La scuola umiliata

da La Stampa

Chiara Saraceno

Iniziare le lezioni il 14 settembre per poi interromperle subito per consentire lo svolgimento delle elezioni regionali, oppure rimandare l’inizio delle lezioni a dopo le elezioni.
Questa sembra essere l’unica alternativa possibile alla ministra dell’Istruzione, ma anche alle regioni. Sembra assurdo, ma è così. A nessuno sembra venire in mente che l’unica alternativa ragionevole è collocare i seggi elettorali in spazi diversi dagli edifici scolastici, come per altro avviene in molti altri Paesi, tanto più che, per rispondere alle esigenze di distanziamento fisico poste dalla pandemia, si stanno già cercando spazi esterni alle scuole per distribuirvi studenti e attività educative. Si può fare lo stesso per i tre-quattro giorni necessari per la preparazione dei seggi, l’espletamento delle votazioni, la sanificazione e ripristino dei locali, senza entrare nelle scuole e interromperne le attività. Sarebbe una scelta ragionevole sempre, ma ancora più quest’anno, dopo che le scuole sono rimaste chiuse per oltre due mesi a causa della pandemia, sostituite dalla didattica a distanza e poi dalla lunga interruzione estiva.
Gli effetti sul piano cognitivo, relazionale, emotivo, di questo lungo distanziamento fisico tra la scuola e i suoi allievi, tra le lezioni e la quotidianità delle relazioni in presenza, con le loro gioie, difficoltà, conflitti, sono ancora da studiare sistematicamente. Ma se ne conoscono già alcune conseguenze negative in termini di aumento delle diseguaglianze e dei rischi di dispersione scolastica. Per questo sarebbe opportuno non aspettare il 1° di settembre per riaprire le aule a chi deve recuperare i cosiddetti “debiti”, ed invece soddisfare i crediti maturati dagli studenti nei confronti della scuola in questi mesi, aprendole durante l’estate per offrire attività di recupero, ricostruire relazioni di fiducia, dimostrare che la scuola è degli e con gli studenti.
In ogni caso, è assolutamente indispensabile che l’avvio dell’anno scolastico avvenga in modo ordinato, con i tempi e ritmi necessari per elaborare insieme la rottura di questi mesi, i cambiamenti che ha effettuato in ciascuno, oltre ad abituarsi alla nuova organizzazione richiesta dal contrasto alla pandemia. Non si può confondere la regolarità di una data di inizio con la regolarità di un processo. Occorre rendersi conto che sia ritardare a dopo le elezioni, sia iniziare per poi interrompersi a causa di queste ultime, manderebbe un ennesimo messaggio agli studenti e alle loro famiglie che i diritti dei bambini e ragazzi/e sono sempre secondari rispetto ad altre priorità, e che la scuola stessa non è una priorità. È un messaggio, purtroppo, mandato e ricevuto forte e chiaro in questi mesi, quando i diritti e bisogni, educativi ma non solo, dei bambini/e e adolescenti sono stati sistematicamente ignorati o sottovalutati, quando alla scuola sono state allocate meno risorse che all’ennesimo salvataggio di Alitalia. Rinnovare questo messaggio anche in nome delle elezioni sarebbe, almeno a livello simbolico, un colpo fatale: dimostrerebbe, a chi ancora non lo avesse compreso, che l’esercizio del diritto democratico a eleggere i propri rappresentanti prevale sul diritto altrettanto costituzionalmente fondato all’istruzione. Confermerebbe che i bambini/e e adolescenti hanno, nel migliore dei casi, diritti di cittadinanza deboli e non meritano nessun rispetto. Si dirà che sono parole grosse per due o tre giorni di chiusura e neppure in tutte le scuola, ma solo in quelle che sono seggio elettorale. Al contrario, credo che sia ora di pronunciarle, che non si possa più accettare questa superficialità e sciatteria nel trattare la scuola e coloro al cui servizio dovrebbe essere.