Istruzione e digitalizzazione: le sfide per rilanciare il Paese e guardare al futuro

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

A poco più di un mese dalla riapertura delle scuole, l’avvio di quella che ormai è definita come seconda ondata pandemica ha reso di nuovo attuale il tema del digital divide e dei suoi effetti sul diritto all’istruzione dei giovani italiani. C’è un grande nodo da affrontare: come garantire la continuità formativa di milioni di studenti di ogni ordine e grado, molti dei quali hanno già perso mesi di scuola durante la prima ondata di Covid-19.

Nonostante il grande aiuto fornito dalla tecnologia, infatti, l’Italia non era pronta, e non lo è tuttora, a passare a una didattica completamente digitale. Secondo l’Istat, solo il 6,1% degli studenti tra i 6 e 17 anni vive in nuclei familiari dove è disponibile un computer per componente. E le disuguaglianze sociali sono ancora più gravi nel Mezzogiorno, dove 4 famiglie sue 10 non dispongono nemmeno di un pc.

Ma anche il tema della connettività è rilevante: secondo Istat, circa un italiano su quattro non dispone di una connessione a banda larga – rimanendo tagliato fuori dalla possibilità di studiare o lavorare a distanza. In aggiunta a questo, gli italiani, anche tra i più giovani, non dispongono di digital skills adeguate alle necessità di oggi.

Secondo Istat solo 3 ragazzi su 10 hanno competenze digitali elevate. E secondo una ricerca di Eurostat (Do young people in the EU have digital skills?), l’Italia è fanalino di coda nella classifica delle digital skills tra i giovani. In coda con Romania e Bulgaria, il nostro Paese può vantare solo un 65% di ragazzi tra i 16 e 24 anni con skills digitali di base o superiori.

Percentuali troppo basse per un Paese che, per oltre sei mesi, ha affidato alle lezioni on-line tutta la sua didattica per i bambini e ragazzi della scuola dell’obbligo e delle università.

In linea con queste evidenze, ci sono i dati dell’Osservatorio della Fondazione Deloitte. Spiega Paolo Gibello, presidente di Fondazione Deloitte: «In Deloitte siamo sempre a caccia dei migliori talenti negli ambiti più innovativi del mercato del lavoro. E da anni riscontriamo una carenza dei profili professionali più all’avanguardia – quelli che, tra l’altro, sono pagati meglio della media. Secondo il nostro studio, circa un’azienda su quattro (23%) non riesce a trovare i profili Stem di cui ha bisogno. Tra questi spiccano le professioni legate all’Information technology (It): informatici, ingegneri, esperti di cyber-security sono merce sempre più preziosa, ma in Italia non si trovano facilmente. Leggendo i dati Istat ed Eurostat si capisce il perché: siamo un Paese che investe poco nella formazione dei giovani e che ancora non fa abbastanza per essere al passo con i tempi in ambito digitalizzazione».

Ma il Covid-19 ha messo l’Italia di fronte alla realtà e, con gli aiuti straordinari messi in campo con il Recovery Fund, c’è la possibilità di aumentare gli investimenti in istruzione e digitalizzazione. «Ben prima del Covid-19 l’Italia aveva un tasso di abbandono scolastico superiore a quello della media Ue e una quota di laureati inferiore alla media Ue. Ma un Paese che rinuncia a istruire i suoi giovani, è un paese che non innova e che non può diventare competitivo, per questo auspichiamo che le Istituzioni e il Governo mettano in campo tutte le risorse necessarie per garantire ai nostri giovani le migliori opportunità in campo di educazione e istruzione», conclude Gibello.