficiali e se ci fossero. Erano tutti vestiti allo stesso modo. Mai un saluto militare! Ma chi li comandava? Poi capimmo che i graduati avevano una spilletta particolare sul collo della camicia. E parlavano con i soldati semplici come fossero vecchi amici, senza nessuna di quelle formalità a cui eravamo abituati. Da noi sempre scattare, sempre sbattere i tacchi, sempre sull’attenti di fronte a un graduato, che fosse un caporale o un generale! Noi avevamo altre abitudini! “Heil Hitler”, oppure “Saluto al Duce”! Sempre saluti romani! O militari! I soldati americani non scattavano sull’attenti quando passava un graduato! Cominciavamo a toccare con mano la democrazia… Allestirono un campo nella pinetina tra la Via Nomentana vecchia e Corso Sempione, poi in pochi minuti piazzarono una batteria di cannoni sul pratone costeggiato dall’ansa dell’Aniene,… e cominciarono a sparare in direzione nord contro i tedeschi in fuga. Partivano i proiettili e chissà dove arrivavano….

Roma, 4 giugno 1946/2020