Il Latino perché

Il Latino perché

di Maurizio Tiriticco

Non ricordo quale amico/a di FB mi abbia proposto la questione della necessità o meno dello studio del latino, per secoli lingua franca in Europa, oggi sostituito dall’inglese! Lo scrivere in lingua latina nel mondo dell’antica Roma in genere era compito degli scribi, che scrivevano sotto dettatura, perché la padronanza linguistica scritta non era considerata un valore per tutti, quale è invece oggi. La lingua latina, comunque, era regolata da una perfetta grammatica (fonologia, morfologia e sintassi). In effetti, il linguaggio parlato e scritto, ovviamente non quello colloquiale del volgo, ma quello della politica, delle leggi, dell’amministrazione della giustizia, della diaristica e della poesia, era regolato da regole precise, che Quintiliano (35-96 d. C.) ci elenca nelle sue Institutiones oratoriae.

Secondo l’illustre grammatico, la produzione linguistica – ovviamente quella finalizzata e colta, dell’oratore in primo luogo – si sviluppa lungo i seguenti gradini: inventio, dispositio, memoria, elocutio, actio. Chissà se i nostri tanti politici ciarlatani di oggi ne sanno qualcosa! Non credo! Comunque, ecco la crescete veemenza di un Cicerone che in Senato mette in guardia dal “pericolo catilinario”: – “Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? Quam diu etiam furor iste tuus nos eludet? Quem ad finem sese effrenata iactabit audacia? Nihilne te nocturnum praesidium Palati, nihil urbis vigiliae, nihil timor populi, nihil concursus bonorum omnium, nihil hic munitissimus habendi senatus locus, nihil horum ora voltusque moverunt? Patere tua consilia non sentis, constrictam iam horum omnium scientia teneri coniurationem tuam non vides? Quid proxima, quid superiore nocte egeris, ubi fueris, quos convocaveris, quid consilii ceperis, quem nostrum ignorare arbitraris? O tempora, o mores”.

E’ un modello di efficacia oratoria, ma… c’è un altro modello, quello di Giulio Cesare, che con la lingua scritta deve raggiungere e convincere il senato e i suoi concittadini della necessità della sua spedizione in Gallia! E ciò a dimostrazione che le sue imprese militari oltre le Alpi non sono uno spreco di danaro pubblico a suo esclusivo vantaggio, ma una assoluta necessità: quella di difendere e rafforzare i confini a nord di Roma e della penisola che la stessa Roma da anni controlla. Giova ricordare che al centro della pianura padana era stato fondato intorno al 590 a. C. un centro abitato, nei pressi di un santuario, forse con il nome di Medhelan (oggi Milano) da una tribù celtica appartenente alla cosiddetta “cultura di Golasecca”, che faceva parte del gruppo degli Insubri. Poi, nel 222, dopo una lunga lotta e un aspro assedio, Medhelan fu conquistata dai Romani, ormai proiettati da tempo oltre Roma e il Lazio. E’ opportuno ricordare che i Romani anni prima già si erano misurati con altri nemici al Sud della penisola: si tratta della “prima guerra punica” che ebbe una lunga durata: dal 264 al 241 a. C.

Insomma i Galli sono al nord quelli che al sud sono i Punici. Pertanto Cesare deve assolutamente convincere il “Senato e il Popolo Romano” della necessità della sua spedizione contro i Galli. Di qui nasce quel Bellum Gallicum che nelle nostre scuole costituisce ancora gioia e dolore di tanti nostri studenti. Ed ecco l’incipit famoso. Almeno per me! Nei miei anni di scuola lo imparavamo a memoria ed ancora lo ricordo (anche se, ovviamente, controllo il testo sul web): “Gallia est omnis divisa in partes tres, quarum unam incolunt Belgae, aliam Aquitani, tertiam qui ipsorum lingua Celtae, nostra Galli appellantur. Hi omnes lingua, institutis, legibus inter se differunt. Gallos ab Aquitanis Garumna flumen, a Belgis Matrona et Sequana dividit. Horum omnium fortissimi sunt Belgae, propterea quod a cultu atque humanitate provinciae longissime absunt, minimeque ad eos mercatores saepe commeant atque ea quae ad effeminandos animos pertinent important, proximique sunt Germanis, qui trans Rhenum incolunt, quibuscum continenter bellum gerunt”.

E via di questo passo! E Cesare dimostra di essere, oltre che un gran generale, anche un valente scrittore. In effetti, nel giro di pochi anni, dal 58 al 50 a. C., conquista vaste regioni europee, quelle che oggi costituiscono parte della Francia, della Svizzera, del Belgio, dei Pesi Bassi, della Germania. Ma delle sue azioni annota tutto, detta tutto! Lo immagino sotto la tenda la sera a dettare! Perché le sue ambizioni sono alte! Con le sue guerre deve conquistare Roma! E ci riesce! Anche se con un bellum civile! In seguitopagherà con la vita, perché il suo potere e il consenso del popolo a molti facevano paura! Ma Il suo scettro viene comunque ereditato da Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, suo figlio adottivo.

E con Augusto nasce l’Impero; e con esso nasce tutta un’altra storia!