Ripartire con l’Infanzia

RIPARTIRE CON L’INFANZIA: PROBLEMI E PROSPETTIVE

di Rita Manzara

Nel contesto delle numerose analisi (più o meno critiche) del “Documento per la pianificazione delle attività scolastiche, educative e formative in tutte le Istituzioni del Sistema nazionale di Istruzione (detto più brevemente “ Piano scuola 2020-2021”) sembra utile formulare un breve riflessione sulle “Linee metodologiche per l’infanzia”.

Va sottolineata, innanzitutto, la positività dell’attenzione dedicata ad un ordine di scuola che è rimasto sicuramente “ai margini” nel periodo di lockdown, nel corso del quale gli interessi sono stati focalizzati soprattutto sui processi di apprendimento e di valutazione di alunni e studenti della scuola primaria e secondaria (di I e II grado).

Si è trattata, peraltro, di una condizione inevitabile che il “ Piano scuola 2020-2021” ha recepito motivandola con “la necessità di contatto fisico che contraddistingue la relazione dei bambini col gruppo dei pari e degli adulti di riferimento”.

In altre parole, la DAD non ha avuto storia per i bambini dai 3 ai 6 anni, neppure quando ha offerto una didattica di qualità, collegialmente costruita da un affiatato team educativo e veicolata con le più accattivanti strategie di “comunicazione a distanza”.

Ho rilevato personalmente tale inefficacia parlando con alcuni docenti che hanno cercato di creare dei percorsi coinvolgenti per mantenere il rapporto con i bambini: la partecipazione di questi ultimi, già inizialmente ridotta pur se numericamente ancora accettabile, è progressivamente diminuita con il tempo. I genitori, che dovevano necessariamente presenziare alle lezioni,  hanno faticato a far mantenere l’interesse ai propri figli sull’attività proposta. In qualche caso, i bambini si sono dimostrati inibiti nella conversazione, limitando a priori l’interazione.

Tali difficoltà sono ben motivate nelle righe che il documento ministeriale dedica al tema “Educazione e cura per i piccoli” ove si legge: “I bambini di età inferiore ai sei anni hanno esigenze del tutto particolari, legate alla corporeità e al movimento: hanno bisogno di muoversi, esplorare, toccare. Il curricolo si basa fortemente sulla accoglienza, la relazione di cura, la vicinanza fisica e il contatto, lo scambio e la condivisione di esperienze”.

E’ notevole, tuttavia, la portata dei problemi posti in luce da tale considerazione: se, infatti, riconosciamo che il ritorno a scuola, per gli alunni di scuola dell’infanzia, deve essere previsto “in presenza”, come rapportiamo tale necessità con la garanzia del distanziamento fisico?

La stessa indicazione ministeriale di “approntare modalità organizzative che contemplino la difficoltà di garantire il distanziamento fisico, se non tra gli adulti” appare di difficile interpretazione.

Gli unici riferimenti organizzativi chiaramente identificabili e definibili riguardano i protocolli  per l’accesso quotidiano agli edifici, per l’ accompagnamento e il ritiro dei bambini, nonché per l’igienizzazione degli ambienti, delle superfici, dei materiali.

E’ molto complicato, invece, spiegare e capire come conciliare il rispetto delle prescrizioni sanitarie con“la qualità pedagogica delle relazioni”, mantenendo il clima di “alta intensità affettiva” che caratterizza la comunicazione nella scuola dell’infanzia.

Se è vero che “la relazione tra i bambini e gli adulti è la condizione per conferire senso alla frequenza di una struttura educativa per piccoli, che si caratterizza come esperienza sociale” , è di tutta evidenza che le misure necessariamente adottate dal docente a tutela della propria ed altrui salute (mascherina, visiera,guanti) potrebbero essere vissute come una sorta di “barriera” nei contatti (sia pur ravvicinati) con i bambini che dovrebbero, nel contempo, “essere messi nelle condizioni di potersi esprimere con naturalezza e senza costrizioni”.

Eppure è certo (ne sono sicura, dopo ventisei anni di approccio personale e diretto) che quasi tutti i/le docenti di scuola dell’infanzia possiedono effettivamente le capacità di mettere in atto le giuste strategie per trasformare questo passaggio in un momento educativo. 

Non si tratterà di tradurre – riduttivamente –  la prevenzione in un mero gioco o in una (brutta) favola. Non dimentichiamo che, per quanto in tenera età, quei bambini saranno i cittadini di domani. 

Bisognerà porre in atto, invece, quegli atteggiamenti idonei a far attraversare “con leggerezza” – a chi si affaccia alla vita – anche queste barriere, non mascherandole di finzione ma facendo comprendere l’importanza, fin da piccoli, di “essere responsabili”, giocando tra le paure e la fiducia una difficile partita. Quella di unfuturo di cui dovranno gradualmente impadronirsi.