Ocse, studenti italiani “cittadini globali” a parole, non nei fatti

da Il Sole 24 Ore

di Giuliana Licini

Gli adolescenti italiani si dichiarano in netta maggioranza «cittadini del mondo», ma poi scarseggiano quanto agli interessi o alle attitudini che li renderebbero veramente tali o quantomeno li hanno in misura più limitata rispetto ai loro coetanei degli altri Paesi. E’ all’apparenza contraddittorio, e per molti versi tutt’altro che esaltante, il ritratto dei ragazzi della Penisola in un rapporto internazionale dell’Ocse che sonda quanto i 15enni siano pronti a vivere e lavorare in società culturalmente diverse e in un mondo globalizzato, a capire ed analizzare le questioni interculturali, ad adattarsi alla diversità e soprattutto a rispettarla.

Dalle risposte ai test e dalle conseguenti graduatorie, gli studenti italiani risultano alquanto lontani dall’obiettivo della “cittadinanza globale”. Sono all’ultimo posto tra i Paesi avanzati quanto a capacità di capire le prospettive degli altri. Sono penultimi per l’interesse a saperne di più su altre culture, dietro all’Ungheria e davanti alla sola Repubblica Slovacca (ma anche la Germania e l’Austria sono a fondo classifica). Sono terzultimi tra i Paesi industrializzati per il rispetto delle persone di altre culture, anche in questo caso in stretta compagnia di Slovacchia e Ungheria.

Sono nuovamente ultimi quanto alla capacità di adeguare il proprio modo di pensare e la propria condotta al contesto culturale. Sono in coda anche per l’atteggiamento verso gli immigrati, dove fanno meglio solo del blocco del Centro-est Europa, “guidato” – si fa per dire – da Ungheria e Slovacchia.

Parte bassa della classifica anche per il senso di responsabilità nei confronti delle problematiche globali (ma la Germania è penultima, preceduta dall’Ungheria e seguita dalla Slovacchia).

Per capire perché le graduatorie siano così impietose con i 15enni della Penisola, basta scorrere alcune percentuali. Il 54% degli studenti italiani non è d’accordo nel ritenere che ogni questione possa essere vista da due lati e che entrambi vadano esaminati (media Ocse 37%). Il 56% non è interessato ad imparare come vivono le persone in Paesi diversi (Ocse 41%). Al 73% non interessa avere maggiori informazioni sulle religioni del mondo (Ocse 60%) e il 53% è disinteressato alle tradizioni di altre culture.

Il 29% (media Ocse 17%) è in disaccordo con l’affermazione che le persone di altre culture vanno rispettate come essere umani uguali e il 35% è contrario al principio di rispettare i valori delle persone da culture differenti. Al tempo stesso il 53% ammette di non essere in grado di fare fronte a situazioni inusuali (media Ocse 41%) e il 58% afferma di non essere in grado di adattarsi facilmente a una nuova cultura.

Il 23% dei 15enni italiani non è d’accordo con l’affermazione che gli immigranti dovrebbero avere gli stessi diritti che tutti hanno nel Paese (su questo punto le obiezioni dei ragazzi ungheresi arrivano al 59%). Al tempo stesso il 68% sente la responsabilità di fare qualcosa per alleviare la povertà nel mondo e lo spirito ecologico è diffuso visto che il 72% ritiene che sia importante proteggere l’ambiante globale (ma la media Ocse è del 78%).

Infine, il 79% degli studenti della Penisola si ritiene “cittadino del mondo”, un po’ più della media Ocse (76%).

In realtà – spiega Mario Piacentini, economista dell’Ocse specializzato nell’istruzione – «dipende da cosa intendono i ragazzi per sentirsi “cittadini del mondo”, pensano magari solo alla possibilità di viaggiare, passare il tempo in altri Paesi. E’ forse solo un sentimento di vicinanza culturale, riferito a Paesi più vicini a noi come la Francia e la Gran Bretagna e vuol dire, ad esempio, andare in Inghilterra un mese d’estate a scuola oppure a lavorare per imparare la lingua. O avere contatti con lo studente di un’altra nazionalità in una scuola privilegiata. Questa stessa idea non si trasferisce sulla questione più universale dell’interazione con persone di culture diverse», magari con «l’immigrato che ha aperto il negozietto sotto casa».

Nell’insieme l’atteggiamento dei ragazzi italiani «si può interpretare in maniera positiva come un forte apprezzamento della propria connotazione culturale o in maniera negativa come un segnale di provincialismo». Va anche detto – aggiunge l’economista – che «la diversità culturale nella Penisola è un fenomeno abbastanza recente rispetto a Francia e Gran Bretagna» e quindi c’è «un fattore di transizione» che forse influisce sui risultati dei test. In generale «c’e’ una relazione positiva tra il contatto con altre culture e un atteggiamento di maggiore apertura verso l’altro. Quando c’e’ più contatto, c’e’ più apertura».

Una prospettiva che fa sperare che con il tempo anche gli studenti italiani facciano progressi verso una vera “cittadinanza globale” nei fatti e nei comportamenti, non solo nelle parole.

Ma cosa può fare la scuola per stimolare i ragazzi sulle tematiche globali, come può aiutarli a nuotare nel mare della globalità? «Sono pochi i Paesi in cui la maggior parte degli studenti dice di avere attività di sensibilizzazione sulla globalità. L’Italia non si discosta molto dalla media Ocse. Non c’è una priorità forte che spinga ad intervenire in questo senso nelle scuole. C’e’ piuttosto una certa resistenza a sostenere che è responsabilità della scuola dare ai ragazzi una consapevolezza della loro cittadinanza globale e dare loro la capacità di analizzare criticamente questo tipo di problemi», nota Piacentini. «C’è questa consapevolezza da parte di tanti docenti, ci sono molte iniziative individuali di scuole e insegnanti in questo ambito, ma si fa abbastanza poco a livello di sistema per definire cosa è importante apprendere sul mondo e per definire integrazioni nei programmi di storia, di geografia e di scienze e, ad esempio, presentare i dati storici sotto diverse prospettive». Servirebbe cioè «una trasformazione profonda a livello curriculare» se anche le scuole vogliono dotarsi del passaporto della “cittadinanza globale”.