Riflessioni itineranti sulla “didattica a distanza”

Riflessioni itineranti sulla “didattica a distanza”

di Margherita Marzario

Abstract: Brevi riflessioni critiche sulla “didattica a distanza” tra pareri di esperti e riferimenti normativi

Durante l’emergenza sanitaria da Covid-19 la scuola e l’università italiane, da marzo 2020 come in altri Paesi del mondo, hanno fatto ricorso alla cosiddetta “didattica a distanza” (acronimo DAD) su cui si sono scritti fiumi di parole per esporne caratteristiche e critiche.

La giurista Stefania Baroncelli dell’Università di Bolzano ha scritto, peraltro, in un suo saggio che “[…] i risultati di vari studi, infatti, hanno mostrato come gli studenti con disabilità o difficoltà socioeconomiche siano quelli più colpiti dalla mancanza di una comunità scolastica di riferimento, mettendo in pericolo l’attuazione degli artt. 3 e 34 della Costituzione”. La “didattica a distanza” non può essere generalizzata né esaltata né obbligata anche perché non rispetta alcuni principi costituzionali: non si realizza una “formazione sociale” né si pratica la solidarietà (art. 2 Cost.), si ha un livellamento e non si rimuovono gli ostacoli (art. 3 Cost.), non si ha libertà di metodologia (art. 33 Cost.), non consente una scuola aperta a tutti perché attraverso uno schermo non si può tenere conto delle differenti esigenze né dei capaci e meritevoli (art. 34 Cost.). Inoltre, la “didattica a distanza” non garantisce la tutela della privacy e quella del diritto d’autore e l’attendibilità (o affidabilità) delle verifiche, degli esami e del cosiddetto accertamento delle competenze. Nei confronti degli alunni più piccoli vengono meno le peculiarità e le specificità della scuola dell’infanzia e della scuola primaria.

L’educatore gesuita Vitangelo Carlo Maria Denora richiama: “È risultato evidente che, in situazione di DAD e di videoconferenza, occorre prestare attenzione a non sovraccaricare di stimoli e contenuti: il rischio effettivamente un po’ paradossale che si potrebbe correre è quello dell’«eccessivo carico cognitivo», che può risultare opprimente invece che stimolante per la continuità del percorso scolastico. I ragazzi, superata una certa soglia, si perdono e si demotivano”. Insegnare non è solo trasmettere conoscenze (quello che si fa o si rischia di fare con la “didattica a distanza”) ma istruire e l’istruzione è un pilastro dell’umanità. “L’istruzione deve mirare al pieno sviluppo della personalità umana e al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza e l’amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l’attività delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace” (art. 26 par. 2 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani).

“Didattica a distanza” (DAD), “Legami educativi a distanza” (LEAD) per i bambini più piccoli: si rifletta su quanto queste formule e soluzioni rispondano all’interesse superiore del fanciullo (art. 3 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia) e su quanto, invece, rispecchino l’adultocentrismo imperante e la conseguente distanza dal mondo dell’infanzia e dell’adolescenza di cui tanto si parla ma con cui poco si parla e di cui, ancor meno, ci si mette all’ascolto.

In particolare i LEAD (la cui denominazione è già opinabile), nonostante l’impegno e gli sforzi delle educatrici e delle insegnanti, rivelano più criticità: innanzitutto la necessaria mediazione dei genitori che, alla lunga, mostrano stanchezza perché presi da impegni lavorativi, altri figli (soprattutto se frequentanti la scuola primaria), per la mancanza di competenze didattico-pedagogiche e anche per lo scarso ascolto da parte dei figli che non riconoscono in loro lo stesso ruolo delle insegnanti; risulta essere una didattica non adeguatamente inclusiva per i bambini con disabilità, disturbi del linguaggio, altri disturbi o di lingua e cultura straniera al loro ingresso in un mondo extrafamiliare; è compromessa “l’identità” della scuola dell’infanzia basata sui “campi di esperienza” come si evince dalle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione dl 2012, per esempio: “Il curricolo della scuola dell’infanzia non coincide con la sola organizzazione delle attività didattiche che si realizzano nella sezione e nelle intersezioni, negli spazi esterni, nei laboratori, negli ambienti di vita comune, ma si esplica in un’equilibrata integrazione di momenti di cura, di relazione, di apprendimento, dove le stesse routine (l’ingresso, il pasto, la cura del corpo, il riposo, ecc.) svolgono una funzione di regolazione dei ritmi della giornata e si offrono come “base sicura” per nuove esperienze e nuove sollecitazioni”. I bambini, perciò, si ritrovano a vivere gran parte della giornata da soli entro le pareti domestiche.

La scuola non è solo lezioni, attività, contenuti, ma un luogo fisico e mentale, normale e speciale, in cui ci si incontra e ci si scontra, un insieme di rumori e odori tipici, di situazioni e di emozioni, di sguardi di intesa e di urti anche contro i banchi tanto da ritrovarsi i lividi. Nulla la può sostituire e costituire alla pari (si osservi come negli articoli 33 e 34 della Costituzione si usano termini differenti come “insegnamento”, “scuola”, “istruzione”). Educare, istruire è come amare: non si può fare attraverso mezzi, filtri, schermi. Si ha bisogno di sguardi diretti, contatti, vicinanza, contesto, atmosfera circostante…

Vitangelo Carlo Maria Denora aggiunge: “Gli spazi della scuola che si ampliano e coinvolgono la città richiedono poi la concretizzazione di un più ampio patto educativo, capace di coinvolgere non soltanto chi – come studenti, docenti e genitori – è direttamente implicato nelle attività della scuola, ma anche in senso più ampio la comunità che gravita attorno alla realtà educativa. Si intuisce allora il disegno di una scuola del futuro dalle porte aperte, capace di lasciar entrare le ricchezze culturali e sociali, e di lasciar uscire proposte ampie e stimolanti per lo sviluppo del territorio in cui si trova”. L’emergenza sanitaria da Covid-19 ha sollevato problemi vecchi e nuovi della scuola, dalla mancanza degli spazi all’adeguatezza dei metodi. I problemi della scuola non devono riecheggiare solo in caso di eventi straordinari né devono riguardare solo i soggetti scolastici ma riguardano tutti: “La scuola è aperta a tutti” (art. 34 comma 1 Cost.).

La storica Lucetta Scaraffia descrive una tendenza della scuola di oggi: “Allineare tutti verso il basso, spingere verso un’uguaglianza solo superficiale intorno a denominatori accessibili per tutti non ha come risultato una maggiore eguaglianza, ma, al contrario, l’esaltazione delle differenze di origine e una disperante immobilità della scala sociale”. La scuola sta diventando massificante (forse ancor di più con la “didattica a distanza” intesa soprattutto come “didattica digitale” basata su videolezioni) e rende le differenze distanze interpersonali e sociali e non distinzioni. L’Obiettivo 4 dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è: “Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti”.

In quattro articoli della Costituzione l’incipit è “La Repubblica riconosce”: art. 2 i diritti inviolabili dell’uomo, art. 4 il diritto al lavoro, art. 29 i diritti della famiglia, art. 45 la funzione sociale della cooperazione. Tutti valori che formano la persona e la comunità, che sono affiorati pure durante l’emergenza sanitaria e che interessano la scuola.

Il pedagogista Daniele Novara sostiene: “Una cappa di pregiudizi antichi come l’epoca di Erode si è abbattuta sull’infanzia mettendo a rischio la crescita dei più piccoli in un momento cruciale della loro vita. Sta ai genitori e alla società riscattare queste carenze, riportandoli a una vita normale: scuole aperte, giochi con i coetanei, adeguata libertà di movimento. Si tratta di restituire loro tutta la voglia di felicità di cui dispongono e che si meritano pienamente”.