Se la scuola resta un rebus

da la Repubblica

Chiara Saraceno

L’incertezza su come, e per chi, riaprirà la scuola a settembre è un dato di fatto, non una percezione sbagliata fomentata da un eccesso di ansia di genitori e studenti e da una informazione ostile, quando non intenzionalmente mendace, da parte dei media, come sembra pensare la ministra Azzolina. Nonostante le continue rassicurazioni — «la scuola riaprirà» — con cui accompagna il suo giro di visite nelle diverse Regioni, nelle singole situazioni concrete le certezze scarseggiano.

Il 10% di alunni che non troverà posto fisico sembrerà poco alla ministra, che per altro non era rimasta particolarmente turbata neppure dal 20% che, secondo i dati del suo ministero, non ha ricevuto alcuna didattica a distanza. Sono centinaia di migliaia di bambini e ragazzi concretissimi, con i loro bisogni e diritti educativi calpestati. Sono centinaia di migliaia di genitori che non sanno ancora se e in quali condizioni i loro figli faranno lezione e che tipo di soluzioni organizzative dovranno trovare per fare fronte a ciò che la scuola (non) offrirà loro.

Non si sa dove, in quali scuole, non si troverà posto e quindi occorrerà alternare lezioni in presenza e a distanza. Non si sa se sarà garantito il tempo pieno nella scuola dell’obbligo, almeno là dove c’era già.

Laddove sarebbe opportuno estenderlo a tutti, almeno nella scuola primaria, per garantire pari opportunità e ricchezza di curricolo educativo a tutti i bambini. Anzi, si pensa ad una riduzione del tempo scuola come soluzione alla fame di spazi e alla possibile esigenza di dover fare i turni. Si parla di un “cruscotto informativo” dove tutte queste informazioni dovrebbero trovarsi articolate dal livello nazionale fino al dettaglio locale.

Ma non vengono rese note, tantomeno agli utenti finali, studenti e genitori che a fine luglio sono ancora tenuti nel buio più assoluto.

Dopo i lunghi mesi di lockdown, seguiti da una ancora più lunga interruzione estiva, la riapertura delle scuole si presenta come un indovinello di cui nessuno conosce la soluzione: presidi e direttori didattici, studenti e genitori. Se i figli sono più d’uno, in scuole diverse, con organizzazioni diverse, per questi ultimi rischia di diventare un incubo. Le cose sono, se possibili, peggiori per i più piccoli, nella misura in cui non sono neppure garantiti i livelli di copertura pre-Covid 19 né nella scuola dell’infanzia né nei nidi.

Non è responsabilità della ministra la bassa qualità edilizia e talvolta vera e propria pericolosità di molti edifici scolastici, resa ancor più inaccettabile dalle esigenze di prevenzione. Tuttavia non è possibile che la scuola arrivi così impreparata all’appuntamento di settembre, al punto che anche il bando per l’acquisto di banchi viene fatto a fine luglio, come se già a marzo o aprile non fosse chiaro che occorreva attrezzarsi, e non solo e prioritariamente per i banchi.

Il prolungamento della chiusura delle scuole, che ha distinto l’Italia rispetto a tutti i Paesi europei, invece di servire per attrezzarsi meglio per la ripresa è servito solo per ritardare colpevolmente ogni decisione, in uno scarica-barile inaccettabile tra Miur e comitato tecnico-scientifico, Miur e presidi ed enti locali, Miur e sindacati. Con l’esito finale di scaricare ogni problema sui bambini e ragazzi e le loro famiglie. A danno di tutti, ma soprattutto di chi ha meno risorse, naturalmente.

Altro che contrasto all’esclusione scolastica e alla povertà educativa! Queste non si combattono semplicemente promuovendo tutti, lavandosi le mani delle difficoltà create o non riconosciute, ma con un di più di impegno, di offerta educativa, che non consiste solo di banchi e aule, ma di costruzione di rapporti di fiducia, oltre che di docenti preparati e di modalità didattiche adeguate.