“Nelle classi impennata di positivi per questo in Puglia abbiamo chiuso”

print

da La Stampa

Niccolò Carratelli

Roma

La scuola è un “fattore facilitante per la diffusione del virus”, fermare la didattica in presenza per tutti gli studenti pugliesi è stata una decisione “sofferta ma necessaria”. Pierluigi Lopalco la difende con forza, da epidemiologo prima ancora che da assessore regionale alla Sanità.

Dice che lo stop era necessario, eppure l’aumento dei contagi in Puglia non è sostenuto come altrove, no?

«Con i 716 nuovi casi di ieri, la Puglia ha raggiunto la soglia dei 10mila positivi. A marzo-aprile avevamo appena superato i 4mila. Purtroppo bisogna anticipare le mosse del virus, non inseguirle. La decisione di interrompere momentaneamente la didattica in presenza, sofferta quanto necessaria, ha un fondamento epidemiologico e pragmatico e cioè mitigare l’impatto della pandemia. Le attività scolastiche, oltre a rappresentare di per sé un rischio di diffusione virale, per tutto quello che avviene prima, durante e dopo

la scuola, hanno nelle ultime settimane registrato un numero di casi tale che ci ha indotto a prendere questo provvedimento».

Gli studenti contagiati finora sono meno di 500, a fronte di una popolazione studentesca di 562mila bambini e ragazzi. Sono numeri allarmanti?

«La scuola è un aggregatore sociale e, a prescindere se il contagio avvenga nelle aule o al di fuori, rappresenta un fattore facilitante per la diffusione del virus. Da quando è partita l’attività didattica, il 24 settembre, abbiamo registrato 1121 casi di positività fra la popolazione di età 6-18 anni, l’11% del totale. Questa percentuale era del 6% nella settimana dal 17 al 22 settembre e dell’8% nella prima settimana di apertura della scuola. L’aumento della proporzione di casi in quella fascia di età è, dunque, sicuramente contemporaneo alla riapertura della scuola».

Molti, in primis la ministra dell’istruzione Lucia Azzolina, sostengono che la vostra decisione dipenda da un deficit di gestione della sanità.

«Chiedo alla ministra Azzolina di evitare atteggiamenti inutilmente ideologici nei confronti della didattica in presenza a tutti costi. La gestione sanitaria dei casi comparsi nelle scuole ha generato un carico di lavoro enorme: migliaia di persone in isolamento fiduciario di almeno 10 giorni per contatto stretto, con tutti i disagi a carico delle famiglie, specie quando in quarantena finiscono i più piccoli. Ma significa anche migliaia di ore di lavoro per gli operatori dei dipartimenti di prevenzione, perché devono effettuare i tamponi, la sorveglianza sanitaria e le attività di tracciamento, a cui si aggiunge l’impatto sui laboratori per l’analisi dei tamponi. Inoltre nelle ultime settimane i pediatri sono stati presi d’assalto dalle centinaia di genitori che avevano bisogno dei certificati per la riammissione a scuola dei figli».

Crede che il ritorno a scuola sia stato organizzato male dal punto di vista della sorveglianza sanitaria? Troppi adempimenti per le famiglie, le Asl e i pediatri? Si poteva fare diversamente?

«Probabilmente sì. In un momento di emergenza si sarebbe dovuto avere un atteggiamento meno difensivo, abolendo certificazioni e richieste di tamponi inutili».

In Francia, dove ad oggi i contagi sono peggiori dei nostri, hanno chiuso quasi tutto ma non le scuole. Come spiega questa valutazione opposta?

«Avranno fatto le loro valutazioni e avranno risposto alle loro pressioni sociali».

In Puglia c’è il rischio di ulteriori restrizioni rispetto all’ultimo Dpcm? L’ipotesi di lockdown localizzati è concreta?

«Stiamo cercando di anticipare la crescita incontrollata dei contagi. Speriamo di non averne bisogno». —