Il difficile non è riaprire ma mantenere l’apertura

da Il Sole 24 Ore

di Eugenio Bruno

È dall’8 aprile che il Governo lavora al ritorno in classe dei nostri studenti. Quei giorni ce li ricordiamo tutti: eravamo in pieno lockdown, le terapie intensive traboccavano di pazienti, la curva dei contagi e dei morti dovuti al Covid -19 era ancora alta, le scuole erano chiuse da oltre un mese e ancora non si sapeva quando avrebbero riaperto. Ma il Governo correva ai ripari con un decreto che, da un lato, metteva in sicurezza gli esami di maturità del 2019/20 e, dall’altro, già guardava al 2020/21. Affidando alla ministra Lucia Azzolina il compito di decidere con ordinanza su tante questioni aperte: dalla data di rientro in classe ai corsi di recupero; dalla proroga di 12 mesi dei libri di testo alla nuova tempistica delle assunzioni. E un paio di settimane dopo veniva anche nominata una task-force, guidata da Patrizio Bianchi, con il compito di lavorare alla riapertura.

Da allora sono passati oltre 5 mesi. Il lockdown è finito. I nuovi casi di coronavirus nel nostro paese sono prima calati e poi, dopo le movide e gli assembramenti agostani (in Italia e all’estero), di nuovo cresciuti. Le ordinanze ministeriali sono arrivate. Gli esperti sono stati salutati. E la scuola è ancora chiusa. Ma si appresta a riaprire con i punti fermi e le incertezze che questa Guida prova a raccontare nel dettaglio. Nel frattempo il decreto di aprile è diventato legge – seppure tra aspri contrasti dentro e fuori la maggioranza, ad esempio sui concorsi da 78mila posti, che ancora oggi lasciano strascichi – e almeno altri tre Dl (Rilancio, Semplificazioni e Agosto) sono intervenuti sull’avvio del nuovo anno. Con i risultati che ognuno di noi, da genitore, docente, studente o semplice osservatore, scoprirà a partire da dopodomani quando la prima campanella suonerà quasi ovunque.

Per come è stata pensata, con al centro l’autonomia scolastica, la ripartenza inevitabilmente divergerà da istituto a istituto. Ogni preside, dopo essersi consultato con l’ufficio scolastico territoriale, l’ente locale proprietario e l’autorità sanitaria, ha scelto la strada da seguire per assicurare il distanziamento di un metro e garantire il rientro tra i banchi in sicurezza: doppi turni, ingressi e uscite scaglionati, gruppi spalmati su più aule (alcune volte contigue, altre distanti), tensostrutture, prefabbricati, spazi in affitto in parrocchie, università, teatri, padiglioni fieristici e – alle superiori – lezioni in parte miste e in parte a distanza. Sulla base di un piano organizzativo che in molti casi dovrà comunque essere rivisto, considerando che le nomine dei supplenti sono ancora in corso e che la consegna dei nuovi banchi proseguirà a ottobre.

Per i dirigenti scolastici trovare la quadra non è stato facile. E non solo per la “spada di Damocle” della responsabilità penale in caso di contagio sopravvenuto che pende sulla loro testa. Ma anche per la mole di fonti (normative e non) da tenere presenti: il piano scuola 2020/21, il protocollo per la riapertura in sicurezza, l’ordinanza per la didattica digitale integrata, le linee guida (con annesso protocollo di sicurezza) per la classe 0-6 anni. E poi i verbali del Comitato tecnico scientifico (Cts) e i rapporti dell’Istituto superiore di sanità (Iss). O ancora le circolari dei ministeri dell’Istruzione e della Salute, negli ambiti di rispettiva competenza, e le note degli uffici scolastici territoriali. Atti quasi sempre preceduti o seguiti da indiscrezioni e smentite sui media (si pensi solo al plexiglass nelle aule o ai banchi a rotelle) o accompagnati dalle immancabili polemiche politiche. A ogni livello: tra il governo e l’opposizione, tra il centro e la periferia, tra la ministra e una parte della maggioranza, tra il ministero e i sindacati. Perfino all’interno di viale Trastevere con un sottosegretario (Giuseppe De Cristofaro, LeU) che, nel bel mezzo del tourbillon organizzativo per il nuovo anno, si è spostato al dicastero “cugino “ guidato da Gaetano Manfredi (Università).

Uno spirito molto diverso da quell’“Uniti ce la faremo” riecheggiato quasi ovunque durante le fasi più dure della pandemia. Speriamo che un po’ tutti lo recuperino almeno adesso perché, a giudizio di molti esperti di cose scolastiche, il difficile non è tanto riaprire le scuole quanto mantenerle aperte. I focolai e i cluster già all’orizzonte rischiano di trasformarsi in “tanti piccoli fuochi” dell’omonimo brillante romanzo di Celeste Ng. Ma è un pericolo che non possiamo correre perché l’incendio trasformerebbe in cenere i bisogni e i sogni dei più giovani. Che si vedrebbero privati di un altro anno di scolarizzazione e, dunque, di un altro spicchio di futuro.