Il diploma come progetto di vita

Il diploma come progetto di vita

di Rita Manzara

Dopo una lunga esperienza come Dirigente Scolastico del primo ciclo, al termine di questo complicatissimo anno scolastico sto affrontando per la prima volta il ruolo di Presidente di Commissione degli Esami di Stato in un Liceo.

Lasciando da parte le scontate considerazioni in ordine alla particolarità della situazione, mi piace sottolineare che (almenonella realtà scolastica in cui mi trovo ad operare) ho rilevato quanto la strutturazione della prova orale (l’unica per quest’anno) riesca a mettere in luce la qualità della preparazione curata dai docenti anche durante il periodo di didattica a distanza.

In altre parole, quest’ultima modalità di lavoro – che, come ebbi già modo di dire, non dovrebbe comunque diventare l’unica o la predominante, almeno per le fasce d’età inferiori – ha prodottotuttavia anche effetti soddisfacenti nella scuola secondaria di secondo grado.

Il lato positivo, da quanto ho potuto constatare, consiste nel fatto che essi sono stati ulteriormente motivati a concepire questa esperienza non come sfoggio di nozioni ma come dimostrazione di competenze spendibili in un progetto di vita.

I ragazzi, pur mantenendo un costante e fattivo rapporto (anche sul piano emotivo ed affettivo) con i loro docenti che hanno continuato ad affiancarli nel lavoro didattico, hanno evidentemente avvertito la responsabilità di dimostrare in prima persona “ciò che sono” e non solo “ciò che sanno”.

Il lavoro che sta a monte di tutto ciò si basa su alcuni elementi irrinunciabili nella guida che hanno ricevuto dagli insegnanti, basata in primo luogo su una collegialità che ha consentito a ciascun docente di uscire da una concezione di insegnamentoscandito da tappe (di apprendimento e di valutazione) indipendenti da quelle poste in atto per le altre discipline. 

In altre parole, anziché porre alla base del proprio lavoro la specificità della materia, ha prevalso l’impegno a considerare la “persona studente” e  le sue potenzialità per predisporre un percorso condiviso in cui l’apporto di ciascuno è stato bilanciato non sull’ “importanza” della materia stessa ma sulle competenze del discente.

Il docente, in tal modo, ha acquisito il ruolo di “formatore” superando la dimensione di “esperto in …” cioè di portatore di specifiche competenze sul piano epistemologico che non sempre, tuttavia, sono trasmissibili efficacemente per renderle fruibili sul piano della realtà.

I risultati di un lavoro di questo tipo sono evidenti nei prodotti degli alunni che non sono (né vengono presentati) come pacchetti preconfezionati di conoscenze nell’ambito dei quali anche i collegamenti interdisciplinari sono memorizzati (in quanto, spesso, forzati). 

I ragazzi hanno acquisito consapevolezza della necessità di applicare regole matematiche o concetti storico/filosofici per poter elaborare i loro progetti. Gli stessi progetti che, probabilmente, rappresentano dei prototipi del loro futuro impegno di vita.

Mi sembra sia un buon punto di arrivo di un travagliato percorso e mi auguro che possa essere ovunque così.