Ritorno a ottobre: tre scenari di rischio e la grande paura dell’infezione a scuola

da la Repubblica

Corrado Zunino

Ecco lo studio per preparare ottobre, annunciato dal ministro Roberto Speranza ieri al Senato. “Il lungo lavoro fatto dal ministero della Salute insieme all’Istituto superiore di Sanità” si è tradotto in sei pagine larghe che prefigurano tre scenari possibili sul fronte Covid, rivelano che l’allerta clinica si prolungherà a tutto l’inverno (quindi, fino a marzo 2021) e ammettono che i maggiori rischi di un ritorno del contagio saranno sulla scuola: “Non è nemmeno noto l’impatto che potranno avere le misure di riorganizzazione scolastica che si stanno mettendo in campo in questi giorni”. Speranza lo ha ribadito, però: “A scuola si tornerà e si tornerà in sicurezza”.

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Le linee guida per ottobre si chiamano “Preparedness“, preparazione a “minimizzare i rischi posti dalle malattie infettive e per mitigare il loro impatto”. Sono state chiuse lunedì 3 agosto e diventeranno un documento che ispirerà la prossima circolare ministeriale. Sul piano concreto, si sa, ripartiranno a breve le crociere e gli scuolabus, restano ferme le discoteche e a porte chiuse gli stadi, si sta discutendo con forza sulla capienza dei treni locali (50 per cento dei posti assegnati, dice la Salute sostenuta dal Comitato tecnico scientifico, 80 per cento dicono le Regioni). Ma che cosa c’è alla base di queste decisioni? Qual è il percorso che porta a queste prime conclusioni?

Prima dell’11 marzo (lockdown nazionale), la trasmissibilità del virus è stata stimata a R0=3 in diverse regioni. Dall’11 al 25 marzo, due settimane quindi, il valore è calato in tutte le aree a valori compresi tra 0,5 e 0,7, che si sono mantenuti tali fino al termine di maggio, quando la graduale riapertura ha portato un leggero ma costante incremento di Rt che oggi posiziona il range tra 0,9 e 1, con focolai fortemente contagianti ma anche facilmente controllabili.

Dicevamo della linea di positività che da giugno è tornata gradualmente a salire. Gli esperti dell’Istituto superiore e del ministero ammettono di non sapere in che condizioni arriveremo a fine estate, e prefigurano tre scenari. Il primo ipotizza una situazione sostanzialmente invariata (focolai presenti) con un impatto modesto delle scuole sulla trasmissibilità e le sue fonti d’infezione, considerate inevitabili ma tenute sotto controllo. Il secondo scenario evidenzia una situazione di trasmissibilità “sostenuta e diffusa” con Rt tra 1 e 1,25: non si riesce a tenere traccia, in questo caso, dei nuovi focolai, inclusi quelli scolastici. Infine, situazione peggiore, si contempla questa possibilità: “Situazione di trasmissibilità sostenuta e diffusa con rischi di tenuta del sistema sanitario e valori regionali sistematicamente compresi tra 1,25 e 1,5”.

 

Allo stato attuale, “appare bassa la probabilità di osservare ipotesi di trasmissione caratterizzati da Rt maggiore di 1,5 per periodi lunghi (almeno un mese), ma al centro della questione c’è sempre la scuola, la grande incognita di fine estate (il 14 settembre si riparte). Epidemiologi e igienisti plurigraduati confessano di non avere un’idea di che cosa succederà: “Non è nota la reale trasmissibilità di SarsCov-2 nelle scuole, anche se iniziano ad essere disponibili evidenze scientifiche di epidemia in ambienti educativi”. Più in generale, “non è noto quanto i bambini, prevalentemente asintomatici, trasmettano il virus rispetto agli adulti”. Tutto questo, “rende molto incerto il ruolo della trasmissione nelle scuole”.

La trasmissione locale in Italia è avvenuta quando, ormai, il numero dei casi era già elevato e la situazione clinica “grave e critica”. L’impatto in termini di morbilità e mortalità, dice il rapporto, “è stato elevatissimo“. Al 29 luglio scorso, i casi confermati erano 246.602 di cui 34.213 i morti (letalità complessiva, 13,9 per cento). “La gestione dell’epidemia nei territori più colpiti è stata caratterizzata dal rapido sovraccarico dei servizi territoriali e assistenziali: saturazione dei posti letto, elevata necessità di materiali di consumo, attrezzature e personale sanitario”. Ancora, “l’elevata trasmissibilità del patogeno in contesti assistenziali” ha messo in crisi gli operatori sanitari e trasmesso il virus “negli ospedali, in residenze socio-assistenziali, in case di riposo”.

Pe evitare tutto questo sarà necessario: potenziare in tempi rapidi la dotazione di posti letto in terapia intensiva e riconvertire posti letto in terapia sub intensiva e area medica, quindi realizzare presidi di assistenza dedicati alla gestione di casi Covid-19, formare un numero sufficiente di operatori sanitari in grado di operare in ambiente intensivo e rafforzare i servizi territoriali per l’accertamento, l’isolamento, la quarantena. Dotarsi infine, dopo le infinite difficoltà di marzo-maggio, di mascherine, kit di laboratorio, ventilatori. Il grande buco del coronavirus italiano.

Serve, per tutto questo, la messa a punto di un Piano operativo per “contenere eventuali focolai permettendo una stabilizzazione della trasmissione a livelli abbastanza bassi e che non determino un sovraccarico del Servizio sanitario nazionale”. Anche perché, recentemente, “è stata osservata un’importante decrescita dell’età media dei casi”.