Scaglionare gli ingressi nelle classi

da La Stampa

Andrea Gavosto

La Campania ha di nuovo chiuso le sue scuole: è il segnale della gravità raggiunta dalla seconda ondata del Covid-19. Si può evitare che il resto del Paese segua l’esempio campano? Dobbiamo provarci. Ciò che gli studenti hanno perso da marzo a settembre – in apprendimenti e socialità – è tantissimo. Una replica sarebbe un prezzo inaccettabile da pagare per questa generazione di studenti.

Superiore a quello di chiudere attività economiche come bar e ristoranti. L’ultima cosa di cui sentiamo il bisogno sono, però, i litigi e rimpalli di responsabilità fra il Governo e le Regioni a cui torniamo ad assistere.

Per alleggerire la pressione sui trasporti pubblici alcuni governatori hanno chiesto alla ministra Azzolina di tenere a casa gli studenti – almeno quelli delle superiori – e proseguire con la didattica a distanza. Azzolina ha risposto di non volere prendere in considerazione l’ipotesi. Ha anche negato che la riapertura abbia fatto impennare il numero dei contagi, esibendo i dati su quelli avvenuti dentro le scuole. Sappiamo, però, che questi dipendono dal numero dei tamponi e i test nelle scuole sono insufficienti in alcune regioni, ad esempio in Piemonte. Sappiamo, inoltre, che già ad aprile l’Istituto superiore di sanità avvertiva che scuole e università sono fra i principali veicoli di propagazione del Covid-19.

La questione va posta diversamente. Anche se dentro le aule le misure di sicurezza sono rispettate meglio che altrove, la scuola non è un sistema isolato. Oltre a ciò che accade dentro, bisogna guardare a quel che succede fuori: agli assembramenti fuori dei cancelli e naturalmente anche a quelli sui mezzi di trasporto per andare e tornare da scuola. Gli alunni contagiati, spesso asintomatici, portano così il virus a casa.

Per ridurre il rischio, cercando di evitare una nuova chiusura totale, ritengo che serva un modello di intervento più modulare e flessibile, con diverse frecce al proprio arco. Distinguendo fra i gradi scolastici, consapevoli che per gli alunni più piccoli le alternative alla scuola in presenza sono poco raccomandabili, per loro e per le famiglie.

Sarebbe opportuno un maggior distanziamento sui mezzi pubblici, con meno persone a bordo e più corse. Ricordiamo che sono state le Regioni in estate a opporsi a questa soluzione per ragioni di budget. Proviamo innanzitutto a diminuire i picchi di affollamento degli studenti nelle ore di punta. Per riuscirci servirebbe una misura di organizzazione scolastica: maggiori scaglionamenti degli orari di ingresso e di uscita. Non quelli di adesso, troppo ridotti per diminuire la pressione sui bus. Parlo di “spalmare” l’orario scolastico su un arco temporale più ampio, su tutta la giornata. Veri e propri turni, che alleggerirebbero anche l’affollamento negli spazi scolastici. Il ministero non li ha mai presi seriamente in considerazione, per risparmiare e per paura di scontrarsi con i sindacati sulla necessità di chiedere ai docenti orari più flessibili ed estesi. Oggi l’emergenza lo richiede.

Questa soluzione può funzionare per gli studenti delle superiori, e forse dell’ultimo anno delle medie: sono quelli che usano di più i mezzi pubblici e – dettaglio non irrilevante – per fascia di età i più a rischio di contagio. Ma essendo ormai autonomi, cambiare il loro orario non dovrebbe creare disagi ai genitori che lavorano. Evitiamo poi atteggiamenti dogmatici verso la didattica a distanza: da sola non può sostituire quella in presenza, ma è comunque una risorsa da utilizzare per attenuare il rischio di contagio. Perché sia più efficace, occorre però reimpostarla, riducendo la parte frontale e stimolando il lavoro di gruppo in autonomia.
*Direttore Fondazione Agnelli —