Riforme epocali in soli due anni

da ItaliaOggi

Emanuela Micucci

Nidi per il 60% dei bambini eliminando le differenze territoriali tra Centronord e Mezzogiorno nell’offerta di questi servizi educativi. In 2 anni. A spulciare il piano che la commissione Colao ha messo a punto per il rilancio del paese, più che spunti ci sono riforme epocali. Da fare in tre anni. Si parte dal piano nazionale per l’apertura degli asili nidi che la commissione Colao propone di lanciare per i bimbi tra 0 e 3 anni, organizzando inoltre i servizi per la prima infanzia «con orari flessibili e aperture anche nei giorni festivi in modo da garantire la dovuta flessibilità nell’utilizzo», per migliorare la conciliazione dei tempi di vita e sostenere la genitorialità. Un progetto ambiziosissimo. Forse troppo. Se si pensa al contesto che la stessa Commissione ricorda: una disponibilità di nidi in Italia «ancora bassa al 25% e fortemente sperequata sul territorio», con «pochissimi» bambini del Sud, appena il 10% che hanno l’opportunità di frequentare un nido. All’appello mancherebbe, quindi, ben il 35% di copertura a livello nazionale ed addirittura il 50% nel Mezzogiorno: baratri che gli esperti in materia economica e sociale guidati da Colao pensano di riuscire a colmare in appena 3 anni con chissà quanti e quali investimenti in edilizia scolastica, materiale didattico, personale educativo e non, relativi concorsi, servizi mensa, scuolabus, per fare solo qualche esempio.

La proposta, infatti, si ferma all’annuncio, senza scendere nel dettaglio della realizzazione. Un libro dei sogni più che un concreto e realizzabile piano nidi triennale. Del resto, nel Piano Colao per il rilancio «Italia 2020-2022» i nidi sono trattati dentro il capitolo Individui e Famiglia, non in quello Istruzione, Ricerca e Competenze, sebbene da ormai 5 anni esista in Italia il sistema integrato di educazione e istruzione 0-6 anni.

Gli Its, istituti tecnici superiori post diploma, hanno compiuto 10 anni di vita e per «potenziarne l’offerta», così da «creare un canale di istruzione terziaria professionalizzante di dimensioni finalmente consistenti», insieme alle «lauree professionalizzanti» (curiosamente nel documento scritte tra virgolette quasi a volerne sottolineare il valore ironico o lo scarto rispetto al significato comune) la Commissione proporne di «lanciare un’efficace campagna di comunicazione sugli esiti occupazionali positivi degli Its in modo da attrarre una platea più ampia di studenti».

Peccato che proprio sugli ottimi esiti occupazionali si sia sempre puntato per comunicare l’offerta formativa degli Its e che una nuova campagna comunicativa del Miur sia partita proprio in questi mesi. Ad ampliare il numero di iscritti agli Its occorre molto di più di comunicazione e marketing. Basti pensare, a titolo esemplificativo, alle risorse insufficienti, alle strutture, a Industria 4.0, alla governance. Eppure, nello stesso paragrafo del documento, si parla di mancanza di «adeguati investimenti e incentivi», ma riferendola solo alle lauree professionalizzanti. Su queste la proposta di incentivarle «fortemente» punta su alcuni atenei che si specializzeranno in questi percorsi in accordo con imprese, ordini professionali, associazioni imprenditoriali e sindacali e sotto la sorveglianza del ministero dell’università e della ricerca, «trasferendo loro la stessa somma pro capite attualmente attribuita agli Its». Risorse che, immaginiamo (il documento non lo spiega), per equità saranno distribuite come per gli its anche con una quota premiale in seguito a un preciso monitoraggio annuale del singolo corsi di laurea di ciascun ateneo.

Inoltre, la commissione propone di abolire i limiti al numero di lauree professionalizzanti attivabili e di assegnare punti organico aggiuntivi agli atenei che si specializzeranno in questi corsi. Oltre a prevederne una «gestione distinta e autonoma da quella dei tradizionali corsi di laurea, con una significativa partecipazione del mondo delle imprese e del lavoro alla definizione del curriculum di studio e alla docenza». In pratica il sistema degli Its riprodotto per le laurea professionalizzanti che, ricordiamolo, guardano per legge, le sole professioni ordinistiche.

Le trasformazioni del sistema socioeconomico spingono, poi, la Commissione Colao a introdurre un programma nazionale di orientamento sostenibile, monitorato nella sua efficacia, che preveda azioni orientative alla scelte professionali precoci fin dalla scuola primaria; azioni di consulenza di carriera e di vita personale alle superiori, organizzate con psicologi dotati di una formazione ad hoc, in collaborazione con docenti formati e genitori; Life Design Lab nelle università per lo sviluppo di soft e smart skill, per acquisire una prospettiva lifelong e per la sperimentazione delle transizioni professionali. Infine, interventi per docenti, famiglie, studenti, mondo del lavoro e policy makers per la co-costruzione di buone visioni del futuro, dell’innovazione e del rapporto con il mercato del lavoro.

Gli esperti, poi, lancerebbero una campagna di volontariato che affianchi le strutture pubbliche nel supporto alla formazione di insegnati, ricerca e scuola, attraverso una campagna di crowdfunding per dotare di infrastrutture digitali e tecnologiche le classi; una programma nazionale coordinato di aggiornamento, riconosciuto dal Miur, sui temi innovati per docenti di medie e liceo durante 20 sabati all’anno con lezioni a distanza o in pesantezza a cura di atenei, enti di ricerca e grandi aziende high tech. Infine, un serie di concorsi tipo hackathon per studenti e scuole superiori.

Mentre un programma didattico sperimentale online per tutti gli istituti di scuola superiore colmerebbe gap di competenze e skill critiche, quali capacità digitali, Stem, problem solving, educazione finanziaria di base.

Per l’università Colao propone anche di creare un Fondo speciale per il Diritto alle Competenze per contrastare il calo atteso delle immatricolazioni negli atenei, dovuto alla crisi sanitaria, e incrementare il tasso di successo formativo e occupazionale degli studenti. Ricorrendo, ad esempio, al sostegno alla residenzialità studentesca con voucher o riconvertendo alcune strutture alberghiere turistiche; facilitando i percorsi di accesso alla risorse; alzando il limite della no tax area fino ai 30 mila euro di Isee.

Inoltre, si pensa alla nascita di Poli di eccellenza scientifica internazionale competitivi, differenziando gli atenei sulla base della pluralità di missioni delle università e del diverso grado di qualità della ricerca delle loro strutture interne.

Ma anche a incentivare la mobilità nazionale e interazione, l’attrazione e il bilanciamento di genere dei ricercatori, tra l’altro, potenziando ed estendendo la legge Tremonti per i ricercatori e sostituendo gli assegni di ricerca con contratti post doc a standard europeo.

Infine, si innoverebbe il dottorato di ricerca creando un percorso di 40 Applied PhD per formare le figure professionali a più elevata specializzazione per il mercato del lavoro e la pubblica amministrazione, portando così il numero di dottorati di ricerca più vicino alla media europea. Nuovi corsi che rappresenterebbero un canale parallelo di formazione alla ricerca, senza aggiungersi a quelli di dottorato già attivati delle singole università. E con procedure di selezione, programmi di studio e di ricerca individuali e criteri di valutazione finali stabiliti, «in deroga alla normativa nazionale sul dottorato di ricerca, mediante accordi tra università, associazioni di rappresentanza imprenditoriale e amministrazioni pubbliche centrali e regionali».