Netta presa di distanza dal piano del Governo

Uil: netta presa di distanza dal piano del Governo

Turi: un piano che apre alla privatizzazione del sistema nazionale dell’istruzione.
Si scarica sui dirigenti e sulla comunità educante, quella vera, la responsabilità di organizzare la riapertura.

E’ una netta presa di distanza, culturale e politica, quella annunciata oggi pomeriggio dalla Uil Scuola rispetto alle politiche che sottendono il piano per la ripartenza presentato dal ministero.

Il piano si basa su principi di sussidiarietà verticale e orizzontale che indeboliscono la funzione affidata alle scuole statali del paese – ha detto Pino Turi nel suo intervento nel corso della video riunione.

Lo dicessero chiaramente: con questo patto si vuole aprire alla privatizzazione della scuola italiana.

L’idea che, alla cura dei bisogni collettivi e delle attività di interesse generale provvedono direttamente i privati cittadini, attraverso non meglio individuati “patti educativi di comunità” è cosa profondamente diversa dal sistema nazionale di istruzione statale.

Chi, e con quali finalità, dovrebbe stipulare questi patti?  Chi sono i portatori di interessi anche diversificati rispetto a quelli della comunità scolastica propriamente definita?
Chi potrà avere accesso a questi patti? Si parla di personale educativo responsabile di attività integrative o alternative alla didattica, con compiti anche di vigilanza.

Un modo per scaricare sui dirigenti e sulla comunità educante – quella vera, ribadisce Turi – la responsabilità di organizzare la riapertura.

La scelta politica è quella di non investire sulla scuola, che dovrà cavarsela con ciò che ha e su ciò che riesce a recuperare dal volontariato e dagli Enti locali che diventeranno i gestori, di fatto, della scuola.
Mancanza di investimenti e sovrapposizione istituzionale delle competenze genereranno confusione e scarica barile delle responsabilità.

Tutti chiedono la riapertura in presenza. E’ questo l’obiettivo – osserva Turi.
Il piano si basa su una scommessa: che il virus scompaia da solo. Il piano B è la didattica a distanza.
La scuola non potrà ripartire se non ci saranno investimenti finanziari finalizzati a modificare il numero di alunni per classe, all’istituzione di presidi medici per affrontare e gestire eventuali episodi epidemici, ad garantire il numero dei docente e dei collaboratori scolastici che hanno la responsabilità professionale, molto più dei volenterosi di turno, di questa nuova fase.


Cinque motivi per cui questo piano non ci riporterà a scuola a settembre

…e se riuscirà ad essere attuato porterà alla mutazione genetica della scuola costituzionale italiana

  1. AUTONOMIA SCOLASTICA: fate un po’ come vi pare
    Il richiamo letterale all’autonomia delle scuole non può nascondere la mancanza di scelte ed indicazioni da parte del decisore politico. Il Ministero sembra deresponsabilizzarsi, inviando alle scuole – a partire dai dirigenti scolastici – l’obbligo e la responsabilità, anche legale, di individuare strade e soluzioni senza gli opportuni investimenti.
  2. CURRICOLI DI STUDIO: si studia meno, si studia peggio
    Le norme generali sull’istruzione, cosi come i livelli minimi delle prestazioni da offrire a tutti i cittadini, impongono dei limiti alle scelte che possono effettuare i soggetti che vivono e governano il territorio. L’autonomia delle scuole, anche nel rispetto del valore legale di titoli di studio (ad esempio), non può curvare i propri curricoli di studio in misura superiore al 20-25%.
  3. DISABILITA’ E SOSTEGNO: un salto indietro agli anni ’70.
    Appare non corretto parlare di ‘disabilità’: una sorta di passo indietro su ambiti pedagogici che vedono l’Italia nelle primissime posizioni europee e mondiali. I percorsi didattici mirati alla inclusione non possono non tener conto che ogni persona ha proprie abilità diverse.
    Si deve parlare di diversa abilità, non solo per scrupolo lessicale ma perché non tornino in auge didattiche differenziate – “gruppi speciali di livello”. La Scuola italiana ha scelto la strada dell’inclusione, abbandonato strade improntate all’iniquità, fin dagli anni ’70.
  4. FORMAZIONE: tutta competenze senza esperienza professionale
    Le righe sulla formazione sono tutte indirizzate all’utilizzo spinto di dispositivi e procedure.
    In merito all’uso degli strumenti digitali, la tecnica per diventare tecnologia, ha bisogno di un uso consapevole di strumenti e sussidi.
    La formazione, allora, deve avere come base gli studi universitari sulla ‘media education’.
    Una pluralità di strumenti dovrà essere posta al centro dei percorsi formativi: non solo nuove tecnologie, ma anche nuovi e diversi contesti didattici, programmazione di setting educativi diversificati, modelli di didattica interdisciplinare verso la trans-disciplinarità.
  5. DIGITAL DIVIDE: gli ultimi non saranno i primi
    Sui capaci e meritevoli, e sul rischio del ‘digital divide’, la richiesta chiara viene dal compito che la Carta Costituzionale affida alla scuola: capacità di progettare e porre in essere azioni compensatrici delle ineguaglianze.