Media Education e digitalizzazione dei processi educativi

Media Education e digitalizzazione dei processi educativi
Riflessioni a margine della Summer School MED

di Erica Della Valle

Il Coronavirus è arrivato all’improvviso e ha stravolto vite, abitudini e consuetudini.

La prima istituzione ad essere colpita da questa onda anomala è stata la scuola, i ragazzi dall’oggi al domani si sono trovati a casa ad affrontare la didattica a distanza, a sperimentare un nuovo modo di “fare scuola”.

La situazione di emergenza in atto dovuta alla diffusione del Covid ha imposto alle scuole la didattica a distanza per cercare di colmare il vuoto non solo in termini di apprendimento, ma anche di relazioni sociali. La maggior parte delle istituzioni si è trovata impreparata a gestire questa grave crisi che ha coinvolto i docenti, ma anche e soprattutto le famiglie che si sono trovate a dover gestire improvvisamente una dimensione virtuale che fino a prima della crisi era soprattutto legata ad attività di divertimento e svago.

La didattica a distanza nella scuola ha imposto l’uso di piattaforme informatiche e di svariati sistemi di collegamento e di condivisione di immagini, video e documenti, spesso non valutati adeguatamente, a causa dell’emergenza, sotto il profilo della tutela della privacy imposta dal Regolamento UE n.679/16. Una delle questioni più delicate, infatti, riguarda l’individuazione delle modalità e dei tempi di cancellazione dell’enorme quantità di dati, di diversa natura, oggi trattati per via informatica, in ambito scolastico.

1. MED e Summer School.

MED, associazione nata nel 1996 per volontà di un gruppo di docenti universitari, professionisti dei media, insegnanti ed educatori, si occupa di formazione e ricerca nell’ambito della Media Education e da quasi 30 anni organizza una Summer School nazionale.

La Summer School nella sua edizione 2020, eccezionalmente tenuta in modalità online, ha affrontato diverse tematiche relative alla recente migrazione, della scuola e della formazione in genere, sulle piattaforme online a causa delle misure contenitive anti-Coronavirus. Questa migrazione ha posto, in maniera ancora più pressante, la necessità di una maggiore chiarezza sui sistemi di facilitazione e controllo non solo dei processi educativi mediati dalle tecnologie digitali, ma anche, più in generale, dei numerosi campi del nostro vissuto quotidiano, sempre definiti sulla base dei cosiddetti machine learning alghoritms (algoritmi ad apprendimento automatico).

In particolare, una delle domande di fondo della Summer School riguardava il chiedere come, nel momento in cui l’algoritmizzazione dei sistemi formativi sposta gran parte dei processi decisionali nelle mani della macchina, si riconfigura la responsabilità degli insegnanti nei confronti del singolo studente e degli studenti tutti. Inoltre, la Summer ha posto l’accento sulla questione dei dati acquisiti in formato digitale attraverso l’uso delle tecnologie fuori e dentro l’aula; problematica che non riguarda solo gli insegnanti, ma ovviamente anche gli studenti.

2. Media Education.

Di Media Education si parla ormai da circa cinquant’anni e l’introduzione dei mezzi di comunicazione di massa nelle scuole di ogni ordine e grado non è certo una novità. Ma la comunicazione negli ultimi anni è radicalmente cambiata e, mentre la ricerca di contenuti e delle modalità didattiche da parte della scuola italiana è ancora in corso, già si sono imposte prospettive ed esigenze nuove che il sistema educativo, in tutte le sue espressioni, non può ignorare.

In Italia si è iniziato ad utilizzare l’espressione Media Education agli inizi degli Anni Novanta. Fino ad allora si preferivano espressioni come “educazione agli audiovisivi”, “educazione all’immagine”. Il termine Media Education, secondo Masterman, indica un insieme di pratiche e teorie, un fare e insieme una riflessione su di esso. Più nello specifico, la Media Education si può definire una prassi educativa, cioè un campo metodologico e di intervento didattico e insieme una riflessione teorica su questa prassi, cioè individuazione degli obiettivi, elaborazione di metodologie atte a conseguirli.

Sempre secondo Len Masterman, essa diventa uno strumento per produrre cultura ed allargare la democrazia: un’educazione ai media riuscita comporta, infatti, un’attribuzione di potere a coloro che apprendono, essenziale per formulare giudizi indipendenti.

Come sostiene Rivoltella, l’avvento del digitale e la sua affermazione su larga scala sociale ha comportato due sostanziali riconcettualizzazioni per la Media Education. La prima ha a che fare con il carattere autoriale dei media digitali e sociali: questa specificità trasforma lo spettatore in prosumer e chiede di affiancare lo sviluppo di pensiero critico con quello della responsabilità. La seconda fa, invece, i conti con la diffusione dei media digitali e la loro incorporazione a livello individuale e sociale; questo fa sì che la Media Education estenda la propria presenza oltre i confini della scuola per comprendere la famiglia e i contesti informali.

3. Il nuovo contesto.

La digitalizzazione nei processi educativi non sembra porre in questione solo delle riflessioni tecniche, ma soprattutto delle riflessioni pedagogiche sulla formazione dei futuri cittadini.

La scuola è chiamata ad una radicale trasformazione per rispondere alle sfide della società digitalizzata. Lo deve fare, però, con assoluta consapevolezza e non affannandosi a rincorrere l’ultima tecnologia
disponibile, ma piuttosto continuando a svolgere la sua funzione: fornire agli studenti gli strumenti per leggere criticamente la realtà così come essa si presenta in un certo periodo storico.

La scuola deve fornire agli studenti gli strumenti necessari per l’elaborazione di un pensiero critico, consapevole dei limiti e delle possibilità offerte da questa società digitale.

La scuola deve portare l’attenzione dei ragazzi sulla necessità di utilizzare con consapevolezza tutti gli algoritmi di cui la società è ormai caratterizzata, ricordando ai ragazzi che, come ha sottolineato Raffaghelli, durante il suo intervento alla Summer School, ogni algoritmo opera sempre sulla soglia di chi lo ha creato.

Ora più che mai è, quindi, necessario affiancare ed integrare un’adeguata formazione tecnica con un’accurata riflessione pedagogica che permetta ai docenti di riflettere sul valore aggiunto e sui limiti della tecnologia; sui modi in cui la tecnologia può essere utilizzata per sviluppare alcune competenze dei ragazzi e farli diventare cittadini critici e responsabili e, infine, su come e in che modo la tecnologia possa essere utilizzata per raggiungere determinati obiettivi di insegnamento e di conseguenza determinati risultati di apprendimento.

La tecnologia sta influenzando sempre di più i processi didattici; l’introduzione delle tecnologie nei processi di insegnamento e apprendimento richiede dei cambiamenti sia relativamente all’uso di nuove metodologie in grado di utilizzare efficacemente i vantaggi offerti dalle tecnologie, sia per quanto riguarda gli aspetti legati alla valutazione. In questo contesto, il termine Learning Analytics definito come la misurazione, la raccolta, l’analisi e la presentazione dei dati sugli studenti e sui loro contesti, ai fini della comprensione e dell’ottimizzazione dell’apprendimento e degli ambienti in cui ha luogo, trova la sua naturale applicazione.

Qual è l’impatto di tutto questo sulle pratiche di insegnamento e di apprendimento? Che ruolo ha il docente?

Se i L.A. possono costituire la base per una buona progettazione dell’insegnamento, per una pedagogia che aumenta l’autoconsapevolezza dello studente e favorisce l’apprendimento personalizzato, è però necessario che questi strumenti non siano utilizzati come mezzi per imporre forzatamente quello che si considera
efficace. Infatti, non sempre l’accesso a molti dati è garanzia di migliori decisioni.

La comprensione e l’ottimizzazione dei dispositivi di L.A. richiede, quindi, una buona comprensione di come si apprende, come si può facilitare l’apprendimento, e dell’importanza di fattori quali l’identità, la reputazione e le emozioni. Il ruolo e l’esperienza dei docenti rimangono elementi essenziali per sfruttare le potenzialità della soluzione tecnologica utilizzata, che quindi diventa uno strumento al servizio della didattica e dei docenti.

4. Conclusioni.

In un dibattito parcellizzato in singole discussioni su metodologie e strumenti è necessario riportare l’attenzione sulle domande prioritarie per la scuola: quali competenze deve dare alle nuove generazioni di nativi digitali? In cosa si differenziano da quelle che la scuola e in generale il sistema formativo si proponevano di fornire in passato? In che modo i nuovi strumenti possono essere utilizzati e quali effetti producono?

L’impossibilità per la scuola di prescindere dalla presenza delle TIC, ancora più evidente nello stato emergenziale, e la necessità di personalizzare i processi di apprendimento suggeriscono, ai docenti,
nuove domande sui processi di organizzazione della conoscenza e della didattica. I processi di insegnamento dovrebbero essere caratterizzati dalla messa in crisi del tradizionale impianto contenutistico – disciplinare per favorire la costruzione di un tessuto relazionale fra nozioni e concetti, in vista dello sviluppo delle competenze chiave. Una didattica non più duale, ma come l’ha definita P.G. Rossi durante il suo intervento alla Summer School, una didattica fondata sulla logica del frammento e centrata sulla costruzione di una fitta rete di rimandi che permette di dare significato ai diversi frammenti.

La sfida prioritaria a cui la scuola è chiamata, quindi, è quella di dare allo studente le competenze necessarie a riconoscere, comprendere, selezionare, utilizzare, produrre contenuti informativi strutturalmente articolati e complessi. La scuola deve avviare la generazione dei nativi digitali all’enorme lavoro di riconquista della complessità che li attende, in un ecosistema informativo assai più ricco ma anche assai più variegato e frammentato di quanto non avvenisse in passato.