Stop emergenza, la scuola torni priorità assoluta ogni giorno

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da Il Sole 24 Ore 

di Gianni Brugnoli

Sta per cominciare il più difficile anno scolastico della storia recente. Forse, anzi, il più difficile dal Dopoguerra: quel drammatico periodo di ricostruzione in cui, tra le altre cose, nasceva il diritto allo studio per tutti, un diritto scolpito in quella carta fondamentale che i nostri Padri costituenti, sopravvissuti alle macerie di un’ignoranza diffusa, ci hanno lasciato in eredità.

È curioso, considerando la stretta attualità, che l’articolo 34 della Costituzione esordisca così: «La scuola è aperta a tutti». Ecco in questa crisi pandemica senza precedenti, il luogo istituzionale più prezioso rischia di restare chiuso, o comunque non aperto a tutti. Non sappiamo infatti cosa succederà dal 14 settembre in poi, quando più di 8 milioni di studenti dovranno tornare tra i loro banchi, rigorosamente, si fa per dire, monoposto. Forse, come spesso succede per gli italiani, alla fine troveremo la forza e l’energia, anche creativa, per dare seguito a quella frase – “andrà tutto bene” – che tanti bambini scrivevano sui loro cartelli esposti ai balconi, per colorare la loro “scuola” fatta in casa durante il lockdown.

Sta di fatto che ci si presenta davanti a quello che la politica ha chiamato più volte “priorità assoluta” del Paese, la riapertura delle scuole, con tante incognite che solo i prossimi giorni scioglieranno, sperando non diventino vere e proprie criticità. Ma visto ciò che è avvenuto (o non avvenuto) nei mesi scorsi sappiamo già, ed è una certezza, che o la scuola diventa priorità assoluta ogni giorno, oppure l’Italia continuerà a disperdere i suoi talenti.

Per ora l’unica sicurezza sono i banchi monoposto, il “feticcio” tanto celebrato negli ultimi mesi. Sappiamo anche che ci saranno 11 milioni di mascherine chirurgiche, record mondiale, ma pare sia possibile portare anche mascherine di stoffa. Abbiamo molti docenti che non sono messi in grado di fare i tamponi, e quindi garantire la sicurezza del nostro bene più prezioso, i giovani. Abbiamo, a dire il vero, anche docenti che si rifiutano a priori di fare i tamponi e i test sierologici. Abbiamo poi graduatorie inesatte, che comunque dovranno essere utilizzate. E dobbiamo chiamare centinaia di migliaia di supplenti che dovranno essere selezionati in fretta e furia. C’è poi il tema dei nuovi docenti: come verranno selezionati e, soprattutto, saranno valutati anche per le loro conoscenze informatiche? È probabile che si debba ancora ricorrere alla didattica a distanza. Siamo preparati a farlo? Il 12% di giovani che a marzo non avevano né PC né tablet per studiare da casa, è diventato lo 0%? Sono tutti connessi? Ancora: la febbre chi la misurerà? In alcune Regioni sarà la scuola, in altre, la maggior parte, toccherà alle famiglie: un gioco alla condivisione massima delle responsabilità che, in fondo, significa nessuna responsabilità.

È spaventosa l’ambiguità delle scelte e la palese mancanza di piani alternativi. Non è fare polemica osservare che l’unica strategia adottata sembri voler tornare, a tutti i costi, alle vecchie
abitudini. Come se il virus non ci
fosse mai stato.

I problemi della scuola italiana non nascono però con il Covid-19. Non è un caso che la scuola italiana si presenti così male davanti ad una crisi pandemica senza precedenti, ma anche davanti ad un periodo di profondo cambiamento tecnologico, innescato dal 5G, di cui ancora oggi non conosciamo tutte le enormi possibilità. Basti sapere che, durante la terribile crisi finanziaria 2008-2012, mentre tutti i paesi avanzati investivano in formazione del capitale umano, l’Italia sacrificava la scuola sull’altare della spending review.
Nel frattempo iniziavano a circolare i primi smartphone e il mondo era totalmente connesso, nelle nostre tasche, nel nome del 4G.

Il sistema di istruzione si è trovato impreparato, il Covid-19 è stato solo un severo giudice. E no, non sarebbero bastati soltanto più soldi. Sarebbe servita anni fa ma oggi più che mai, una visione. La scuola ha bisogno di una visione. Non ci stancheremo di ripeterlo. Tutti dobbiamo uscire dalla logica dell’emergenza e metterci al lavoro per costruire una scuola davvero aperta. Scuola aperta all’innovazione, con una didattica a distanza fatta come si deve, grazie alla selezione di insegnanti maestri di competenze Ict, mentre oggi solo 1 insegnante su 4 ha competenze informatiche minime. Scuola aperta alle imprese, con una alternanza scuola-lavoro che torna al centro dei curriculum, riconoscendo a tante imprenditrici e imprenditori l’impegno quotidiano nell’orientare giovani. Scuola aperta ai territori, con laboratori e spazi condivisi che permettono a tutta la cittadinanza, a partire dalle fasce più deboli, di avere una casa della conoscenza, con ad esempio corsi base di formazione digitale per anziani e per tutti coloro che si sentono fuori dal mondo “virtuale” che, tuttavia, è reale.

Siamo nell’era dell’intelligenza artificiale che sfida l’uomo. Costringe tutti a farsi domande e la scuola deve formare cervelli, mani e cuori per trovare delle risposte. Allora coraggio, nonostante tutto ce la faremo anche stavolta. Ma la vera lezione di questa pandemia, da insegnare-imparare già dal primo giorno, fuori e dentro le aule, è che l’istruzione è il bene comune più prezioso di tutti e che serve programmazione. Serve, già oggi, rimettere al centro dell’agenda la riforma dell’intero sistema educativo affinché diventi primo motore di sviluppo della nostra società. E magari troveremo anche la coesione per rinnovare la Costituzione aggiungendo, da degni figli della Repubblica Italiana, una parola in più, molto semplice, a quel meraviglioso articolo 34: «La scuola è aperta a tutti. Sempre».