Ambientamento del bambino e Scuola dell’infanzia

Ambientamento del bambino e Scuola dell’infanzia

di Mario Maviglia

L’inserimento dei bambini nella scuola dell’infanzia è sicuramente uno dei momenti più delicati dell’esperienza scolastica dei piccoli in quanto segna il passaggio da un ambiente privato, qual è la famiglia, a un contesto pubblico, com’è la scuola, con tutto il corredo di significative differenze tra queste due agenzie educative in termini di approcci, di metodologie, di comportamenti e di regole sociali. Pressoché tutte le scuole adottano forme di ambientamento al fine di favorire un passaggio per quanto possibile non traumatico tra casa e scuola da parte del bambino. Sul significato di tale “ambientamento”, e soprattutto sui tempi che vi vengono destinati, esistono però scuole di pensiero diverse sia all’interno delle scuole che tra le stesse famiglie. Vi sono docenti che prolungherebbero sine die il periodo di frequenza ridotta della scuola da parte dei piccoli, e viceversa altri insegnanti preferirebbero un periodo molto breve di ambientamento per consentire al bambino di fruire in modo completo delle varie opportunità educative offerte dalla scuola e per sollecitare e rafforzare il processo di autonomia. D’altro canto alcuni genitori starebbero attaccati ai figli per tutta la durata della giornata scolastica per tranquillizzarli e non procurare loro disagi, mentre altri lascerebbero volentieri il bambino per tutto il giorno a scuola fin dall’esordio.

Dato per scontato che l’obiettivo finale è quello di fare in modo che il bambino frequenti la scuola per tutto il periodo stabilito dal Ptof della scuola stessa (ricordiamo che il Dpr89/2009 prevede un orario di funzionamento di 40 ore settimanali, con possibilità di estensione fino a 50 ore, oppure – laddove vi sia un numero di richieste sufficiente – un tempo scuola ridotto per 25 ore settimanali, limitato alla sola fascia del mattino), il problema è quello di stabilire quanto debba essere lungo di periodo di ambientamento. Detto in altre parole: per quanto tempo i bambini debbono frequentare la scuola per un numero ridotto di ore prima di fruire in modo completo della frequenza giornaliera ordinaria. Com’è facilmente intuibile, non esiste al riguardo una regola certa, né sul piano normativo (anzi, a onor del vero, la normativa non vi fa alcun a frequenze ridotte per l’ambientamento), né tantomeno su quello psicologico. Eppure, è incredibile come su questo aspetto vengano spesso adottate decisioni del tutto ideologiche e senza alcuna attinenza con la realtà empirica. Alcune scuole, ad esempio, stabiliscono che il periodo di ambientamento debba durare quattro settimane per tutti i bambini neo iscritti con una frequenza (molto ridotta) di un certo numero di ore nei primi giorni e progressivamente sempre più prolungata fino al raggiungimento dell’orario completo previsto. A ben vedere questo modo di operare nasconde una visione meccanica e, tutto sommato, ingenua dei bambini, come se fossero tutti uguali e reagissero allo stesso identico modo agli stimoli ambientali. La realtà è molto più variegata e meno ingabbiabile in schemi predefiniti: vi sono bambini di tre anni che non hanno alcuna difficoltà ad inserirsi in un nuovo contesto ed altri che abbisognano invece di tempi più lunghi. Generalmente i bambini che hanno frequentato l’asilo nido non necessitano di periodi di “rodaggio” particolarmente lunghi avendo già sperimentato ampiamente la frequenza di un contesto educativo diverso dalla famiglia. Insomma, vi sono tra i bambini delle variabilità individuali di cui tener conto ai fini dell’ambientamento. Certo, l’adozione di un modello uguale per tutti può essere una soluzione organizzativa più comoda per la scuola, ma non è detto che risponda alle esigenze dei diversi bambini. (D’altro canto le stesse tabelle di sviluppo utilizzate in pediatria per registrare lo sviluppo fisico dei bambini prevedono margini di tolleranza per ogni valore considerato. E stiamo parlando di dati fisici, non psicologici).

Vi è poi un altro aspetto da considerare, di un certo impatto sociale. Un periodo di ambientamento eccessivamente lungo (o comunque non tarato sulle effettive condizioni relazionali e psicologiche del bambino), crea non pochi problemi di carattere organizzativo alle famiglie che devono rimodulare i propri impegni di lavoro sulla base delle richieste della scuola. Sappiamo che il mercato del lavoro in Italia non è sempre così flessibilecome in altri Paesi e dunque i genitori sono costretti a non pochi funambolismi lavorativi per aderire alla proposta della scuola. E d’altro canto, non è disdicevole affermare che la scuola dell’infanzia e gli altri servizi educativi di cura e educazione per i bambini  del settore 0-6 anni favoriscono l’occupazione femminile e costituiscono un incentivo alla fecondità. Quando si fanno questi ragionamenti, alcuni insegnanti ribattono che “la scuola non è un parcheggio”, ma paradossalmente proprio la frequenza ridotta durante il periodo di ambientamento restituisce un’idea di parcheggio a ore. Ancor più icasticamente si può quindi replicare che proprio per evitare il fantasma del parcheggio – così temutoda certi docenti – il bambino deve frequentare la scuola per l’intero orario previsto (40 o 50 ore settimanali, o 25 se la sezione funziona per la sola fascia antimeridiana, come da norma di legge). 

Una soluzione di buon senso (“Capacità naturale, istintiva, di giudicare rettamente, soprattutto in vista delle necessità pratiche”, Treccani on line) è quella di condividere/negoziare insieme ai genitori il periodo di ambientamento del bambino tenendo conto delle sue caratteristiche personali (in fondo i genitori hanno del bambino una conoscenza molto più approfondita di quella che hanno i docenti, visto che ancora non lo conoscono) e delle esigenze pratiche della famiglia, non trascurando comunque che una eventuale decisione dei genitori di far frequentare già da subito al bambino la scuola dell’infanzia per l’intero orario giornaliero non può essere contrastata (non c’è Ptofche tenga…), non contemplando la norma una frequenza ridotta se non per motivi eccezionali dettati da motivi di sicurezza o logistici. Ma qui si entra in un altro campo.