Per una valutazione equa meglio esami centralizzati

da Il Sole 24 Ore

di Andrea Gavosto

Scrivendo dell’esame di maturità in questo terribile anno scolastico funestato dal Covid-19, le riflessioni sull’emergenza inevitabilmente si intersecano a quelle che possono essere utili su un orizzonte temporale più esteso.

Dal punto di vista degli studenti, in fondo c’è poco da aggiungere a quanto si va dicendo da settimane. Si troveranno a fare – in presenza, salvo nuove emergenze – un’unica prova e tutta diversa da quella attesa. Più facile, probabilmente, ma per altri versi più disagevole, venendo dopo settimane di didattica a distanza. Quest’ultima è stata improvvisata con generosità e proseguita spesso con perseveranza. Certamente, però, gli esiti sono stati difformi e temiamo abbiano accentuato i divari già esistenti: lo studente con un buon rendimento, ne ha sofferto poco; quello che faticava, è stato ancor più penalizzato.

So di andare controcorrente: la retorica della “notte prima degli esami” non mi emoziona né credo alla maturità come rito di passaggio, momento fondante e irripetibile della crescita personale di un giovane. Quest’anno, con il virus, “irripetibile” lo sarà davvero, almeno c’è da sperarlo. Come speriamo che ciascun candidato porti a termine la prova senza ansie e brutti ricordi. E dando il massimo.

Dal punto di vista dei docenti, possiamo rilevare alcuni segnali d’allarme. Non ero uno strenuo partigiano dell’esame di maturità in presenza. Di sicuro, però, sono certo che organizzarlo a giugno in presenza sia, dal punto di vista della sicurezza, infinitamente più facile di quanto sarà gestire la riapertura delle scuole di tutti i gradi fra tre mesi. Non può, dunque, che preoccupare la difficoltà – nel momento in cui si scrive non ancora superata – a reperire in diverse regioni tutti i presidenti di commissione. E si comincia a temere che un numero cospicuo di docenti non si presenterà per il timore del contagio. Non è questione di condividere o censurare scelte individuali. Piuttosto, governo e ministero dell’Istruzione devono interpretarlo come un ammonimento. Le regole di ingaggio per la riapertura a settembre vanno discusse oggi e a tutti – dirigenti scolastici, docenti e il resto del personale – devono essere chiare tanto le responsabilità a cui sono chiamati quanto le tutele a cui avranno diritto.

Infine, non si può evitare di porre la questione del valore dell’esame di Stato al termine del secondo ciclo di istruzione. Nonostante tentativi di riforma susseguitisi da decenni – prevalentemente dedicati alla composizione delle commissioni e alla struttura/modalità delle prove – la maturità non riesce a svolgere in modo soddisfacente le sue funzioni.

Con il 99,7% dei diplomati nel 2019, di sicuro non sa selezionare i più capaci. L’aspetto più grave, tuttavia, è che l’esame di Stato non sia in grado di inviare segnali affidabili sull’effettiva preparazione degli studenti esaminati. Ad esempio, nel 2019 la votazione 100 con lode ha premiato il 3,4% degli studenti pugliesi e il 2,6% dei calabresi, mentre nemmeno l’1% degli studenti lombardi ha raggiunto tale traguardo. Si tratta di segnali in contraddizione con i risultati delle prove Pisa sui quindicenni e delle prove Invalsi al quinto anno delle superiori. Segnali che ci ricordano la discrezionalità nel giudizio delle commissioni, tale da rendere i voti inconfrontabili non soltanto fra regioni, ma anche fra commissioni diverse nello stesso istituto. Non stupisce perciò che atenei e datori di lavoro non basino su di essi le proprie scelte, con la proliferazione di altri strumenti di selezione, come i test di ingresso all’università.

Quali vie d’uscita? In molti paesi – dagli Stati Uniti all’Estonia – si adottano esami di fine percorso nazionali e centralizzati (central exams), con conseguenze positive per la carriera futura dell’intera popolazione studentesca. Le prove di un central exam tipicamente: a) sono comuni a tutti gli studenti in un determinato grado del sistema scolastico; b) offrono una misura di apprendimento comparabile, definita sulla base di uno standard di valutazione esterno e comune alle scuole, non influenzato da considerazioni locali e riferite alle performance degli altri studenti nella singola scuola o classe; c) offrono un’indicazione precisa del reale livello di apprendimento dello studente (il giudizio non si limita a ritenere la prova superata o non superata); d) sono organizzate per discipline e i contenuti delle stesse sono ancorati a un curricolo condiviso da tutte le scuole. L’esame di Stato italiano evidentemente non rispetta le prime due fondamentali condizioni.

Esiste evidenza di ricerca del fatto che l’adozione di esami nazionali centralizzati produca sostanziali miglioramenti nell’efficacia educativa: a parità di altre condizioni, i Paesi che adottano questa tipologia di verifica degli esiti formativi ottengono in media punteggi migliori nelle rilevazioni internazionali degli apprendimenti e delle competenze. Soprattutto, la loro superiorità rispetto alla soluzione italiana è di garantire allo studente il diritto a una valutazione davvero equa dei propri livelli di apprendimento, in vista del proseguimento degli studi o dell’ingresso nel mercato del lavoro.