Sostegno: le contraddizioni che vanificano un investimento di 8 miliardi l’anno

da Tuttoscuola

Eterogenesi dei fini

Mattia (il nome è di fantasia) è un alunno autistico grave che manifesta ansia e irrequietezza irrefrenabili, che possono sfociare in azioni violente verso altri o autolesionistiche. Ha visto passare nei primi anni di scuola tanti insegnanti di sostegno, e finalmente l’anno scorso ha incontrato Carlo, un docente di sostegno capace di fornirgli le certezze di cui ha bisogno e con cui ha instaurato un proficuo rapporto educativo, funzionale a contenere i suoi accessi di ansia.

Carlo ha un contratto a tempo determinato, scaduto il 30 giugno scorso. E’ un supplente di sostegno “in deroga”, uno dei circa 84 mila precari “per legge”. Non è solo Mattia a contare su di lui e ad aspettarlo con impazienza dopo i lunghissimi mesi del lockdown e un’estate piena di ansia. La famiglia, i colleghi del consiglio di classe, il medico del servizio materno-infantile che ha in carico Mattia e il dirigente scolastico sono entusiasti del lavoro fatto da Carlo. E lui desidererebbe moltissimo continuare a seguire quel ragazzino autistico che ha imparato a conoscere, ad aiutare, e anche ad amare.

Ma non c’è nulla da fare: con il nuovo anno scolastico si dovrà procedere a nuove chiamate o nomine sulla base di graduatorie comunque nuove, perché probabilmente revisionate da correzioni di errori o da sentenze sopraggiunte a seguito di ricorsi al TAR, quando non semplicemente riformulate ex novo. E questo neanche nel caso in cui Carlo abbia una posizione in graduatoria ed un relativo punteggio di pochissimo inferiore a chi lo precedesse nelle nuove graduatorie. Non c’è margine discrezionale. Nulla è lasciato alla valutazione congiunta delle figure professionali che operano sull’alunno disabile, mentre tutto è invece affidato al burocratico scorrimento delle graduatorie. Summum ius, summa iniuria.

A Mattia – come ad altri 170 mila ragazzi – quest’anno verrà assegnato un nuovo insegnante di sostegno, che potrebbe essere non specializzato sul sostegno, e tanto meno dunque sulla patologia autistica di cui soffre Mattia. Una roulette del tutto casuale. Carlo finirà in un’altra scuola, l’ennesima per lui. Che senso ha?

Questo sistema kafkiano, allucinante e sbagliato, grida vendetta. Chi può difenderlo? E’ ineludibile chiamare in causa tutti coloro che hanno concorso a costruirlo in decenni, certamente senza rendersi conto delle conseguenze, e che hanno voce in capitolo: Parlamento, Governo (e segnatamente il Ministero dell’economia e il Ministero dell’istruzione), sindacati. Nessuno può tirarsi fuori. Si possono, si devono trovare dei correttivi, fino a quando non si riuscirà ad abbatterlo completamente.

Le contraddizioni del sistema di reclutamento del personale della scuola e le complessità normative e procedurali, con il loro funzionamento burocraticamente cavilloso, si abbattono quasi ineluttabilmente sugli alunni più deboli. E’ infatti nei dettagli, apparentemente solo tecnici e  burocratici, che si disvela l’ipocrisia e l’inconsistenza dei pur dichiarati principi di una scuola centrata sugli alunni. È invece evidente proprio nei dettagli tecnici e di fatto – ed è amaro doverne prendere atto – che il baricentro dell’organizzazione scolastica poggia su chi nella scuola ci lavora.

Trasparenza, regolarità e imparzialità, questi i principi che l’attuale sistema vuole garantire. Hanno un valore fondamentale, certamente. Purché non si perda di vista la finalità ultima cui dovrebbero essere volte tutte quelle procedure: il miglior esito formativo dell’alunno con disabilità. Altrimenti si tramutano in un vuoto egualitarismo formale, che porta a tradire il senso e le finalità della scuola e soprattutto i principi base di civiltà dell’inclusione scolastica.

Il nuovo dossier di Tuttoscuola sulla scuola per gli alunni con disabilità racconta di un contingente di 185 mila insegnanti di sostegno, quasi come tutti i militari dell’Esercito e gli agenti della Polizia di Stato messi insieme; un grande investimento (6 miliardi e 250 milioni di euro l’anno e 44 miliardi di euro spesi solo per gli stipendi nell’ultimo decennio) nel Paese che per primo oltre 40 anni fa ha creduto nell’integrazione scolastica degli studenti con disabilità, superando le ghettizzanti classi differenziate: tutto in buona parte vanificato dall’avvicendamento e dalla non riconferma degli insegnanti, che peraltro in molti casi non sono specializzati, tanto meno nella patologia specifica. Quest’anno si toccherà la vetta dello scandalo: ben 170 mila alunni con disabilità (il 59% del totale) all’apertura della scuola non avranno più il docente di sostegno che li seguiva l’anno scorso. In molti casi ne cambieranno nei prossimi mesi anche più di uno. Un’insensata girandola di cattedre che si ripete ogni anno, di Governo in Governo, che aumenta invece di diminuire.

Per comprendere il senso e le proporzioni del fenomeno, facciamo un rapido focus sui numeri. Sono in tumultuosa crescita, sia in termini positivi, considerando il soddisfacimento del diritto allo studio dei giovani con disabilità, che raggiungono in misura crescente i livelli di istruzione superiore, sia in termini negativi, per i disservizi e la drammatica discontinuità didattica che vanificano gli enormi investimenti a carico dell’erario.

Negli ultimi 22 anni il numero di alunni con disabilità si è più che raddoppiato (+138%), e continuerà a crescere (nell’ultimo anno +5% rispetto al precedente). Allora vi era un alunno disabile ogni 67 alunni (1,5% del totale), ora uno ogni 28 (3,5% del totale).

Presto ve ne sarà in media uno ogni classe nella scuola italiana (1 su 25).

Impressionante l’incremento nella scuola secondaria superiore. Nel 1997/98 alle superiori c’era un alunno disabile ogni 180 (praticamente uno ogni 7-8 classi). Nel 2019-20 ce ne è stato uno ogni 35 alunni. Non sono distribuiti omogeneamente: al liceo scientifico è iscritto un alunno disabile ogni 126 studenti (uno ogni 111 al classico), mentre negli istituti professionali uno ogni 14. In Abruzzo addirittura uno ogni 9 studenti!

Di pari passo con l’incremento del numero di alunni con disabilità è cresciuto – più che proporzionalmente – il numero di insegnanti di sostegno: +190% in poco più di vent’anni. I posti di sostegno sono passati dai 59 mila del 1997-98 ai 173 mila del 2019-20.

Ma 73 mila (il 42%) sono precari. Per questo anno scolastico si può stimare che i docenti precari saliranno a 83 mila (45%). Quasi tutti saranno nominati in una scuola diversa da quella dell’anno precedente, per le regole di reclutamento.

Quanto costa tutto questo? Il costo annuale per gli stipendi è passato, in termini correnti, da 3,3 miliardi di euro nel 2009-10 a 6 miliardi nel 2019-20, e dovrebbe toccare i 6,3 miliardi di euro nel 2020-21. A questa cifra per i docenti di sostegno pagati dallo Stato va aggiunto circa un miliardo e mezzo di euro per gli Assistenti Educativi Culturali (AEC) pagati dagli Enti locali, che svolgono un ruolo fondamentale.

In tutto quindi il Paese spende per il sostegno, solo in stipendi, quasi 8 miliardi di euro l’anno, oltre 27 mila euro l’anno per ogni studente con disabilità: e cambia a quasi due terzi di loro il docente ogni anno!

Il rapporto tra costo e beneficio? Insoddisfacente è dire poco. Ritenendo che tutti hanno piena consapevolezza delle cause – tasso di precarietà e regole di reclutamento e di mobilità su tutte – ma nessuno impedisce che il fenomeno continui a peggiorare, più che insoddisfacente verrebbe da definirlo vergognoso.

Il nostro pensiero va a Mattia e a tutti gli alunni fragili come lui, vittime di questa eterogenesi dei fini di Stato. Con l’augurio, se possibile ma sarà dura, di un buon anno scolastico.