Nelle linee guida della ministra Azzolina tre scenari per la riapertura

da Il Sole 24 Ore

di Eugenio Bruno

Da una parte c’è la Francia che prova a mettersi la pandemia alle spalle e riapre le scuole dal 22 giugno. Dall’altra c’è la Cina che chiude nuovamente quelle di Pechino per evitare una nuova ondata di Covid-19. In mezzo c’era e c’è l’Italia, che oggi fa la prova generale per la ripartenza – con l’esame di maturità a cui parteciperà mezzo milione di studenti – ma non ha ancora preso una decisione definitiva sul ritorno in classe dopo l’estate. E, se sulla data di avvio del nuovo anno scolastico le maggiori convergenze portano al 14 settembre, sulle regole da seguire per accogliere di nuovo in aula (e in sicurezza) tutti gli alunni siamo ancora fermi ai tre scenari immaginati dal ministero dell’Istruzione nei giorni scorsi. Che tali dovrebbero restare anche nelle linee guida a cui la ministra Lucia Azzolina sta lavorando.

Il documento è quasi pronto e dovrebbe vedere la luce all’inizio della prossima settimana. Nel tentativo di fare una sintesi tra le prescrizioni del Comitato tecnico-scientifico (Cts) del ministero della Salute, le proposte della task-force guidata dall’ex assessore emiliano Patrizio  Bianchi, le richieste degli enti locali, i timori dei presidi e i consigli di studenti e genitori, il testo prevederebbe tre ipotesi per la riapertura. La meno grave (e più auspicabile) presuppone un contagio prossimo allo zero e considera sufficiente il rispetto delle norme su assembramento e igiene per poter ripartire senza particolari problemi. Anche senza mascherina in classe ma solo negli spazi comuni oppure quando il distanziamento è impossibile come sta pensando di fare la Spagna.

Poi c’è lo scenario intermedio – simile a quello con cui il Cts ha dovuto fare i conti a fine maggio quando ha rilasciato le sue indicazioni di massima – che richiede il rispetto del metro di distanza tra un alunno e l’altro oltre all’obbligo di indossare dispositivi di protezione per docenti e studenti da 6 anni e più. In questo caso saranno le scuole, nella loro autonomia, a scegliere tra: spazi aggiuntivi (ed esterni) per la didattica , ingressi scaglionati a inizio mattinata, moduli orari inferiori ai 60 minuti (da 45-50) per consentire la segmentazione delle classi, almeno pro tempore, in gruppi più piccoli, orario ridotto per il primo periodo dell’anno da aumentare via via in base alla riorganizzazione degli spazi (a cominciare dal passaggio al banco singolo). Un’operazione che si annuncia complessa in un Paese dal patrimonio di edilizia scolastica datato e inadeguato.

Terza e ultima prospettiva, che speriamo si riveli solo teorica, un ritorno della pandemia sugli stessi livelli di marzo e, dunque, la necessità di un nuovo lockdown. In quel caso, si ripartirebbe con la didattica a distanza in una versione riveduta e corretta (con istruzioni più chiare e vincoli più stringenti) rispetto allo spontaneismo degli ultimi tre mesi.

Più vicino allo scioglimento è invece il   rebus sulla data di inizio delle lezioni. Nonostante la contrarietà di un paio di regioni (Liguria e Campania) ci si starebbe orientando sul 14 settembre come chiesto dai governatori e accettato dai ministeri. Con la promessa di ridurre al minimo l’impatto dell’election day del 20 e 21 settembre. Non tanto cercando alternative alle scuole per i seggi elettorali, come proposto dal segretario del pd, Nicola Zingaretti (un’ipotesi che al Viminale giudicano poco fattibile, ndr), quanto limitando la chiusura a 4-5 giorni realmente indispensabili per le operazioni pre e post voto. Fermo restando che chi deve recuperare le insufficienze di quest’anno potrebbe essere chiamato a farlo, decreto Scuola alla mano, già dal 1° settembre.