10 giugno 1940! Finalmente la guerra!

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10 giugno 1940! Finalmente la guerra!

di Maurizio Tiriticco

estratto dal mio “Balilla Moschettiere


L’anno 1940 fu un anno importante per me e per tutti noi! Ci meravigliavamo del fatto che ancora non fossimo entrati in guerra! La Francia era lì… e nelle nostre canzoni del sabato pomeriggio: “Se ci viene il mal di pancia, piglieremo anche la Francia”! Adunate e marce! E si cantava! Rivendicavamo “Nizza, Savoia, la Corsica fatal”!!! E poi anche “Tunisi nostra sponda terra e mar”! “Malta baluardo di Romanità”! Ed ancora! “Di Malta lo strazio grida nel cuore d’Italia, l’audacia che irrompe e sfonda, britannici navigli schianterà”. E poi c’era Gibilterra e Suez, l’accesso vietato all’Atlantico e al Mar Rosso e all’Oceano Indiano! A noi era vietato, a noi che con le guerre puniche avevamo affondato non solo una flotta, ma un’intera civiltà – si fa per dire… confronto alla nostra… – Cartagine! E cantavamo: “Va’, gran maestrale! Urla, romba, ruggi con furor: stranier, via! Duce col rostro che Duilio armò, Roma, fedele a Te, trionferà!” L’attesa era snervante e avevamo tutti – noi balilla ovviamente – una gran voglia matta di menar le mani! Che cosa aspettavamo?

Ma l’attesa fu finalmente ripagata!!! Il 10 giugno… che giornata, ragazzi…  adunata a Piazza Venezia! E IO NON C’EROOO!!! E la sera di quel 10 giugno più fatttidddico – le doppie e le triple fanno tanto la cadenza mussoliniana – … grande discorso del Duce dallo storico balcone! Le adunate oceaniche di Piazza Venezia a noi abitanti del Lido di Roma – Ostia, più  modestamente – mancavano tanto! Il Lido di Roma era lontano di fatto, anche se il treno in poco più di mezz’ora ci portava a Porta San Paolo. Ma non era facile organizzare viaggi di manipoli di Balilla e Piccole Italiane dal Lido a Roma e viceversa! Roma per noi e Piazza Venezia, soprattutto, erano solo un sogno! Sapevamo che i balilla della Capitale montavano la guardia a Palazzo Venezia in certe occasioni e noi, balilla di periferia, morivamo di invidia! Ascoltavamo i discorsi del Duce alla radio e poi attendevamo con ansia che al cinema – il Cinema Impero, così si chiamava il cinema del Lido di Roma – giungessero i Giornali Luce!

Quel discorso fu memorabile! A memoria lo ricordo! Almeno penso!!! A scuola i discorsi più importanti li imparavamo a memoria! Anzi… ammmemoriaaa! Ma quello fu il più importante di tutti! Lo ascoltammo alla radio, io e i miei! Io sussultavo di gioia, di orgoglio! Sapevamo un po’ tutti che prima o poi saremmo dovuti scendere in campo contro i nemici di sempre! Francia e Inghilterra, che ci avevano imposto la vittoria mutilata! Che avevano mille colonie! Che erano potenze massoniche, giudaiche e plutocratiche… ecc. ecc. Un odio che covavo anch’io, nel mio piccolo! I miei genitori ascoltavano in silenzio, io gioivooo!!! A ogni parola del mio Duce, a ogni applauso, a ogni grido di giubilo della folla di Piazza Venezia! Non la vedevo, ma la immaginavo e la invidiavo! Mancare in quell’occasione, in quell’ora… irrevocabile – l’enfasi ci vuole – era per me molto molto molto doloroso! Che discorso quel discorso! Durò molto a lungo, perché la folla interrompeva in continuazione, applaudiva, era fuori di sé e gridava: Guerra! Guerra! Guerra! Duce! Duce! Duce!  Un discorso netto e chiaro, ma anche irrevocabile e duro… aggettivi che piacevano allora! Ecco il discorso… memorabbbileee!!!  Per intero!!!

“Combattenti di terra, di mare e dell’aria! Camicie nere della rivoluzione e delle legioni! Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del regno d’Albania! Ascoltate! Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso insidiato l’esistenza medesima del popolo italiano. Alcuni lustri della storia più recente si possono riassumere in queste frasi: promesse, minacce, ricatti e, alla fine, quale coronamento dell’edificio, l’ignobile assedio societario di cinquantadue Stati. La nostra coscienza è assolutamente tranquilla. Con voi il mondo intero è testimone che l’Italia del Littorio ha fatto quanto era umanamente possibile per evitare la tormenta che sconvolge l’Europa; ma tutto fu vano. Bastava rivedere i trattati per adeguarli alle mutevoli esigenze della vita delle nazioni e non considerarli intangibili per l’eternità; bastava non iniziare la stolta politica delle garanzie, che si è palesata soprattutto micidiale per coloro che la hanno accettate; bastava non respingere la proposta che il Führer fece il 6 ottobre dell’anno scorso, dopo finita la campagna di Polonia. Oramai tutto ciò appartiene al passato. Se noi oggi siamo decisi ad affrontare i rischi e i sacrifici di una guerra, è perché l’onore, gli interessi, l’avvenire fermamente lo impongono, perché un grande popolo è veramente tale se considera sacri i suoi impegni e se non evade dalle prove supreme che determinano il corso della storia. Noi impugniamo le armi per risolvere, dopo il problema risolto delle nostre frontiere continentali, il problema delle nostre frontiere marittime; noi vogliamo spezzare le catene di ordine territoriale e militare che ci soffocano nel nostro mare, poiché un popolo di quarantacinque milioni di anime non è veramente libero se non ha libero l’accesso all’Oceano. Questa lotta gigantesca non è che una fase dello sviluppo logico della nostra rivoluzione; è la lotta dei popoli poveri e numerosi di braccia contro gli affamatori che detengono ferocemente il monopolio di tutte le ricchezze e di tutto l’oro della terra; è la lotta dei popoli fecondi e giovani contro i popoli isteriliti e volgenti al tramonto, è la lotta tra due secoli e due idee. Ora che i dadi sono gettati e la nostra volontà ha bruciato alle nostre spalle i vascelli, io dichiaro solennemente che l’Italia non intende trascinare altri popoli nel conflitto con essa confinanti per mare o per terra. Svizzera, Jugoslavia, Grecia, Turchia, Egitto prendano atto di queste mie parole e dipende da loro, soltanto da loro, se esse saranno o no rigorosamente confermate. Italiani! In una memorabile adunata, quella di Berlino, io dissi che, secondo le leggi della morale fascista, quando si ha un amico si marcia con lui sino in fondo. Questo abbiamo fatto e faremo con la Germania, col suo popolo, con le sue meravigliose forze armate. In questa vigilia di un evento di una portata secolare, rivolgiamo il nostro pensiero alla Maestà del Re Imperatore che, come sempre, ha interpretato l’anima della patria. E salutiamo alla voce il Führer , il capo della grande Germania alleata. L’Italia, proletaria e fascista, è per la terza volta in piedi, forte, fiera e compatta come non mai. La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola e accende i cuori dalle Alpi all’Oceano Indiano: VINCERE! E VINCEREMO, per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all’Italia, all’Europa, al mondo. Popolo italiano! Corri alle armi, e dimostra la tua tenacia, il tuo coraggio, il tuo valore!”

Ho evitato le interruzioni continue di applausi e grida: Duce, Duce, Duce… Sei tutti noi… Guerra, guerra… Vincere, vinceremo… e via dicendo, anzi, gridando… Ed io avevo il cuore in subbuglio…