Scuola, il Consiglio superiore boccia le lezioni metà in aula e metà da casa. Ma il ministero tira dritto

da la Repubblica

Ilaria Venturi

Hanno chiesto di evitare la didattica “mista”: lezioni con metà classe in aula e l’altra metà connessa in contemporanea da casa. Una “modalità di organizzare l’attività didattica profondamente errata, sia dal punto di vista concettuale che metodologico” il giudizio senza appello. Niente da fare. Il ministero all’Istruzione non ne ha tenuto conto. Anzi, a parte qualche osservazione marginale, ha bocciato praticamente tutte le indicazioni del Consiglio superiore della pubblica istruzione sulla didattica a distanza.

Le linee guida sono già uscite, parlano di didattica digitale integrata. Viene indicato il suo ricorso solo in caso di nuovo lockdown per tutti gli ordini di scuola. Ma le superiori se ne potranno avvalere sin dalla ripresa a settembre nei casi in cui non è possibile garantire il distanziamento tra gli studenti. Il problema, sollevano i 36 membri del Cspi (tra cui dirigenti scolastici, docenti, sindacalisti, esperti di istruzione), è che “non sono evidenti quali siano i fondamenti culturali, normativi, pedagogici e metodologici”. Insomma, viene data alla didattica digitale una dignità ordinamentale che non ha.

Scrive il Cspi sulle misure prese dal Ministero che “rischiano di apparire del tutto incongrue e immotivate con effetti invasivi dell’autonomia scolastica e professionale, con ricadute, al contempo, sulla prestazione di lavoro che è materia di esclusiva negoziazione contrattuale”.

Altro punto critico riguarda il riferimento, presente nelle linee guida, ad orari settimanali minimi da garantire: 15 ore per la primaria, 20 per la secondaria. “Su quali basi?” interroga Graziamaria Pistrino, membro del Cspi e della segreteria Flc-Cgil. “Considerato che il tempo a scuola previsto dagli ordinamenti è definito da norme primarie che non possono essere modificate in maniera surrettizia da linee guida – si fa notare nel documento – appare inoltre illegittimo il riferimento a orari minimi in relazione alla didattica digitale integrata. La situazione descritta, infatti, è riferita a una eventuale nuova condizione emergenziale che preveda la sospensione delle attività didattiche in presenza in tutti i gradi scolastici”.

Diversa la situazione per le superiori, continua il documento, dove la didattica digitale integrata può essere progettata in modo complementare. “Su questo invece manca qualsiasi riferimento a monte ore minimi e massimi da attuare in considerazione dei diversi contesti territoriali. Questo aspetto si interseca con l’organizzazione che le scuole si sono date in relazione agli spazi, al numero degli studenti nelle aule, ad eventuali orari differenziati per evitare assembramenti e ad un uso più razionale dei mezzi di trasporto” e dipende “anche dalla possibilità o meno di avere un numero adeguato aggiuntivo di docenti, considerato che la divisione della classe e la lezione in sincrono (con gruppi classe in presenza e a distanza che seguono la stessa lezione) non sono scelte efficaci didatticamente e praticabili tecnicamente”.

Infine, viene fatto notare che nelle linee guida manca un riferimento alla ex alternanza scuola-lavoro (Pcto) e alle attività laboratoriali. Altra richiesta era di avere da parte del ministero l’indicazione all’uso di una piattaforma open source per tutte le scuole o almeno di una piattaforma privata uguale per tutti; viene invece lasciata ad ogni scuola la decisione su come fare lezione nel web.

“Ci aspettiamo ora che il ministero ci dia un’altra informativa – incalza Annamaria Santoro della Flc-Cgil – perché sulla didattica digitale si giocano aspetti contrattuali”. Un impegno ad affrontare il nodo – la regolazione del rapporto di lavoro, inserito nel protocollo sicurezza recentemente firmato dai sindacati.