La fatica dei prof “Ore per spiegare le nuove regole”

da la Repubblica

Brunella Giovara

MILANO — Ehi prof, dov’eri finito? La Romussi, ad esempio, sta per entrare in classe e si sente «come un attore che sta per uscire in palcoscenico, perché questo è un lavoro che ha a che fare con la performance… E adesso, finalmente torno sul mio palcoscenico, nella mia quinta». E la Palatucci, eccola con la solita cartella pesante, di cuoio vecchio, («sempre uguale, sempre lei, però quando la vedevo sullo schermo mi sembrava diversa », dice la giovane Sonia), e il preside, che assomiglia al vicequestore Schiavone e lo sa, ed è pure romano, e ha chiuso la circolare numero 32 con una citazione che ha poi dovuto spiegare, perché all’epoca di Animal House i 1191 studenti del liceo classico Carducci non erano nati (ma i genitori e i prof, sì). Foto ricordo del gruppo Delta, in prima fila John “Bluto” Blutarsky (non un allievo modello, poi senatore degli Stati Uniti), ovvero John Belushi.

Nella sua circolare, il preside Andrea Di Mario ha voluto spiegare per bene cosa si deve fare, nella scuola italiana e covidiana di oggi — dove mettere la giacca e lo zaino, quando andare in bagno, come si fanno gli intervalli eccetera eccetera — ma «io sono convinto che nella scuola il divertimento debba essere sempre il motore dell’apprendimento », e infatti c’è, nella stanchezza generale dei molti preparativi, una certa lievità, o anche serenità, persino quando un insegnante lamenta lo scarso wi-fi, e un’altra chiede una nuova disposizione dei banchi. «Il preside è uno giusto», racconta un Francesco di terza, «severo ma giusto» come i presidi di una volta, che portavano le scarpe di gomma per non farsi sentire, durante i blitz nei corridoi. «E sappiamo che i docenti hanno faticato tanto per noi, si vede che sono stanchi», dicono in tre ragazzine di una seconda, una dichiara di voler fare Medicina, quanti ragazzi vogliono fare i medici, eh?

«Forse abbiamo sofferto più noi di loro », racconta Elisa Bagnone, docente di Arte, «durante la didattica a distanza mancava qualcosa», forse mancavano proprio gli studenti, con i loro sbadigli, ansie, sudori, bugie, energie, e insperati slanci di affetto. E sugli effetti dell’insegnare da remoto il collega Russo (Scienze), aggiunge che «ci sono ragazzi che in classe erano sempre distratti, da casa li ho visti più concentrati, altri il contrario», adesso rieccoli qui, bravi soldati che seguono la mappa per raggiungere la classe, persino troppo seri. «A questa età, abbiamo paura di restare indietro, di perdere qualcosa». Giulia, all’età di 17 anni, dice di aver capito molte cose, durante la separazione dalla scuola: «Bisogna avere determinazione, costanza. I prof ce lo dicono perché serve a noi. Una ci ha detto: siate responsabili. Poi, sta a noi usare i consigli». E un’altra Giulia, che la notte scorsa non ha dormito per l’agitazione, è tutta contenta «perché abbiamo di nuovo la nostra routine, e la normalità dà serenità, stabilità. Persino rivedere l’insegnante antipatico, voi avete capito chi è», e giù sghignazzi, «beh, è stato bello». Molte risate, sotto le mascherine di queste ragazze pensose, e Ginevra, lievemente sognante, dice che «siamo dentro al momento, ed è un momento magico. Quindi, carpe diem, godiamoci l’attimo, ché le regole sono rigide», si va a scuola a rotazione perché non c’è spazio per tutti, poi a regime tutti entreranno in classe.

E a sorpresa, anche Anna Palatucci (italiano e greco) parla di «momento magico, quando vedi brillare gli occhi dei tuoi studenti, che ti ascoltano con i gomiti sul banco… ». Non è un’esaltata, anzi appare solida come la cartella di cuoio che si porta appresso, è che «loro hanno davvero sentito la mancanza del contatto umano, l’emozione per un testo poetico letto insieme. Gli è mancata la vicinanza c he gli studenti hanno tra di loro e con l’insegnante. E poi, hanno bisogno di sentire l’umanità del prof, questo gli fa bene». Si impara insieme, in una comunità, come dice il preside leggermente stravolto dalla giornata fatale (indimenticabile), con la camicia stropicciata e le sneakers (suola di gomma), in questa «scuola guida, così la definisco. Se gli insegniamo bene le nuove regole, i ragazzi possono insegnare agli adulti come si sta al mondo durante una pandemia», e viva Blutarsky, maestro di vita.