Scuole aperte solo per gli studenti disabili?

Scuole aperte solo per gli studenti disabili? “L’idea va migliorata, perché sia inclusiva”

Redattore Sociale del 22/10/2020

Ianes (Università di Bolzano) commenta l’iniziativa della scuola di Napoli: “Se entrano solo studenti disabili e insegnanti di sostegno, non va bene. Ma non parliamo di scuole speciali. Ma allargando il gruppo, può funzionare. Studenti disabili con didattica a distanza pagano il prezzo più alto”. E per la Dad nelle superiori, “si ricorra a piccole cordate” Coordown

ROMA. Fa discutere, l’iniziativa della preside del Vomero, a Napoli, che tiene aperti i cancelli solo per gli studenti con disabilità: 49 in tutto quelli autorizzati ad entrare, insieme agli insegnanti di sostegno. Da una parte c’è chi plaude all’iniziativa, frutto certamente della consapevolezza che con gli studenti con disabilità la didattica a distanza proprio non funzioni. Dall’altra c’è chi grida al ritorno delle “scuole speciali”, o “differenziali”, perché il contesto che va a configurarsi non è certo inclusivo né integrato. Abbiamo chiesto un parere a Dario Ianes, docente di pedagogia speciale ed esperto di queste tematiche, che più volte aveva sottolineato, durante e dopo il lockdown, quanto fosse importante che gli studenti con disabilità entrassero in classe.

Ianes, nota di merito o di demerito alla preside napoletana? 
Sicuramente un plauso all’intenzione, che è certo buona e parte dalla consapevolezza che, con la didattica a distanza e la chiusura delle scuole. Gli alunni con disabilità sono quelli che hanno pagato il prezzo più alto. Questo è un dato di fatto. Per evitare questo e sostenere le famiglie, la soluzione proposta dalla preside napoletana è però riduttiva, se è vero che entrano solo gli alunni con disabilità e gli insegnanti di sostegno: è naturale che qualcuno gridi al ritorno delle scuole speciali, anche se mi sembra una posizione massimalista ed esasperata. La scelta della preside napoletana ci mostra però come la visione dell’integrazione e dell’inclusione sia molto legata solo a quel tipo di alunni e solo a quel tipo di insegnati di sostegno: una visione “a tunnel”, quando quello che ci serve è uno sguardo più ampio. Se fossi stato io il preside di quella scuola, avrei però fatto qualcosa di simile, lasciando aperta la scuola per gli studenti con disabilità ma mettendo dentro anche altri docenti e alunni.

Lei stesso aveva indicato come priorità, prima della riapertura delle scuole, che agli studenti disabili fosse assicurata la didattica in presenza… 
Non solo agli studenti con disabilità però: era stato anche scritto e previsto che, nelle situazioni di chiusura, alcune categorie di alunni dovessero avere la priorità nella presenza in classe, per esempio anche coloro che hanno i genitori medici o infermieri. Si può creare insomma un gruppo misto di studenti che entrano a scuola. Anche quando la didattica è a distanza o perfino, come è accaduto a Napoli, quando la scuola per gli altri è chiusa. Quello che però dobbiamo salvaguardare e rispettare è il principio fondamentale dell’inclusione: l’eterogeneità.

Dopo la Campania, altre regioni hanno disposto non la chiusura delle scuole, ma l’aumento della didattica a distanza nelle superiori. Che ne sarà degli studenti disabili più grandi, che spesso sono anche quelli più complicati da gestire? 
Visto che non si parla di chiusura, né di didattica a distanza e esclusiva, direi senz’altro di dare priorità alla presenta in classe di chi ha una condizione di maggiore fragilità. Facciamo un esempio: un’intera classe di quarto o quinto anno delle superiori resta a casa, per un paio di mesi, con didattica a distanza esclusiva. In questo caso, per attenuare il rischio d’isolamento e di abbandono degli alunni più fragili, io rilancio l’idea della cordata di alunni: legarli insieme in piccole unità di tre studenti aiuta ad assumersi la responsabilità l’uno dell’altro, a tenersi vicendevolmente aggiornati, a restare in contatto. Stiamo sperimentando questa strategia anche nella mia Università, con il corso di primo anno di Pedagogia dell’inclusione: i ragazzi, alcuni in presenza altri a distanza, sono divisi in cordate da tre e questo rende più facile restare connessi e condividere informazioni, materiali, aggiornamenti e responsabilità. Per questo invito qualsiasi insegnante sappia di dove iniziare nei prossimi giorni la didattica a distanza a organizzare la classe subito in piccole cordate, naturalmente eterogenee, che facilitino anche l’inclusione degli studenti con disabilità. In questo modo, la didattica a distanza diventa più vicina.

E i casi più gravi? Pensiamo ai ragazzi con serie difficoltà del comportamento, che in classe sono seguiti da insegnante di sostegno e assistente. Per loro non è opportuno che questi supporti si spostino a domicilio? Anche su questo, ci sono pareri discordanti… 
Innanzitutto bisogna certamente evitare che figure come gli assistenti, caratterizzati da estrema precarietà e frammentarietà ma fondamentali nel processo inclusivo, spariscano come è accaduto durante il lockdown. E’ importante che ora, con l’evidente ritorno, seppur al momento parziale, della didattica a distanza, insegnanti di sostegno e assistenti contattino la famiglia e stabiliscano con questa un forte collegamento. L?insegnante di sostegno a casa? Non ci veco niente di male, se si tratta di abilitare il contesto (ragazzo e familiari) ad usare bene la didattica a distanza e i suoi strumenti. In altre parole, ben venga che per qualche giorno l’insegnante di sostegno vada a casa dello studente, per aiutarlo ad avvicinarsi a questa modalità. Allo stesso tempo, però, l’insegnante di sostegno ha il compito di restare in collegamento stretto con gli altri docenti, per assicurarsi che i colleghi facciano didattica a distanza (e quindi producano materiale ecc) con un’attenzione inclusiva per quel ragazzo confinato in casa. L’insegnante sostegno deve insomma lavorare su entrambi i fronti, non solo su quello domestico: altrimenti diventa un precettore privato e finirà per isolare lo studente, anziché facilitarne inclusione.

di Chiara Ludovisi