La scuola in presenza nuoce all’apprendimento?

La scuola in presenza nuoce all’apprendimento?

di Maria Grazia Carnazzola 

  1. Introduzione

Sono perfettamente cosciente della provocatorietà del titolo scelto, ma credo che ogni persona di scuola, e non solo, debba porsi questa domanda di fronte alle valutazioni finali dell’ultima tornata dell’Esame di Stato. Riassumo: le lezioni in presenza sono state sospese a partire dall’inizio di marzo e- gradatamente, non ovunque con gli stessi tempi e con strumentazioni equivalenti- le lezioni sono riprese “a distanza”, con l’ausilio delle tecnologie informatiche, prevalentemente. Viva la preoccupazione degli insegnanti (non di tutti per la verità), delle famiglie e degli studenti, soprattutto quelli dell’ultimo anno che avrebbero dovuto affrontare l’esame finale, per la situazione che si era venuta a creare. Preoccupazione inutile: mai come quest’anno sono stati numerosi i 100 e 100 e Lode, così come non sono mai stati così pochi i punteggi che si collocano nella fascia 60/70. Un miglioramento notevole delle prestazioni, o meglio delle valutazioni. Quindi la domanda non è così peregrina: con meno lezioni in presenza si sono ottenuti risultati, o meglio valutazioni, migliori, stanti i dati a mia disposizione riferiti ad alcune province del territorio nazionale. 

2. A proposito di valutazione

Se l’Esame di Stato per gli studenti costituisce una valutazione sommativa finalizzata alla certificazione di conoscenze- abilità acquisite e di competenze sviluppate, per la scuola l’esame svolge un’azione di retroazione sugli esiti del proprio operare.  Non so quali analisi statistiche potranno essere fatte sui dati che saranno rilevati a livello nazionale- essendo venuti a mancare alcuni elementi fondanti, come le prove scritte comuni- quali elaborazioni e quali comparazioni dal momento che l’unica prova, giustamente regolamentata per durata e articolazione, è stata in gran parte interpretata “su misura” dalle scuole e dai consigli di classe.

La valutazione, per l’apprendimento e degli apprendimenti, è un buon indicatore del modello educativo, del ruolo e delle funzioni che la società assegna al mondo della formazione e che si manifesta, esplicitamente o implicitamente, nei processi organizzativi, gestionali e nei risultati. Valutare, ricordo, significa “attribuire valore” a qualche cosa, per poterla modificare o promuovere, in relazione agli scopi e alle finalità che si vogliono perseguire: può essere, quindi, lo strumento per rendere più giusto ed equo il sistema educativo e sociale. Nella normativa, la valutazione si configura come momento strutturale della programmazione didattica e della sua realizzazione. La valutazione è un processo inferenziale, ha bisogno di pensiero forte, fondato su principi esplicitati, di valori condivisi anche sul piano etico, per passare dai dati al giudizio, giudizio che assume significato in relazione a quei processi e a quei valori, rispondendo a istanze di coerenza, di trasparenza e di attendibilità richiesti dalla norma e dalla responsabilità sociale ma, prima ancora, dall’etica professionale dei docenti.  Insegnare è un’attività intenzionale e finalizzata e, come in ogni altra attività umana, vi dovrebbe essere insita la consapevolezza che l’attività valutativa è una parte costitutiva fondamentale, una risorsa che rende possibile il raggiungimento dei risultati, anche attraverso la modifica dei percorsi previsti.  Condizione questa anche nella scuola, necessaria ma non sufficiente. Prima bisogna decidere quali siano gli elementi informativi da rilevare, gli strumenti, le procedure da utilizzare, la modalità di raccolta e di processazione dei dati e della loro rendicontazione. Altrimenti, come tutti sappiamo, il valore simbolico e culturale assegnato alla valutazione degli esiti finisce con il qualificare i risultati e con l’orientare l’opinione pubblica, e l’azione educativa formale, in modo indipendente dalla legislazione vigente.

E questo non è bene per la democrazia e neppure per l’educazione. Occorrerà perciò seriamente riflettere anche su un altro elemento: quello della politica scolastica.

3. La scuola deve fare la scuola

Se, come pare a una prima analisi dei dati relativi alle valutazioni degli esami di Stato, i punteggi delle valutazioni sono più alti che in passato, a fronte di quattro mesi in meno di attività didattica in presenza, la domanda ritorna: che senso ha puntare su una scuola di tipo tradizionale se le valutazioni sono migliori con l’attività a distanza?  Il settore della formazione, nonostante le criticità, continua ad essere uno dei settori di allocamento di risorse economiche (soldi pubblici) più importanti del bilancio dello Stato.  E qui dovremmo davvero chiederci il senso delle esternazioni di ministri neoeletti, più di uno per la verità, che rivendicano l’aumento di retribuzioni… e minacciano dimissioni. Che i docenti debbano essere pagati meglio, lo sappiamo tutti e non da ora.  Ma chi si candida a governare un Paese, dovrebbe sapere che, soprattutto quando si parla di pubblico impiego, occorre coniugare le prospettive di retribuzione, anche dei docenti, con i processi di cambiamento e di miglioramento, eventualmente in atto, da rendere evidenti. Il prestigio di una categoria professionale non si aumenta semplicemente alzando la retribuzione che, peraltro, deve essere congruente con le politiche retributive complessive, e con l’andamento del mercato del lavoro, e tenere in debito conto le mediazioni sociali e le alleanze.  Le cifre destinate al mondo della formazione che spesso sono sbandierate (tre miliardi, cinque miliardi…)  fanno pensare a disponibilità economiche enormi in bilancio, ma a quali strategie rispondono?  Ritengo sia doveroso un chiarimento rispetto a quanto successo nella tornata di esami con una sola prova orale, con un credito scolastico consistente come mai prima. Non è questione di giusto o sbagliato, è questione di offrire al Paese una chiave di lettura di quanto è accaduto. E non è neppure questione di difendere i “maturati” con la solita demagogica argomentazione dell’emergenza e del “non appesantiamo ulteriormente”. I ragazzi sanno perfettamente cosa può essere chiesto loro e quando con loro si gioca al ribasso per nascondere omissioni  imputabili ad altri. I ragazzi hanno fatto quello che a loro veniva chiesto, che non sempre era correlato con quanto era stato a loro dato, come meglio hanno potuto.  E questo è il punto: quanto è stato loro richiesto.

4. Conclusioni

Non abbiamo contezza di ciò che succederà a settembre: se si rientrerà a scuola, se si continuerà con l’attività a distanza, se si alterneranno le due modalità.  E’ fisiologica l’incertezza: del Covid-19 neanche il mondo sanitario e della ricerca ha ancora capito granchè. Ma non è normale che la scuola si occupi di disinfettanti, di distanziamento, di rime buccali, di mascherine (aspetti delegabili) e non si preoccupi, invece, di un serio progetto di istruzioneformazione-educazione adeguato ai problemi posti dal presente, di un progetto teoretico (aspetto non delegabile) che ipotizzi finalità, obiettivi e soluzioni didattiche, e non solo organizzative, finalizzate alla comprensione dei problemi dell’oggi attraverso i saperi disciplinari e trasversali, in relazione ai possibili scenari. Mi auguro che le più volte annunciate linee guida per la formazione dei docenti pongano al centro i processi di apprendimento e le variabili che entrano in gioco nell’insegnamento. In presenza o a distanza, l’obiettivo rimane l’apprendimento, di conoscenze e di abilità per lo sviluppo delle competenze; le scienze cognitive e le neuroscienze ne hanno ampiamente illustrato le modalità, i tempi e i punti focali. Sarà necessario chiedersi che cosa permane e che cosa cambia  nell’attività in presenza o a distanza, per la gestione dell’attenzione, sul quando, il cosa e sul come agiscono le diverse tecnologie- tradizionali o digitali- ad esempio in relazione all’aspetto dell’attenzione condivisa, fondamentale in tutte le fasi dell’insegnamento/apprendimento.  O su come si possa condurre gli allievi all’inferenza delle grammatiche dei dominii, esclusivamente attraverso l’istruzione a distanza. O su altri aspetti ancora, come quello centrale dei “periodi sensibili” per l’apprendimento. Con la formazione è in gioco l’avvenire di future generazioni e un Paese che non si preoccupa di un serio progetto educativo non può avere un grande futuro.

BIBLIOGRAFIA

S. Sloman, P. Fernbach, L’illusione della conoscenza, Raffaello Cortina, Milano 2018;

S. Dehaene, Imparare, Raffaello Cortina, Milano 2019;

M. Dorato, Disinformazione scientifica e democrazia, Raffaello Cortina, Milano 2019.