Troppi cerotti per il presente, pochi mattoni per il futuro

da Il Sole 24 Ore

di Andrea Gavosto*

Che cosa rimarrà della lunghissima chiusura delle scuole causata dal Covid-19? Torneremo allo status quo ante o sarà l’occasione per accelerare la modernizzazione del nostro sistema scolastico, che anche prima dell’emergenza già faticava a colmare le distanze dalle altre nazioni? Quali misure prese in questi mesi si riveleranno essere non solo cerotti per il presente, ma anche mattoni per il futuro? Domande alle quali è difficile rispondere.L’impressione, però, è che ci sia distacco fra realtà e retoriche prevalenti nel dibattito pubblico: forse cambiamenti significativi potrebbero arrivare dagli aspetti al momento meno apprezzati, mentre annunci sulla nuova fase della scuola rischiano di rivelarsi esagerati e prematuri.

Subito prima e dopo l’uscita tardiva delle linee guida del ministero dell’Istruzione, il dibattito pubblico ha guardato a due aspetti: gli spazi della scuola e della didattica, che potrebbero non bastare a settembre, con la prospettiva di interventi sull’edilizia scolastica che si vorrebbero utili anche per il futuro; la consistenza dell’organico docente, anche in questo caso forse insufficiente per una riapertura in sicurezza, ma il cui incremento definitivo – alcuni dicono – potrebbe migliorare la qualità dell’insegnamento. In entrambi i casi, la volontà politica sembra volere sfruttare l’emergenza per un’accelerazione che guardi oltre.

Per spiegare i nostri dubbi, partiamo dagli spazi. Il governo vuole riportare tutti in aula a settembre, limitando il più possibile divisioni delle classi, turni, scaglionamenti in ingresso e in uscita, riduzione del tempo delle lezioni. A tale scopo, è stato previsto un distanziamento molto blando – un metro lineare fra le ormai celeberrime «rime boccali» – al di sotto degli standard internazionali per il Covid-19. Per gli spazi che dovessero mancare si sono poi investiti 331 milioni di euro per la cosiddetta “edilizia leggera”, cioè, interventi a discrezione dei dirigenti scolastici per ridurre l’affollamento nelle aule e all’ingresso/uscita. Altre risorse, più importanti, dovrebbero esserci per interventi strutturali di rinnovamento di un patrimonio di edilizia scolastica che risale per quasi i due terzi a prima degli anni ’70 e ha problemi di sicurezza, di sostenibilità ambientale e – come insisteva il Rapporto sull’edilizia scolastica della Fondazione Agnelli – di adeguatezza degli spazi scolastici per strategie didattiche più moderne. Credo che quanto si dovrà e si riuscirà a fare entro settembre poco servirà a risolvere questi problemi. Anzi, è probabile che proprio l’esigenza di garantire sicurezza e distanziamento porterà a un uso piuttosto statico degli spazi e a privilegiare la didattica più tradizionale, quella frontale. Di converso, i due mesi estivi ovviamente non basteranno per gli interventi strutturali.

Passiamo agli insegnanti. Ne servono di più a settembre? Probabilmente sì, se per il distanziamento occorrerà ridurre il numero di studenti per classe e talvolta estendere la durata del tempo scuola. In tal caso, sarà giusto assumere per il tempo necessario più docenti a tempo determinato – come già previsto dal governo – e magari proporre ore di straordinario ai docenti che fossero disponibili. Servono più insegnanti per migliorare la nostra scuola in futuro? Non siamo fra chi lo pensa. L’Italia è uno dei paesi con il rapporto docenti/studenti più ridotto (10 alle secondarie, contro i 13 della media Ocse) e il numero medio di allievi per classe è basso (da 19 alla primaria a 22 alle superiori): infatti, al di là delle affermazioni della ministra Azzolina, prima del Covid-19 le classi pollaio non sono mai state un problema (meno dell’1% del totale). Inoltre, sappiamo che la popolazione studentesca sta diminuendo a grande velocità (1 milione in meno nel 2030). No, anche dopo il Covid-19 la questione degli insegnanti in Italia non è un incremento del loro numero. Le vere carenze riguardano la qualità della formazione, l’efficacia dei meccanismi di reclutamento, gli incentivi di carriera, retribuzione e il prestigio sociale da dare ai migliori laureati per indurli a scegliere la professione, soprattutto nelle aree disciplinari (incluso il sostegno) che oggi soffrono una mancanza di docenti qualificati.

Al di là della retorica, si potrebbe infine scoprire che un’eredità di questi mesi che servirà per il futuro della scuola italiana è la vituperata didattica a distanza. Oggi è considerata l’esito scolastico più negativo del lockdown. Perché iniqua nei confronti degli studenti più disagiati, anche per il modo improvvisato con cui è stata realizzata e il ritardo digitale italiano. E certamente incapace di sostituire la didattica in presenza. Ha, però, rivelato a molti insegnanti uno strumento potenzialmente prezioso: un suo uso intelligente è infatti complementare alle attività in presenza, consente di tenere viva l’attenzione, sviluppa la capacità di lavoro autonomo degli studenti, elimina i tempi morti della lezione, come la correzione dei compiti. Indubbiamente, una freccia in più all’arco di un buon insegnante.
*Direttore Fondazione Agnelli