Sul disastro annunciato del concorso a DSGA

Francesco G. Nuzzaci

1. Abbiamo avuto modo di leggere del disastro annunciato della procedura ordinaria di reclutamento, a base regionale, di direttori dei servizi generali e amministrativi (DSGA) nelle istituzioni scolastiche.

La riprova è nell’eloquenza dei fatti, enfatizzati da più di un’associazione sindacale:

  • in alcune regioni il punteggio per poter superare la prova preselettiva è stato 90 su 100, in altre 76 su 100;
  • la percentuale di coloro che hanno superato la prova scritta, e quindi guadagnato l’ammissione all’orale, varia dal 14% all’85% (clamoroso è il caso della Lombardia, la regione ad un tempo la più generosa, con 451 posti messi a concorso, e la più stitica, con soli 197 candidati che hanno varcato la soglia degli orali, peraltro supponendosi un’ulteriore loro scrematura. E, all’opposto, quello della Campania, con 432 beneficiati su 160 posti disponibili);
  • in tre regioni si prevede l’inizio della prova orale entro luglio, ma non la conclusione;
  • in sei regioni non si sanno ancora né inizio né fine.

Il che significa che da settembre ben pochi dei, tanti, posti in organico potranno essere fisiologicamente coperti dai vincitori del concorso ordinario in atto, così continuandosi a conferirlicon incarico a termine a coloro che nel predetto concorso sono stati bocciati! Ovvero a coloro che in altre regioni hanno superato tutte le prove e inseriti nella graduatoria di merito, ma non in posizione utile per la nomina in ruolo.

2. Fallimento inconfutabile. Che si sovrappone perfettamente all’analogo fallimento del penultimo concorso a dirigente scolastico, anch’esso a base regionale e di cui sempre il caso Campania, ancora dispiegante i suoi nefasti effetti, costituisce la punta dell’iceberg.

Sicché il buon senso suggerisce che, per queste due figure uniche, il sistema di reclutamento si converta su base nazionale, per evidenti esigenze di omogeneità e conseguente più facile presidio delle anomalie.

Ciò affermato, non possiamo però concordare con la reiterazione di uno sperimentato, e interessato, cortocircuito.

Beninteso, la colpa dell’Amministrazione è incontestabile. E lo è già nel fatto di aver bandito un concorso ordinario dopo ben vent’anni, per di più pesantemente sottostimando l’occorrente provvista (solo 2.004 posti messi a concorso a fronte di vacanze in organico di diritto superiori alle 3.500 unità). 

Ma la soluzione non può essere quella delle ricorrenti e più o meno mascherate sanatorie per “porre immediatamente riparo a questa situazione”;né d’insistere, contra legem, su agevoli concorsi riservati pure per chi sia privo del prescritto titolo di studio.

Si consideri che si sta parlando di figure di alta professionalità, fondamentali per supportare la dirigenza nella complessa organizzazione di istituzioni scolastiche, pubbliche amministrazioni funzionalmente autonome: e difatti lo stesso CCNL, Tab. B, richiede quali stringenti requisiti di accesso la laurea specialistica in giurisprudenza o in scienze politiche sociali e amministrative o in economia e commercio ovvero titoli equipollenti.

Dunque, concorsi nazionali ordinari triennali. Senza scorciatoie o furbizie, anche a fronte di uno stato di necessità spesso surrettiziamente precostituito e, nella circostanza, pure sollecitandosi – in emendamenti presentati da parlamentari della Repubblica – l’immissione nei ruoli di chi abbia semplicemente un contenzioso in atto, magari convinto da impresari di lucrosi ricorsifici che i concorsi si vincono in tribunale.

E in effetti non vi è alcuna esigenza di sistema per un reclutamento regionale, che anzi sortisce il controproducente effetto di irrigidirlo, incardinandolo in quelli che sarebbero quasi, e impropriamente, dei piccoli ministeri – gli uffici scolastici regionali – che anche qui li si vorrebbe interloquenti con le regioni di riferimento, ma su un ambito che fuoriesce dal necessario coordinamento con l’organizzazione del servizio sul territorio, spettando esclusivamente allo Stato assicurare alle istituzioni scolastiche le diverse figure professionali tipiche. 

3. Considerazioni simmetriche, con qualche notazione aggiuntiva, merita il reclutamento dei dirigenti scolastici, inclusi gli emendamenti osceni fatti luccicare sempre da rappresentanti del Popolo Sovrano, in sintonia con le sigle di comparto e di “giovani sindacati” di area. La cui ripristinata dimensione regionale, dopo la breve parentesi dell’ultimo concorso espletato, parrebbe al momento irreversibile, essendo stata imposta dal recente decreto legge 126/19 e legge di conversione 159/19.

Non ci è dato di rinvenirvi la cifra qualitativa delle allegate ragioni di “straordinaria necessità e urgenza”, che per contro sembrano obiettivamente accentuare la dimensione domestica di una dirigenza inchiodata nello status di figlia di un dio minore, ancorché ora figurante nella comune area contrattuale dell’Istruzione e Ricerca, ma rigorosamente relegata nel retrobottega per contemplarvi la sua lussureggiante specificità.

Questo svilimento lo si vorrebbe giustificare, nella relazione illustrativa, con il fatto che una “procedura concorsuale estremamente lunga e complessa è inidonea a sopperire alle criticità delle istituzioni scolastiche”

Con il che non ci si dimostra consapevoli che le lungaggini della procedura sono state prodotte proprio quando essa la si è affidata agli uffici scolastici regionali. E, soprattutto e sbrigativamente, si dà mostra di ignorare che la dirigenza scolastica è la più complessa di tutte le dirigenze pubbliche di analoga seconda fascia, perché preposta, in posizione apicale e quale legale rappresentante, alla conduzione di pubbliche amministrazioni (ex art. 1, comma 2, D. Lgs. 165/01 e s.m.i.), non già a uffici interni e/o dipendenti da più ampie strutture/unità organizzative per lo svolgimento di attività, piani, progetti per lo più delegati.

E tuttavia tutte queste altre dirigenze pubbliche, parimenti gestionali, sono reclutate con un ben più appropriato corso-concorso ad opera della Scuola Nazionale dell’Amministrazione, dotatadi expertise nelle materie di carattere manageriale, di sviluppo delle risorse umane, di innovazione e digitalizzazione, nonché finanziarieeconomico-statistiche, infine con uno sguardo sulle discipline internazionali e in particolare europee; potendo poi la Scuola sempre acquisire dall’esterno le professionalità specialistiche necessarie. 

Occorrerebbe solo garantire la necessaria curvatura su un coerente dispositivo di preselezione, dei contenuti delle prove d’esame e della successiva formazione, correlati alle peculiarità del contesto di esercizio di un’unica funzione dirigenziale.

Perché si tratta di materie involgenti proprio quelle competenze di regola non adeguatamente possedute da chi proviene dall’obbligata funzione docente, nella cui nuova veste non gli si richiede di essere – riduttivamente – un  semplice coordinatore della didattica. 

Però è chiaro come questo qualificato percorso resti al momento precluso, dopo essersi timidamente affacciato nel decreto legge 104/13, convertito dalla legge 128/13, e rimasto quiescente sino a quando il sistema di reclutamento e formazione non è stato improvvidamente ricondotto all’esclusiva e confidenziale gestione trasteverina  dalla legge di stabilità 208/15.

4. Se è assurdo ritenere normale che collaboratori scolastici diventino, per contratto o semplici intese, assistenti amministrativi e assistenti amministrativi diventino DSGA, costituisce autentica schizofrenia pensare, e pretendere, che – è proprio scritto nella relazione tecnica al menzionato decreto legge 126/19! – “un (divenuto) semplice concorso per titoli ed esami” basti a formare un dirigente “a tutto tondo e onnisciente, che deve cioè sapere di pedagogia, di organizzazione aziendale, di psicologia, di contabilità, di relazioni sindacali, di gestione del personale, di anticorruzione, di gestione dei sinistri scolastici, di polizze assicurative, di gare e appalti, di finanziamenti comunitari, di contratti pubblici, di relazioni con gli enti locali poco collaborativi (e sovente latitanti e arroganti), di accesso agli atti e trasparenza, di privacy, di gestione di dati sensibili, oltre a relazionarsi ogni giorno con docenti, alunni e genitori sempre più invasivi”(1).

E che un’Amministrazione tuttora oscillante sulle decisioni da prendere lo vorrebbe caricare anche della gestione post(?)-pandemica da Coronavirus, appellandosi alla salvifica autonomia delle istituzioni scolastiche. 

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(1) V. TENORE, Il dirigente scolastico e le sue competenze giuridico-istituzionali, Anicia, Roma, 2017