S. Benni, Giura

Benni più ampio che mai

di Antonio Stanca

   È nato a Bologna nel 1947 ma è cresciuto in campagna dove ha imparato certi modi di pensare, di fare, dove si è formato all’insegna della semplicità, della spontaneità, della verità, dove si è convinto che quella vita non andava guastata, rovinata in nome di un’altra completamente diversa come quella dei tempi moderni. Avrebbe parlato nelle sue opere di questo cambiamento, delle gravi conseguenze che ci sarebbero state quando alla vecchia spiritualità sarebbe subentrata la nuova materialità, quando nei rapporti individuali, sociali la morale avrebbe finito di rappresentare un riferimento importante. Avrebbe rimpianto il passato, lo avrebbe mostrato assalito dal presente, sarebbe stato lo scrittore di questo passaggio, si sarebbe chiamato Stefano Benni e lo avrebbe fatto non solo con la narrativa ma anche con la poesia, il giornalismo, il teatro, il cinema, la televisione. Non si sarebbe mai rassegnato a considerare finita l’epoca della sua infanzia, i tempi, i luoghi, gli ambienti di allora. Li avrebbe cercati con la sua opera. Lo avrebbe fatto anche con quest’ultima intitolata Giura e pubblicata quest’anno da Feltrinelli nella serie “I Narratori”.

   Dice dell’amore sorto in un borgo tra i boschi dell’Appennino tra Febo e Luna, due bambini di poco più di dieci anni che abitano vicino, giocano insieme e faranno della loro una storia che durerà per sempre, percorrerà tanti luoghi, assumerà tanti aspetti, continuerà pur dopo la morte di Febo. Si perderanno e si ritroveranno più di una volta, avranno esperienze diverse ma non smetteranno mai di pensarsi, volersi, amarsi. Persi tra le strade del mondo li farà vedere Benni ma sempre ansiosi di rivedersi, sempre capaci di ritrovarsi. Quando succederà l’ultima volta lui è diventato un esperto di ecologia, scrive su giornali importanti, partecipa a convegni circa il problema dell’inquinamento atmosferico, dello scioglimento dei ghiacciai, del disboscamento illegittimo e inarrestabile, circa le gravi conseguenze di questi fenomeni voluti dalla modernità e diventati inevitabili. Febo li vive quasi fossero problemi suoi personali, se li è assunti in maniera tale da averne fatto della loro soluzione una missione.

  Luna è nata muta ed è cresciuta in maniera selvaggia tra quei luoghi carichi di leggende, di misteri. Recupererà la voce quando, in un istituto di suore, si sottoporrà alle cure di specialisti. Con gli anni imparerà non solo a parlare ma anche a studiare e ad insegnare la lingua dei segni ai sordomuti. Farà parte anche lei di centri di studio, avrà una sua vita indipendente, autonoma. Una delle volte che si ritroverà con Febo, andranno a visitare i luoghi della loro infanzia ma li scopriranno distrutti da quanto vi era sopraggiunto, dalle trasformazioni che i tempi avevano apportato. Mentre si sono fatti adulti la vita era cambiata, le autostrade, le fabbriche avevano cancellato le case, le capanne, i boschi, i prati, i fiumi. Finito era quel mondo incantato che li aveva visti crescere, finite le favole che ad esso erano legate, le piante, gli animali che lo avevano popolato.

   Anche il loro rapporto sarebbe finito ma non il loro amore che, insieme a quel mondo, avrebbe continuato ad esserci, a valere, a far parte del loro spirito. Neanche la morte di Febo avrebbe fatto finire l’amore di Luna e dei pensieri di due sconosciuti ragazzi di montagna Benni avrebbe fatto i testimoni eterni di un sentimento, di un’epoca.

   Ad una vita che non finisce vuol far assistere lo scrittore in questo romanzo, ad un’umanità che neanche la morte riesce a fermare.

   Al problema del costume, della crisi dei valori ha unito stavolta Benni quello dell’amore, al problema dell’ambiente, della natura quello dei suoi aspetti misteriosi, magici, e tutto ha detto con un linguaggio quanto mai libero, immediato, con una narrazione quanto mai ampia, estesa. Altre capacità ha mostrato oltre a quelle già note.