“Scuola, falsa partenza”. Genitori e prof uniti protestano in piazza

da la Repubblica

di CORRADO ZUNINO

ROMA – Lungo la fila a emiciclo che segue la transenna di Piazza del Popolo, approderà al termoscanner, si coglie l’anima nuova di questa protesta di classe: i docenti, di ruolo e precari, sono vicini. E vicini agli studenti, un filo inconsapevoli. Vicini ai loro padri, qui sorridenti. Alle madri. Tenuti, tutti, insieme da un sindacato largo che lungo la transenna va dai vecchi Snals fino ai Cobas, ancora ieri riottosi nei confronti di eventi sulla scuola che definivano picnic.

Questa nuova intesa civile è stata formata e portata in piazza da un movimento chiamato “Priorità alla scuola” che si allarga nel Paese carezzando quella sinistra-sinistra – Black lives matter, Non una di meno, il sindacalista nero Aboubakar Soumahoro – che trova nella scuola un centro e che parlando d’altro parla di scuola.

“Priorità alla scuola” ora ha pure un rap dedicato, lo ha inventato sul palco-camion il leader adulto degli Assalti frontali, già Militant A. In questo sabato è solo Luca, tre figli in età scolare. E se la scuola priorità non l’ha fatta nessuno – né Renzi con i suoi tre miliardi, né tanto meno premier Conte che di miliardi spesi ne millanta sette ma in realtà sono solo 2,9 -, si capisce presto dove va questa manifestazione con duemila persone zuppe sui sampietrini: “Sono vent’anni che non s’investe sull’istruzione, ma Lucia Azzolina è uno dei peggiori ministri della storia”. Il premier a colloquio al Festival di Trento nelle stesse ore dice, con superficiale facilità: “Avere tutti i supplenti in cattedra il 14 settembre è una fiaba che non si è mai vista”. Dal palco Francesca Ruocco della Flc Cgil contraddice: “I supplenti non ci saranno fino a novembre e ad oggi i posti vuoti in cattedra sono ancora 215.000”. È lo stesso Conte a verificare la notizia: “Ad oggi abbiamo fatto quarantamila nomine”. In piazza non credono sia un dato positivo.

Perché mancano i prof

Non c’è intervento che non ricordi l’ultimo ceffone, dato a due mani, sulla faccia degli insegnanti precari: le Graduatorie online che regalano l’uscita dal lavoro a chi l’anno prima stava in testa alla classifica e che, a Torino, a Firenze, a Napoli, vengono pubblicate nella notte per essere annullate il pomeriggio che segue. Sono sbagliate. Se la girandola delle cose che non vanno, raccolte tra palco e sanpietrini, è stordente – “il rientro a scuola è pura propaganda”, grida Gianmarco Manfreda, coordinatore della Rete degli studenti medi -, è la frase di Cristina Tagliabue a dare il senso di tutto questo agitarsi in nome di un’istruzione cercata dai ragazzi e complicata dal vivo: “Siamo qui perché ognuno di noi deve uscire da sé, il genitore deve entrare nella testa del professore, il professore farsi bidello, il preside immaginarsi studente e lo studente sentirsi mondo intero”.

C’è bisogno di un’umanità futura per non sacrificare la scuola “sull’altare della produttività”. Senza pensiero critico “diventerete consumatori di futuro”. Ma è quando sul palco sale il sindacalista nero che la folla fradicia si tace: “La povertà dei poveri non si misura dal pane, dalla casa, dal calore, si misura dalla mancanza di cultura”, dice Soumahoro, “solo la scuola sa trasformare il potenziale di un giovane in passione”. Una derivata del Mandela “la cultura è l’arma più potente per cambiare il mondo”.

I calamitati da “Priorità” vengono da Ravenna e dalla provincia di Massa Carrara, vengono da Napoli, portati qui, per gli scherzi dei percorsi, dal neo Masaniello della protesta precaria, Pasquale Vespa, approdato in questi giorni ai lidi della destra di Caldoro, governatore mancato. Ma questo mondo ora in Piazza del Popolo cita Rossana Rossanda Benedetto Vecchi, anime del Manifesto, e chiede venti miliardi del Recovery Fund per cambiare aule e laboratori, soprattutto didattiche e pedagogie: “Serve l’obbligo scolastico dai tre ai diciott’anni”. L’investimento su scuola, università e ricerca deve crescere di un punto di Pil ogni anno. “La Azzolina non ci riceve?”, giurano gli studenti, “e noi la sfidiamo dalla piazza”.

C’è stato il 23 maggio, ora il 26 settembre: “Noi aspettiamo il prossimo evento, lo storytelling di Giuseppe Conte è smentito ogni giorno da venticinque milioni di famiglie”.