25 luglio 1943

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25 luglio 1943

di Maurizio Tiriticco

Io fino a quel 25 luglio 1943 ero un convinto BALILLA MOSCHETTIERE, fiducioso che Roma, dai suoi sette colli avrebbe dovuto illuminare il mondo con la sua civiltà! INVECE… POI… In effetti io, solo dalla mattina del 26 luglio 1943 ho cominciato a “comprendere e a ragionare”, anche con il conforto dei miei genitori, i quali per tutto il periodo fascista si erano guardati bene dal “parlare di politica” in mia presenza. Sarebbe stato troppo pericoloso! Se io avessi detto in giro: “Papà ha detto che la guerra la perderemo”, oppure “la mamma si lamenta perché quello che compra con le tessere annonarie costa troppo e non basta mai”, che cosa sarebbe successo? I miei sarebbero stati denunciati come disfattisti e antifascisti! Ma in seguito, dopo tre anni di guerrainutile, di battaglie perdute, di ragazzi morti illusi dalla retorica fascista di “fare grande la Patria”, stava per giungere il momento della verità! O della resa dei conti? Perché anche questo fu il 25 luglio! Ma andiamo con ordine.

Per il pomeriggio del 24 era stato convocato il Gran Consiglio del Fascismo! Per noi ragazzi, balilla e avanguardisti, una notizia come un’altra! La stampa non dava mai giustificazione di alcunché! Alla riunione c’erano tutti i gerarchi e in divisa sahariana! Era estate e faceva un caldo boia a Roma! La discussione all’interno del Gran Consiglio fu animatissima! Noi stavamo perdendo su tutti i fronti! E si doveva prendere qualche decisione per evitare un disastro.Dino Grandi, un gerarca di grande rilievo, presentò una mozione che prevedeva addirittura la sfiducia a Mussolini! Il Duce che per più di vent’anni era stato esaltato ed idolatrato! Fatto assolutamente nuovo in un regime in cui il Duce “aveva sempre ragione”! La riunione aveva avuto inizio alle 17,15. E la discussione era stata animatissima. Il Duce sfiduciato? Sì! Dopo un ventennio di dittatura! Dopo vent’anni di lodi sperticate nei suoi confronti! Noi balilla moschettieri cantavamo: “Duce, tu sei la luce, fiamma dei nostri cuori! C’un popolo che dice: Duce, Duce, Duce”. Insomma, che stava succedendo in quella rovente estate del ’43? La guerra si stava perdendo su tutti i fronti! Le nostre città, le vie consolari che portavano a Roma, le ferrovie, i porti erano bombardati quotidianamente. Era nella percezione di tutti che la guerra ormai era perduta!

E lo era anche nelle alte sfere! Lì dove occorreva prendere qualche decisione. Atto primo: liberiamoci di Mussolini! Quindi: 24 luglio, ore 17 convocazione del Gran Consiglio del fascismo in Palazzo Venezia, salone del Pappagallo. La discussione fu lunga e accesa. Al termine l’odg Grandi che sfiduciava Mussolini fu votato alle 2:30 del 25 luglio. Diciannove gerarchi votarono a favore, sette furono contrari, unosi astenne. Il resto è noto. Mussolini si recò dal Re perrassegnare le sue dimissioni ed il Re con uno stile puramente fascista – aveva imparato bene la lezione – lo impacchettò! E di lui la pubblica opinione non seppe più nulla! Fino a quando, molto tempo dopo, il 12 settembre, fu liberato dalla prigionia sul Gran Sasso dai paracadutisti tedeschi della seconda Fallschirmjäger e dalle SS del Sicherheitsdienst. Giova ricordare che l’8 settembre, dopo l’annuncio dell’armistizio, dopo la fuga del Re, della sua corte e del suo governo da Roma, le truppe tedesche avevano occupato militarmente l’intero Paese, tranne la Sicilia, perché era già stata liberata dalle truppe alleate che vi erano sbarcate il 9 luglio.

Eppure il Duce aveva assicurato il Paese con un discorso del 5 luglio con queste parole: “Bisogna che non appena questa gente tenterà di sbarcare, sia congelata su questa linea che i marinai chiamano del bagnasciuga”. Intendeva che sarebbero stati bloccati sulla battigia! Ma non andò così!

La sera del 25 luglio l’Eiar (Ente italiano audizioni radiofoniche) interruppe le trasmissioni e lo speaker con voce fredda e stentorea, calma e glaciale, diffuse questo comunicato: “Sua Maestà il Re e Imperatore ha accettato le dimissioni dalla carica di Capo del Governo, Primo ministro, Segretario di Stato, di Sua Eccellenza il Cavaliere Benito Mussolini, e ha nominato Capo del Governo, Primo ministro, Segretario di Stato, il Cavaliere, Maresciallo d’Italia, Pietro Badoglio”. I titoli contavano ancora! Al comunicato, laconico quanto mai, seguì la lettura di due proclami del re e di Badoglio. Ricordo le sue ultime parole: “La guerra continua. L’Italia duramente colpita nelle sue Provincie invase, nelle sue città distrutte, mantiene fede alla parola data, gelosa custode delle sue millenarie tradizioni…”! La retorica era la stessa! Cambiavano i retori!

La caduta di Mussolini venne letta dal popolo come l’imminente fine della guerra! E le manifestazioni contro quel Duce che tre anni prima, il 10 giugno del 1940, era stato applaudito quando, dallo “storico balcone” del Palazzo di Piazza Venezia, aveva annunciato la dichiarazione di guerra contro la Francia e la Gran Bretagna, la Perfida Albione, interessarono le piazze di tutto il Paese. Ma ilmaresciallo Pietro Badoglio, nominato dal re capo del governo lo stesso 25 luglio, si affretta a reprimere gli entusiasmi popolari e annuncia alla nazione che “la guerra continua”.

Ecco il suo discorso: “Italiani! Per ordine di Sua Maestà il Re e Imperatore assumo il Governo militare del Paese, con pieni poteri. La guerra continua. L’Italia, duramente colpita nelle sue provincie invase, nelle sue città distrutte, mantiene fede alla parola data, gelosa custode delle sue millenarie tradizioni. Si serrino le file attorno a Sua Maestà il Re e Imperatore, immagine vivente della Patria, esempio per tutti. La consegna ricevuta è chiara e precisa: sarà scrupolosamente eseguita, e chiunque si illuda di poterne intralciare il normale svolgimento, o tenti turbare l’ordine pubblico, sarà inesorabilmente colpito. Viva l’Italia. Viva il Re”.

Fu festa grande nel Paese! Gli Italiani che tre anni prima, con la dichiarazione di guerra, erano fascistissimi, si ritrovarono tutti antifascisti! Grande festa nelle piazze! E grande festa a casa mia!!! Non ricordo se mamma e papà stappassero o meno una bottiglia, ma ricordo parole di gioia! «Mussolini è caduto! Mussolini non c’è più! Ora possiamo parlare, possiamo dire tutto quello che pensiamo»! Insomma tutti discorsi di questo tipo. Ed io in… felice sofferenza! O in una felicità sofferta! Non so! Ma il turbamento era profondo! Volevo capire, ma non capivo! Mia sorella Pucci era ancora piccola – avrebbe compiuto nove anni il 2 ottobre – e non era partecipe della nostra festa e dei nostri commenti, ma rideva anche lei! Gli ultimi mesi erano stati molto duri per noi tutti. Ricordo i volti sempre scuri dei miei genitori… non ci dicevano nulla… ci risparmiavano delle loro preoccupazioni e dei loro problemi… che poi erano anche i nostri, di tutti… Quella sera invecesi parlò a lungo e non si ebbero particolari preoccupazioni nell’ascoltare Radio Londra e i commenti del colonnello Stevens. A cui seguiva sempre una serie di messaggi speciali destinati alla Resistenza. Avevamo perso la guerra! Non ci restava che costruire la pace!

Che non arrivava mai! E dovemmo attendere fino all’8 settembre. Ma questa è un’altra storia.