Elogio dell’errore nel processo formativo

da Il Sole 24 Ore

di Giancarlo Pennati *

L’esperienza drammatica del Covid-19 ha decisamente contribuito ad introdurre diversi cambiamenti nel nostro approccio alla vita e al lavoro. Il nostro spirito di adattamento e sopravvivenza, ha determinato lo sforzo comune del “credere” che questa esperienza potesse essere foriera di miglioramenti generalizzati in diversi campi, smart working in testa. Anche in altri ambiti si è inneggiato ad una serie di “valori aggiunti”: miglioramento delle competenze tecnologiche, riscoperta della vicinanza e della complicità all’interno del nucleo familiare, riscoperta (nel silenzio) dei suoni della natura, apprezzamento della Vita, in un contesto in cui, coinvolti direttamente o meno, percepiamo la triste sorte di persone che si spengono nella più completa solitudine.

Nella difficoltà, abbiamo attinto ad una delle nostre migliori qualità umane: lo spirito di adattamento e la conseguente teorizzazione, a volte forzata, che questa esperienza possa contenere elementi positivi, tali da rendere migliore il nostro futuro.

Tuttavia credo (e temo) che, se l’analisi del contesto e le relative conclusioni non sono corrette, si rischia molto seriamente di introdurre nuovi “virus” all’interno della nostra società, che potrebbero essere ben più devastanti dello stesso Covid-19.

Mi riferisco in particolar modo all’ambito scolastico e, più propriamente, educativo.
La didattica a distanza ha costituito una buona palestra per esercitare e migliorare le competenze tecnologiche di studenti e docenti, sebbene io ritenga insostituibile il valore della didattica in presenza, sia sotto il profilo didattico che educativo.

A mio parere si sono insinuate aberranti interpretazioni nel delicatissimo campo della valutazione. Ho assistito al progressivo sventolare la bandiera della valutazione formativa, in sostituzione della valutazione meramente sommativa, come se fosse una panacea. Provo a chiarire con estrema sintesi, fiducioso di poter risultare anche chiaro, che la valutazione formativa tiene conto del processo e della progressione dell’apprendimento, slegandola da una valutazione che si riferisca esclusivamente al dato oggettivo della performance: in sostanza non si valuta più la quantità di apprendimento ma si valorizza la qualità, in un contesto di crescita e di conseguimento di progressi individuali.

Ritengo che la valutazione formativa abbia una indiscussa validità, così come è vero che alcuni che la propongono come una novità forse non sanno che è presente nel nostro ordinamento scolastico da decenni. Soprattutto in ambito di scuola secondaria di primo grado (scuola dell’obbligo) ritengo che sia fondamentale valorizzare il percorso di apprendimento formativo degli alunni, gratificandoli e motivandoli attraverso il loro “successo formativo”.

Succede, tuttavia, che alcuni hanno travalicato e trasceso i dettami “etici” della valutazione formativa, trasformandola in un arido “strumento” che ha apportato una specie di sanatoria e di condono per tutti quegli alunni che non hanno raggiunto gli obiettivi didattici e (peggio) educativi.

La “miccia” di questa deflagrazione del merito (questo sconosciuto) è stata accesa da una certamente infelice uscita della ministra dell’Istruzione, allorquando ha affermato che tutti gli studenti sarebbero stati promossi.

Uscita infelice a parte, il paradosso è che alcuni dirigenti scolastici (direttamente impegnati sul campo) hanno fatto molto peggio, introducendo e “imponendo” ai propri docenti delle tabelle di valutazione che prevedevano esclusivamente delle valutazioni numeriche da 6 a 10.

Il problema non è quello di punire, bocciare o vessare gli alunni che non abbiano raggiunto gli obiettivi didattici o che non abbiano acquisito pienamente gli obiettivi educativi, il dramma è che, con il pretesto “innovativo” della valutazione formativa, si rischia di seppellire una sana crescita individuale, che si esprime anche attraverso il riconoscimento dell’errore.

Demonizziamo pure la meritocrazia, se vogliamo, per poi inneggiare ad essa quando critichiamo i nostri politici e i nostri superiori, ma non possiamo trascurare di segnalare ad un ragazzino i propri errori, le proprie mancanze, proprio come accompagnamento educativo ed etico nella costruzione delle proprie competenze e della propria personalità.

Nella mia lunga militanza sul campo, come docente e come educatore, ho maturato la ferma convinzione che i ragazzi e le relative famiglie abbiano il sacrosanto diritto di avere notizie oggettive sull’andamento scolastico ed educativo, ritenendo che questo debba essere uno dei capisaldi del diritto allo studio.

Credo, con ferma convinzione, che il processo formativo non possa prescindere dalla valorizzazione dell’errore stesso, come momento di riflessione, di autoanalisi e di crescita formativa ad ogni livello.

Sono sempre stato acerrimo nemico del cosiddetto “sei politico”, che temo si stia insinuando maldestramente in una scorretta e diseducativa interpretazione della valutazione formativa.
Certamente teorizzare la sola valutazione positiva e l’eliminazione dei voti numeri non espone il corpo docente alle critiche dei ragazzi e dei genitori, costruendo tuttavia dei rapporti falsamente cordiali, improntati solo ad una sorta di tacito patto di non belligeranza.
A volte sono gli stessi dirigenti scolastici ad invertire e ribaltare colpevolmente i termini della questione valutativa. Capita che, a fronte di valutazioni negative, sia il docente stesso ad essere messo in discussione, chiedendo cosa lui abbia fatto per stimolare l’interesse del ragazzino, quali strategie abbia messo in atto per consentire il recupero ed il successo formativo dell’alunno stesso.

Tutto ciò è demotivante, frustrante e umiliante per quei docenti che, ancora oggi, credono che parte della crescita formativa passi attraverso l’evidenziazione ed il superamento dell’errore.

Mi esprimo in questo modo perché mi capita di ricevere commoventi attestazioni di miei alunni o ex alunni che mi ringraziano perché, attraverso i miei “ammonimenti” (leggi anche: valutazione negativa) sono cresciuti, hanno “imparato” e sono maturati.

Credo davvero che non dobbiamo svilire il nostro fondamentale, importante e decisivo ruolo di educatori delle nuove generazioni, credendo che il successo formativo di un ragazzo possa passare da una quieta accondiscen-denza su ciò che lui esprime, a prescindere da qualsiasi parametro di oggettiva valutazione didattica e di aiuto nella correzione dei propri errori.
L’errore non va nascosto, non va mascherato con una falsa (e scarsamente professionale) valutazione positiva, ma va elogiato e valorizzato come strumento e tappa imprescindibile per superarlo.

Quest’anno, più che mai, mi sono sentito di salutare i miei giovanissimi studenti, con un detto latino: “Qui laudant sine causa, sunt falsi amici”.

  • Docente presso I.C. “Mascagni” – Melzo (Mi)