La logica del terzo incluso

ISTRUZIONE IN PRESENZA, ISTRUZIONE A DISTANZA: LA LOGICA DEL TERZO INCLUSO

di Maria Grazia Carnazzola

1. Introduzione

Il dibattito sulla “ didattica in presenza o a distanza”- che si riproporrà a settembre e che spesso assume le caratteristiche del pour parler – e sulla riapertura, a settembre, della scuola per tutti in presenza con le dovute misure di sicurezza, rimbalza da un social all’altro in attesa di essere oggetto di comunicazione istituzionale, e si rincorrono espressioni-slogan come “didattica a distanza”, sicurezza, successo formativo… che sembrano diventare un abito di pensiero comune, mentre celano i veri problemi e le vere domande: come sarà possibile mantenere il ruolo formativo ed educativo della scuola in una situazione, come quella che stiamo attraversando? Davvero l’attività scolastica in presenza e a distanza possono produrre gli stessi esiti di istruzione, di formazione e di educazione? Se pensiamo alle circolari riferite alla valutazione degli apprendimenti del maggio scorso, parrebbe di sì. Ma purtroppo non è così. In continuazione viene ripetuto che l’uso delle tecnologie darà una nuova fisionomia alla scuola, sarà fonte di innovazione, ma innovazione non è sempre sinonimo di miglioramento. Senza dubbio l’uso diffuso delle tecnologie, se ben progettato, monitorato e valutato, potrà contribuire allo sviluppo della competenza digitale, una delle otto competenze chiave. Ma la tecnologia, a scuola, deve essere necessariamente accompagnata dall’educazione alla tecnologia e alla media education- intesa come una metadisciplina direbbe N. Postman- attraverso la quale ci si interroga sulle modalità con cui “i significati dell’informazione e dell’istruzione cambiano mentre le nuove tecnologie si introducono nella cultura”. La tecnologia crea nuovi mondi, nuove rappresentazioni, nuove modalità di pensiero che vanno coniugate con la cultura, se la scuola vuole continuare ad essere un luogo formativo per cittadini autonomi, critici e responsabili del loro modo di rapportarsi al mondo. La cultura, lo sappiamo, utilizza la lingua, la riflessione linguistica e metalinguistica per fondare gli ambiti del sapere: potrebbe essere questa l’occasione da cogliere per coltivare la dimensione della ricerca in ogni disciplina scolastica, dando così contenuto e respiro all’espressione “una scuola nuova e innovativa”. La lingua, scritta e orale, è lo strumento principe per la condivisione della conoscenza scientifica e contribuisce veramente a formare persone consapevoli dei propri modi di percepire e di rappresentare la realtà, significando le trasformazioni sociali, economiche, tecnologiche, scientifiche.

2. L’emergenza

Questo è un periodo di emergenza, si ripete, ed è vero.. Ma il termine “emergenza” può avere due significati: uno riferito alla situazione di “pericolosità” che stiamo vivendo, l’altro riferito a ciò che di nuovo può “emergere”. Ovviamente non si vuole minimizzare o sorvolare sulla serietà della situazione sanitaria, ma non confondere i piani della questione è senza dubbio un vantaggio.

In quasi tutti i documenti governativi il termine è utilizzato nella prima accezione, ma bisognerebbe passare alla seconda per non rimanere impastoiati nell’angoscia e nell’incertezza: prendere atto della situazione e da lì partire. Ad esempio, la pandemia da Coronavirus ha messo in evidenza tutte le questioni non risolte della scuola, ma potrebbe essere l’occasione che fa emergere una nuova idea di scuola che ponga al centro fisiologicamente l’apprendimento e i saperi, le discipline, la cultura alta. Gli aspetti organizzativi, gestionali, strumentali, logistici vengono dopo. Quelli fondamentali della sicurezza e della salute sono su un piano diverso, interrelato, ma sono altro. Ho scritto altrove che la scuola dovrebbe insegnare a ragionare in modo rigoroso, “scientifico” perché non si confondano le conseguenze con lo scopo. La crisi, ad esempio, non è il Covid-19, ma sono le risposte che abbiamo dato, non è la malattia, ma sono le decisioni assunte per fronteggiarla.

Un’idea di scuola forte dicevo. Che assolva il suo compito interamente: di istruzione, di formazione, di educazione, prendendo atto che da marzo alla conclusione delle “lezioni”, il solo aspetto considerato, quando è andata bene e in modo molto parziale, è stato quello dell’istruzione. Se non si prende atto di questo, si continuerà a vaneggiare di tecnologie miracolose, di corsi di formazione sul loro utilizzo (magari proposti da chi di scuola poco conosce), lasciando sullo sfondo la domanda cruciale che riguarda il come integrare le tecnologie “nuove” con quelle tradizionali, il come sfruttarle al meglio, tenendo ferma la finalità che non è il loro utilizzo ma l’apprendimento dei ragazzi. A insegnare si impara ed è giusto imparare ad utilizzare al meglio quanto la tecnologia mette a disposizione: questa è professionalità, intesa come competenza didattica ma anche come capacità di prevedere il complesso di condizioni che costituiscono il quadro di riferimento per regolare l’intervento didattico, modificando le variabili che possono essere modificate attraverso verifiche, analisi, decisioni. Questo, direbbe Bruner, permette di tradurre la disciplina oggetto culturale in disciplina da insegnare/ far apprendere, conciliando la didattica generale con le esigenze epistemologiche specifiche, collegando la dimensione logica del cosa insegnare, con quella didattica del come farlo in relazione al chi deve apprendere, che costituisce la dimensione psicologica del processo e rimanda al quando e al perché insegnare.

Insegnare è un compito, un fare intenzionalmente che si esplica nelle diverse funzioni dell’analizzare, del progettare, del proporre e riproporre, dell’interpretare, del verificare per valutare. Le tecnologie possono offrire risorse aggiuntive o essere di ostacolo; in ogni caso incidono sul modo di procedere. E’ necessario individuare i processi cognitivi e le operazioni mentali implicati per sfruttare al meglio ogni contesto interattivo, tenendo sempre presente che il fine della scuola è quello di mantenere alto il livello di coinvolgimento e di impegno per affrontare problemi complessi.

3. Imparare a vedere i problemi e a porsi domande: la prospettiva transdisciplinare e la logica del terzo incluso

Affrontare i problemi che il mondo della complessità comporta, con coraggio che poi si traduce in iniziativa e spirito critico, utilizzando le conoscenze sempre parziali che la cultura ci offre: in altre parole esercitare il diritto/dovere di cittadinanza. Il fine della scuola continua ad essere quello di insegnare ai ragazzi ad orientarsi nella complessità, a valutare e a scegliere da che parte stare, seguendo valori e principi che, pur non essendo i soli ad essere “giusti”, possono costituire un orientamento. Tutti i saperi cognitivi, metacognitivi, sociali, affettivi contribuiscono a costruire per ciascuno il senso dello stare in questo mondo. Ogni insegnamento dovrebbe adottare la realtà come oggetto di studio, da indagare con razionalità e correttezza scientifica, e come spazio di applicazione e di verifica di quanto appreso. La formazione richiede cornici di senso per comprendere i cambiamenti in atto, necessari e inevitabili in ogni epoca, e poter individuare le prospettive da perseguire. Non servono lezioni di morale, serve educare all’etica della comunità per una libertà consapevole “con” e non “contro”, conciliando il pessimismo della ragione con l’ottimismo della volontà. La incontrollabilità degli eventi planetari e le dinamiche economiche, sociali e culturali che ne derivano, fanno emergere la necessità di affrontare le questioni in modo multidisciplinare e interdisciplinare. Oggi si è tornati a parlare anche di transdisciplinarità, riprendendo per certi versi la prospettiva piagetiana, ma discutendone come se si trattasse di un’altra metodologia didattica.

La prospettiva transdisciplinare è altro, viene prima: è la posizione, l’abito dell’osservatore che influenza il “come” si individua e si formalizza un problema che a sua volta genera la domanda e indirizza i percorsi di ricerca: gli oggetti, i modi, i tempi, gli strumenti, i risultati attesi, la valutazione degli esiti, la retroazione. E’ un modo di concepire, di pensare, di rappresentare e poi di spiegare. Rimanda ai processi cognitivi, prima, e alle costruzioni culturali poi, prendendo in considerazione tutte le dimensioni dell’essere “umano” e, quindi, attraversando tutte le discipline.

Riconduce da un lato all’apprendimento, al conoscere – Piaget, assimilazione e accomodamento- e dall’altro alla conoscenza e all’insegnamento- E.Morin, J.Bruner, N.Postman, C.Sini, A.Calvani-, accogliendo l’esistenza di diversi livelli di percezione e di rappresentazione della realtà e della loro necessaria correlazione in quella unione tra le due culture, umanistica e scientifica, che C. P. Snow e E. Morin hanno auspicato, e ponendo in evidenza quella che Piaget ha definito “ la genesi temporale delle norme”. La conoscenza non può prescindere da quello che le diverse scienze ci dicono rispetto alla conoscenza stessa, ma al contempo, le norme, i criteri, i metodi e gli strumenti delle conoscenze scientifiche non possono essere definiti atemporalmente. G. Bachelard sosteneva che “Insegnando e spiegando una rivoluzione scientifica, insegniamo una rivoluzione della ragione”. Se, come sostiene Piaget, la conoscenza è strutturalmente legata all’azione che mette in relazione il soggetto con l’oggetto della conoscenza, va da sé che la contrapposizione istruzione in presenza/a distanza è fittizia perché tralascia appunto lo strumento/oggetto della presenza/distanza, strumento che risponde alla logica del terzo incluso. La domanda, allora, deve essere posta nei termini che seguono: l’istruzione in presenza e quella a distanza, in quali condizioni possono ottenere risultati equivalenti? Mettere a fuoco l’incidenza che i diversi strumenti e le diverse metodologie didattiche hanno sull’attenzione, la percezione, la memoria, il linguaggio, sul grado di astrazione che permettono o che richiedono, sulla ricaduta che hanno sulla strutturazione del pensiero critico

Contrapposizione inesistente per la finalità della scuola, ma necessario campo di ricerca per i docenti e ineludibile oggetto di percorsi di formazione/aggiornamento.

BIBLIOGRAFIA

N. Postman, La fine dell’educazione, Ed.Armando, Roma1997, p.9
N. Postman, Technopoly, Bollati Boringhieri, Torino 1993
J. Piaget, L’Epistemologia genetica, Presses Universitaires de France
C. Sini, Il pensiero delle pratiche, Jaca Book SpA, Milano 2014
E. Morin, Science et conscience de la complexité, Librairie de l’Université, Aix-en-Provence 1974
A. Calvani (a cura di), Tecnologia e scuola, Franco Angeli, Milano 2007
B. Nicolescu, Il manifesto della transdisciplinarità, Armando Siciliano Editore, Civitanova Marche, 2014