Educazione civica, tra scienza e democrazia

Educazione civica: per un possibile parallelo tra scienza e democrazia.

di Maria Grazia Carnazzola

Dal prossimo settembre l’insegnamento di Educazione civica e Costituzione sarà obbligatorio in tutte le classi delle scuole di ogni ordine e grado; a partire dalla scuola dell’infanzia. 

Questo è un momento di palese difficoltà anche per il mondo della scuola sotto diversi aspetti; la legge n.92/2019 e le Linee Guida del giugno scorso, ripropongono una necessaria riflessione sul tema delle competenze di cittadinanza a cui dovrebbe essere finalizzato l’intero curricolo e, quindi, anche l’insegnamento di Educazione Civica.  Ho letto i diversi documenti, compreso il Piano per la formazione dei docenti del 16-7-2020, e pur condividendone il senso complessivo, alcuni interrogativi riguardanti la dimensione culturale, psico- pedagogica e valoriale, mi rimangono.

La cittadinanza deve essere la chiave di lettura dei tanti documenti che, nel tempo, si sono susseguiti, comprese le Indicazioni Nazionali per i Licei 2010, le Linee guida per gli Istituti Tecnici e Professionali 2010-2012-2017, le Indicazioni Nazionali per il primo ciclo di Istruzione 2012, il documento MIUR sulle Indicazioni per il curricolo del 22 febbraio 2018 e in molti altri. E dovrà continuare ad essere la chiave di lettura per comprendere e per interpretare gli indirizzi culturali e pedagogici presenti a volte esplicitamente a volte implicitamente nei documenti, perchè non basta ripetere le stesse cose con formule diverse o con nuovi documenti che spiegano via via il significato di documenti precedenti: serve individuare gli strumenti culturali e tecnici necessari per una visione complessiva, premessa per una compiuta realizzazione.

  1. Prima dell’educazione civica, l’educazione.

 L’educazione civica è un tassello fondamentale nella formazione dell’uomo e del cittadino, ma, tassello ancora più importante è l’educazione tout court, fatta di comportamenti rispettosi a casa, per strada, sui mezzi pubblici, a scuola… comportamenti che devono essere appresi perlopiù attraverso l’imitazione e, quindi, attraverso l’esempio. I ragazzi che abbiamo a scuola sono gli stessi che vediamo al bar o sugli scooter…pensiamo forse che dovrebbero essere diversi per il solo fatto di essere nella scuola? Non è così, o perlomeno, non è più così: i ruoli oggi dicono poco e se qualcuno nella scuola dice, è perché ne ha il coraggio e gli strumenti, la reputazione, la credibilità e la rispettabilità necessarie. Chi di noi ha in famiglia bambini o ragazzi, sa che queste non sono solo parole. Gli studenti irriverenti, o quanto meno demotivati e insofferenti, testimoniano la frattura che si è creata tra la scuola e la società, tra gli insegnanti e i genitori e danno atto della confusione imperante tra ruoli e funzioni, tra diritto all’istruzione e cultura della rivendicazione, in nome di una presunta democrazia.

La scuola non è democratica perchè permette a tutti di entrare: è democratica se permette a tutti di uscire con un bagaglio di cultura e di competenze che gli consentiranno di vivere nel miglior modo possibile- nella società- e di orientarsi nel mondo del lavoro. Solo se quelle competenze si fondano sugli strumenti culturali e tecnici necessari per conoscere e significare la realtà e per fare le proprie scelte, ciò sarà possibile.

2. Per non continuare a guardare il dito mentre si indica la luna.

Strumenti culturali e tecnici (e tecnologici) necessari per sapersi orientare, dicevo. Un buon funzionamento della democrazia non può prescindere da un livello quanto più possibile elevato di alfabetizzazione “scientifica”: la disinformazione che viaggia sulla rete, velocissima e incessante, se non controbilanciata da una adeguata familiarità con il sapere, può creare forme di consenso non mediate dagli esperti e mettere a rischio la sicurezza di intere popolazioni. Le vicende legate all’attuale pandemia la dicono lunga. Sottolineare la necessaria controllabilità pubblica delle posizioni e dei risultati scientifici, significa aprire le porte alla critica di altri scienziati, credibili per competenza e di comprovata reputazione, per una decisione collettiva. Con le dovute differenze, se guardiamo a fondo, anche i processi decisionali di una buona democrazia dovrebbero fondarsi su discussioni aperte alle critiche provenienti dalla stampa o dalle opposizioni, a confronti e a civili scontri di carattere pubblico, tra persone di riconosciuta competenza e reputazione.  Questa sarebbe la prima lezione di educazione civica per tutti. La crescente specializzazione di tutte le scienze moltiplica i linguaggi tecnici, sempre meno accessibili al grande pubblico sia in campo politico sia in campo scientifico: abbiamo bisogno di mediatori di conoscenza e di mediatori politici, di una qualche forma di mediazione da parte di esperti più competenti del cittadino medio: sappiamo che le conoscenze sono distribuite in modo ineguale. Questo è il fil rouge che dovrebbe collegare conoscenza e democrazia e a cui dovremmo essere formati. Il principio di controllabilità e di delega, sia in ambito politico sia in ambito conoscitivo, si fonda, direbbe J. Searle, sul primario contratto sociale di una comunità, cioè sulla fiducia in un linguaggio condiviso e non menzognero. Se prevalgono le asserzioni senza significato o false, i discorsi smarriscono il senso e ne consegue la caduta di legittimazione delle istituzioni. La qualità del linguaggio pubblico non è un lusso né un esercizio accademico: è un dovere civile.  Infatti, la società civile è fondata sulla possibilità, per ciascuno, di comprendere e di farsi comprendere. Parlare o scrivere bene attiene direttamente alla qualità del ragionamento e del pensiero. Non a caso, A. Camus aveva sostenuto che “Quelli che scrivono con chiarezza hanno dei lettori, quelli che scrivono in modo ambiguo hanno dei commentatori.”  Mi chiedo come mai, nelle linee guida non si faccia menzione, tra le altre discipline citate, della necessaria trasversalità della lingua, orale e scritta. “Tu sai bene che il parlare scorretto non è solo una cosa per sé sconveniente, ma fa male anche alle anime” ebbe a dire Socrate a Critone. Se le parole perdono aderenza con i concetti, cosa è Stato, cosa è libertà, cosa giustizia?

3. La scienza e la democrazia vogliono parole precise.

Tutti raccontiamo storie: è il nostro modo di dare significato e direzione a ciò che accade e che ci accade. Così come non possiamo non dire e non narrare, allo stesso modo dobbiamo cercare di comprendere quello che ci viene narrato. 

P. Watzlawick ha sostenuto che le parole e le frasi, usate in modo descrittivo e narrativo, possono avere una funzione costruttiva del mondo. Descrivere e narrare non sono operazioni neutre: possono creare la realtà. Vale quando si comunicano “verità” sia scientifiche sia politiche. Vale per la scienza – la cultura- vale per la democrazia. Allora dovremmo porci qualche domanda sul modo in cui sono scritti alcuni decreti, ordinanze, circolari, sul significato di formule come “didattica a distanza, apprendimento a distanza, arredi innovativi o sedute didattiche” che “scientificamente” non hanno senso.  La democrazia non è omologazione: è contrapposizione prima e mediazione, poi. 

Mediazione che si fonda sulle parole: più parole si posseggono, più possibilità di mediazione ci sono. Bisognerà che le giovani generazioni comprendano che democrazia non è solo regola di maggioranza; che in democrazia c’è chi vota, il popolo sovrano, e c’è chi decide, i suoi rappresentanti- i mediatori di cui ho detto più sopra-. Centrale, nella sfera politica e nella società civile, rimane il dibattito pubblico finalizzato anche a comprendere come si dovrebbe controllare chi ci governa e che fa riferimento all’intelligenza collettiva, in tutte le dimensioni del vivere e del sapere.  Le ipotesi scientifiche hanno a che fare con evidenze che le supportano in modo logico, possono essere valutate da scienziati e non da incompetenti. Se la scuola riuscisse a farlo comprendere, certi dibattiti televisivi o certe notizie in rete lascerebbero il tempo che trovano: tutti avrebbero gli strumenti per distinguere un parere fondato da un’opinione generica e/o da un’opinione interessata.  E questa sarebbe educazione civica, al di là dei contenuti di conoscenza. Riflettere sugli aspetti descrittivi e normativi della scienza e della democrazia, sui valori che le fondano- il pluralismo, il consenso, l’oggettività, la tolleranza, il rispetto dei fatti, l’apertura alla critica e al dissenso, contrapposti al dogmatismo e al conformismo,- possono costituire per i docenti piste di lavoro su cui convergere per individuare il contributo che ogni disciplina deve apportare, al di là dei contenuti.  In altro modo non vedo come potrebbero poi essere individuati gli elementi sui quali costruire i criteri per la valutazione da esprimere con un unico voto. Ma di questo parlerò in un’altra occasione.

4. Conclusioni.

Mi auguro che si riesca veramente a finalizzare l’insegnamento/apprendimento di Educazione Civica e Costituzione allo sviluppo delle competenze di cittadinanza; se ci si fermasse a una interpretazione degli aspetti sociali, relazionali o tecnici ne andrebbe perduta la potenziale valenza cognitiva e culturale. Da un lato occorrerà puntare a un percorso fondato su valori condivisi, su atteggiamenti collaborativi di convivenza civile e di legalità, dall’altra su competenze culturali forti di saperi disciplinari e di abilità trasversali che consentano a ciascuno di comprendere, selezionare, organizzare le informazioni per risolvere i problemi e progettare la propria vita facendo responsabilmente le proprie scelte.

BIBIOGRAFIA

M. Dorato, Disinformazione scientifica e democrazia, Raffaello Cortina Editore, Milano 2019;

Platone, Fedone- in Tutti gli scritti, G. Reale, Rusconi Ed: Milano 1994;

P. Watzlawick, La realtà della realtà. Comunicazione, disinformazione, confusione, Astrolabio Roma 1976; 

C. Sini, L’alfabeto e l’occidente, Jaca Book, Milano; L. 92/2919 e Linee Guida giugno 2020

Piano per la formazione dei docenti, 16 luglio 2020

Competenze chiave 2018.