L’insegnamento includente e “concludente”

L’insegnamento includente e “concludente”
Una necessità per gli insegnanti di oggi, tra stili di apprendimento e “accomodamento” delle didattiche

di Emmanuele Roca

Nella pratica professionale dell’insegnante è molto importante conoscere i propri allievi ed il loro stile di apprendimento per poter adeguare l’azione didattica alle loro reali esigenze.

Bisogna essere consapevoli che ogni persona impara in modo diverso e con un proprio stile di apprendimento che si può consolidare ed in parte modificare nel corso dell’età evolutiva, in relazione alle esperienze di vita ed agli ambienti di apprendimento, e che costituisce un riflesso della personalità.

La conoscenza degli stili di apprendimento può certamente aiutare l’insegnante ad applicare modalità e azioni didattiche più adeguate e rispondenti alle caratteristiche degli allievi nell’ambito di una classe normalmente eterogenea ed eventualmente numerosa.
Infatti, la presenza nel gruppo classe di stili di apprendimento diversi dovrebbe comportare (e purtroppo non sempre accade) uno studio accurato per la loro identificazione da parte dei docenti del consiglio di classe o del team e la formulazione, per quella determinata classe, di un approccio didattico equilibrato tra diversi metodi e strategie di insegnamento; ciò può sembrare, per alcuni, rendere “più difficile l’insegnamento” ma al contrario tale evenienza colloca l’insegnamento nella specifica “natura situata” del “fare scuola” e nella concretezza del “quì e adesso”. Se da un lato alcuni docenti potrebbero sentirsi più rassicurati nel riproporre gli stessi modelli di insegnamento-apprendimento ai quali si sono abituati nel corso della loro carriera pregressa (sia come studenti che come docenti), dall’altro il mutamento dello scenario sociale, le esigenze della società della conoscenza, i progressi registrati nel campo delle neuroscienze, ecc., impongono agli insegnanti, ai consigli di classe, ai team docenti una riflessione sul proprio modo di “fare scuola” e richiedono anche l’intervento di un supporto formativo-professionale (istituzionale e personale) in merito a strategie innovative di insegnamento e possibili mediazioni metodologiche.

Occorrerebbe identificare gli stili di apprendimento dei singoli studenti nell’ambito della classe (anche attraverso l’utilizzo di questionari o “prove mirate”), per valutare lo stile di apprendimento prevalente e quello meno “popolare”, e chiedersi quali metodi di insegnamento riescano a soddisfare le differenze esistenti, come migliorare il clima partecipativo della classe, quali siano le strategie didattiche più adatte al fine di conseguire il miglioramento dei risultati dell’apprendimento.
Per aiutare docenti e studenti ad identificare gli stili di apprendimento, Mariani (2000) ha proposto uno specifico questionario (1).

Nell’assunto che un determinato approccio didattico non possa “funzionare” allo stesso modo per tutti i diversi alunni di una classe, è possibile pensare, progettare, pianificare, sperimentare e validare l’integrazione di diversi approcci di insegnamento e svolgere in classe azioni ed attività diverse, con compiti differenziati, al fine di raggiungere l’interesse di tutti gli studenti, avere una più efficace conduzione del gruppo classe e tentare di produrre migliori risultati di insegnamento in termini di apprendimento e di gradimento.

In questo lavoro di pianificazione, sperimentazione, monitoraggio e rimodulazione degli interventi didattici l’insegnante non può e non deve sentirsi solo, né arroccarsi su posizione di isolamento professionale, quale unico detentore di una proposta educativa globalmente valida, ma la ricerca delle azioni didattiche più efficaci e maggiormente rispondenti ai bisogni delle classi deve essere condivisa a livello di organizzazione scolastica, in un gruppo più allargato di professionisti, quale prassi e ricerca operativa di miglioramento dei processi di insegnamento, coinvolgendo i consigli di classe e i team.

Una scuola più centrata sui processi di apprendimento e sulla rispondenza ad essi delle attività e delle azioni didattiche messe in campo dai docenti, al fine di promuovere apprendimenti significativi, non può che prevedere momenti comuni di riflessione tra i professionisti del settore. Ciò appare già più consolidato nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria dove periodicamente il team di classe discute e condivide l’adattamento e l’eventuale riformulazione della programmazione; invece, nella scuola secondaria, dove le discipline hanno maggior peso ed il docente appare più come uno specialista della materia, i momenti di collegialità relativi agli approcci educativi devono essere implementati per favorire una migliore integrazione dei modelli di docenza, specie a livello di classe.

A tal fine, risulta di estrema importanza l’azione della Dirigenza Scolastica nel favorire la condivisione di una visione “processuale” della scuola intesa come organizzazione orientata al miglioramento ed allo sviluppo e che richiede eventuali modifiche nei comportamenti professionali e riadattamenti delle scelte e delle priorità in coerenza alle esigenze del contesto, in un cammino che – seppure graduale – contrasti l’inerzia organizzativa e la possibile resistenza legata agli aspetti caratteriali delle persone o alle paure verso l’innovazione.
Ciascuna persona ha una propria “architettura intellettuale” che sostiene i processi mentali; per un docente questa “architettura” deve essere flessibile e adattabile, nell’ottica di un necessario accomodamento delle pratiche didattiche alle esigenze della classe, nell’ambito della specificità della disciplina insegnata.

Tutto ciò in linea con l’attuazione di una didattica inclusiva che cerchi di utilizzare e valorizzare tutte le differenze individuali e, pertanto, coinvolga tutti gli stili di apprendimento degli alunni in modo da consentire l’uso dello stile preferenziale e nel contempo potenziare gli stili meno utilizzati.

Salvitti (2015) ha offerto una riflessione su alcune strategie didattiche da potersi utilizzate per coinvolgere attivamente i vari stili di apprendimento degli studenti.

L’identificazione e la classificazione dei possibili stili di apprendimento è stata oggetto di studio sia da parte della ricerca psicologica che pedagogica.

Rita e Kenneth Dunn (1978), nel campo delle scienze dell’educazione, hanno definito lo stile di apprendimento come “il modo [personale e diverso] in cui ogni studente inizia a concentrarsi, elaborare e conservare le informazioni nuove e difficili” e ne hanno descritto le variabili facendo ricorso sia alle caratteristiche individuali sia a fattori di tipo ambientale e sociale. Essi hanno proposto cinque “dimensioni chiave” in base alle quali differenziare gli stili di apprendimento ovvero la dimensione ambientale, emozionale, sociale, fisica e psicologica. Demo (2015) sostiene che questo modello interpretativo degli stili di apprendimento, seppur datato e probabilmente suscettibile di integrazione, risulta estremamente interessante per i suoi risvolti applicativi sul piano didattico.

In relazione alla dimensione ambientale è possibile osservare quali stimoli possano facilitare l’apprendimento (se l’alunno preferisca un ambiente ricco o meno di stimoli) e come la luce, gli arredi, la temperatura possano risultare interferenti con il processo di apprendimento.

La dimensione emozionale include la valutazione della motivazione, della resistenza/perseveranza al lavoro, della responsabilità e della strutturazione; si potrà osservare quanta motivazione intrinseca abbia l’alunno e valutare di quanta strutturazione delle consegne necessita da parte del docente.

La dimensione sociale indaga se per il lavoro intellettuale si preferisce fare da soli oppure è necessaria la presenza di un compagno o di un gruppo di studenti oppure si preferisce il supporto di un adulto autorevole che faccia da guida.

La dimensione fisica prende in esame la percezione e le modalità preferenziali che vengono adottate dagli alunni. Si potrà indagare quale canale sensoriale possa facilitare l’apprendimento e se lo studente lavori meglio facendo ricorso a stimoli visivi, uditivi, cinestetici.

Si potranno esaminare i bisogni fisici, la necessità del movimento ed i tempi propri dell’impegno cognitivo e se l’alunno necessiti di intervalli o pause durante il lavoro e di quale durata (ad esempio piccoli step di impegno intervallati da pause regolari).

La dimensione psicologica indaga se la comprensione delle cose avviene con modalità globale o analitica, riflessiva o impulsiva, ecc.
Per Keefe (1979) gli stili di apprendimento “sono caratteristici comportamenti cognitivi, affettivi e fisiologici che funzionano come indicatori relativamente stabili di come i ragazzi percepiscono l’ambiente di apprendimento, interagiscono con esso e vi reagiscono”.

Cadamuro (2004) interpreta lo stile di apprendimento come una tendenza della persona nel preferire un certa modalità di studio; tale tendenza risulta essere collegata alla propria modalità prevalente di percezione e di reazione nei confronti dei compiti intellettivi richiesti, con la conseguente attuazione di adeguati comportamenti e specifiche strategie di apprendimento.

Pertanto, è possibile affermare come sottolineato da Mariani (2010) che lo stile di apprendimento sia un modo di manifestare la propria individualità nelle operazioni di apprendimento risultando interrelato a dimensioni quali le preferenze sensoriali, gli stili cognitivi, i tratti della personalità, ecc.

Le preferenze sensoriali fanno riferimento ai canali della percezione visiva, uditiva, tattile/cinestetica e possono essere indagate mediante il ricorso dell’osservazione dei comportamenti.

La Programmazione NeuroLinguistica (PNL), quale approccio alla comprensione del comportamento umano, mette a disposizione una serie di strumenti, utilizzabili anche nella pratica scolastica, per identificare le preferenze sensoriali individuali.

È possibile distinguere i seguenti canali percettivi prevalenti: a) l’orientamento di tipo “visivo-verbale” se c’è una naturale predisposizione alla letto-scrittura e si preferisce leggere o scrivere nell’imparare; b) l’orientamento di tipo “uditivo” allorquando l’imparare è più favorito dall’ascolto, dalle discussioni in gruppo, ecc.; c) l’orientamento di tipo “visivo non-verbale” se vi è la spiccata propensione per il “visual-learning”, le immagini, le mappe concettuali, i grafici, ecc.; d) l’orientamento di tipo “cinestetico” se si preferiscono attività più concrete che consentono di “sporcarsi le mani” nel fare esperienza diretta della conoscenza e c’è l’esigenza del movimento, dell’attività fisica, ecc.

Gli stili cognitivi fanno riferimento alle “modalità di elaborazione dell’informazione che la persona adotta in modo prevalente” (Boscolo, 1981); l’elaborazione dell’informazione si riferisce poi alle capacità di riconoscere, interpretare, capire, memorizzare, utilizzare, integrare, riformulare, processare le informazioni per adattarle a nuovi contesti e scenari e ristrutturare la propria conoscenza e ciò accade durante l’intero arco della vita. Generalmente, i vari modelli proposti dai diversi ricercatori fanno riferimento a “contrapposizioni bipolari semplificative” nel senso che un determinato stile cognitivo viene descritto utilizzando due termini contrapposti (es. impulsivo/riflessivo) che indicano gli estremi, le forme limite o le polarità dello stile stesso; nella realtà le singole persone si posizionano a vario livello rispetto a questa “scala di polarità” che rappresenta un “continuum ideale” tra le due forme limite di modalità.

È possibile distinguere vari stili cognitivi: globale/analitico, sistematico/intuitivo, verbale/visuale, impulsivo/riflessivo, convergente/divergente, dipendente/indipendente dal campo.

Un approfondimento delle tematiche degli stili cognitivi è fornito da Cornoldi, De Beni & Gruppo MT (2015). (2)

Da quanto fin qui esposto, risulta evidente come gli studenti manifestino stili di apprendimento e stili cognitivi diversi e come i modelli proposti dalla ricerca attuale inizino, in maniera ancora incompleta, a far luce sui complicati processi che mediano l’apprendimento.

Riconoscere il proprio stile di apprendimento costituisce un passaggio decisivo per raggiungere l’autoconsapevolezza delle modalità preferenziali utilizzate nei propri processi mentali; ciò risulta importante sia per gli insegnanti che per gli studenti.

Per gli insegnanti spesso accade che il proprio stile di apprendimento condizioni, in una certa misura, il proprio stile di insegnamento. Infatti, per non pochi docenti – a causa di una carenza formativa di base dal punto di vista psicologico o anche per non aver saputo sviluppare la capacità di autoriflessione professionale oppure per non essersi mai posti il problema del come si sia consolidato lo stile personale del fare scuola – si evidenziano adozioni di scelte e approcci didattici strettamente correlabili e fortemente “in sintonia” con le proprie preferenze individuali, piuttosto che in accordo con le reali esigenze degli allievi. Si ripropongono quei modelli con i quali si è venuti in contatto durante la propria esperienza di studente, trasferendoli nella pratica d’insegnamento, nella convinzione che “ciò che è stato buono per me … lo sia anche per i miei studenti”.

A tal proposito, Evans (2004) ha rilevato come i docenti con orientamento prevalente di tipo visivo verbale preferiscano adottare uno stile analitico di insegnamento, mentre quelli con orientamento visivo non verbale utilizzano approcci d’insegnamento globali.
Diventare insegnanti più consapevoli delle modalità personali di apprendimento e di come queste possano interferire con il proprio stile di insegnamento aiuta a porre maggiore attenzione verso le diversità individuali degli allievi ed a ipotizzare, intenzionalmente, un arricchimento delle competenze professionali, facendo ricorso a strategie didattiche complementari per le quali ci si sente “meno preparati”. Tutto ciò porta a migliorare la propria competenza, in termini di flessibilità professionale e di capacità di “accomodamento delle didattiche”, in relazione allo scenario contestuale di riferimento e senza però ridurne la “portata” educativa e formativa.

Per gli studenti, l’essere resi più consapevoli del proprio stile di apprendimento permette loro, se opportunamente guidati e accompagnati, di prospettare l’adozione volontaria di strategie di apprendimento più adeguate e consone a se stessi, partendo dall’analisi dei propri punti di forza e di debolezza, al fine di ottenere risultati di apprendimento più elevati (Xu, 2011).

Rogowsky, Calhoun & Tallal (2020) evidenziano come l’obiettivo di migliorare i risultati di apprendimento sia fortemente correlabile alle strategie di apprendimento.

In tale scenario, il docente dovrebbe essere così bravo da indurre il discente ad apprendere e modificare e/o potenziare il proprio modo di apprendere, facendo leva sulle sue disposizioni positive (resilienza, prontezza, reciprocità, ecc.) ed offrendo al tempo stesso un ventaglio di possibili azioni di intervento in termini di strategie di apprendimento.
L’insegnamento dell’imparare ad imparare dovrebbe attuarsi attraverso il “dialogo pedagogico”, consapevole e mirato, messo in atto nella relazione docente-allievo, che oltre ad interferire con la specifica dimensione cognitiva del discente, preveda l’impatto con le variabili personali quali motivazioni, prospettive di realizzazione e quegli aspetti del sé che interagiscono con l’apprendimento stesso (Roca, 2015).

I docenti sono pertanto chiamati a svolgere un ruolo essenziale nell’accompagnare gli studenti a diventare cittadini consapevoli e partecipi di questa società, nel prospettare che nessuno debba sentirsi mai un “arrivato” ma che nel migliorare se stessi ci si rende positivamente responsabili del futuro del Paese.

Nella scuola, “palestra privilegiata di apprendistato cognitivo”, se da un lato si richiede agli studenti impegno, sforzo, attenzione, costanza, responsabilità, lavoro, rispetto delle regole, partecipazione solidale, ecc., dall’altro si chiede ai docenti l’adozione di approcci e strategie più coinvolgenti e consone alle caratteristiche degli allievi, nel tentativo di suscitare in essi emozioni positive che incrementino la motivazione e rendano più efficace il lavoro scolastico.

Insegnare ai ragazzi ad “imparare ad imparare”, rendendoli più coscienti dei propri stili di apprendimento e delle strategie di apprendimento, costituisce la base per consentire loro di “apprendere ad apprendere meglio” ed è questa la meta che la scuola di oggi si prefigge di raggiungere.


Bibliografia

BOSCOLO P., Intelligenze e differenze individuali. In Pontecorvo C. (a cura di), Intelligenza e diversità, Loescher, Torino, 1981.

CADAMURO A., Stili cognitivi e stili di apprendimento. Da quello che pensi a come lo pensi, Carocci, Roma, 2004.

CORNOLDI C., DE BENI R. & GRUPPO MT, Imparare a studiare. Strategie, stili cognitivi, metacognizione e atteggiamenti nello studio, Erickson, Trento, 2015.

DEMO H. (a cura di) Didattica delle differenze. Proposte metodologiche per una classe inclusiva, Erickson, Trento, 2015.

EVANS C. (2004), “Exploring the Relationship between Cognitive Style and Teaching Style”, Educational Psychology: An International Journal of Experimental Educational Psychology, 2004, 24, 4, 509-530.

KEEFE J.W., Student learning styles, National Association of Secondary School Principals, Reston V.A., 1979.

MARIANI L., Portfolio. Strumenti per documentare e valutare cosa si impara e come si impara, Zanichelli, Bologna, 2000.

MARIANI L., Saper apprendere. Atteggiamenti, motivazioni, stili e strategie per insegnare a imparare, Libreria universitaria.it, Limeda (PD), 2010.

ROCA E., “Insegnare ad imparare: una priorità strategica della formazione dei docenti”, Educazione&Scuola (ISSN 1973-252X), 2015, XX, 11.
https://www.edscuola.eu/wordpress/?p=69443

ROGOWSKY B.A., CALHOUN B.M. & TALLAL P., “Providing instruction based on students’ learning style preferences does not improve learning”, Frontiers in Psychology, 2020, 11.
https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fpsyg.2020.00164/full

SALVITTI S., “Docere omnes: strategie didattiche per gli stili di apprendimento”, Educare.it (ISSN 2039-943X), 2015, XV, 3.
https://www.educare.it/j/

XU W., “Learning Styles and Their Implications in Learning and Teaching”, Theory and Practice in Language Studies, 2011, I, 4, 413-416.


[1] Mariani ha reso disponibili alcuni materiali utili per i docenti al link < www.learningpaths.org >.

[2] L’acronimo MT (Memoria Transfer) è stato scelto dai ricercatori del Dipartimento di Psicologia generale dell’Università degli Studi di Padova per indicare come un apprendimento non possa essere significativo se non risulta in grado di mantenersi nel tempo (cioè nella Memoria) e di essere applicato e trasferito a nuovi contesti (Transfer).