«Errore privare i ragazzi di un luogo controllato dove possono vedersi»

da Corriere della sera

Margherita De Bac

«Solo se si decidesse di chiudere tutto la scuola dovrebbe essere sacrificata. Ma se si continuasse a procedere per gradi sarebbe l’ultima a dover piegarsi al lockdown», la difende perentorio Alberto Villani, pediatra del Bambino Gesù, componente del Cts, il comitato tecnico scientifico. E riafferma con convinzione la volontà di salvare l’istruzione, non solo per una questione di dati. «Pensiamo al valore sociale della didattica tradizionale».

Però sembra prevalere nel governo la linea opposta. Lei mantiene la linea?

«La scuola non è fonte di casi positivi e focolai. I contagi non si sono sviluppati in classe ma nell’ambiente esterno. È il luogo più sicuro, qui le regole sono pienamente rispettate perché c’è chi è preposto a farle rispettare. E se anche un bambino con infezione da Sars-CoV-2 entra in aula è molto difficile che possa trasmettere il virus ai compagni dato che indossa la mascherina, è obbligato a lavare le mani e a stare distanziato».

Alla scuola sono dovuti il 3,8% dei contagi. Come negare le sue responsabilità?

«È un contributo ai contagi molto basso. La responsabilità è tutto ciò che avviene dopo o prima che suoni la campanella. La scuola è ultra sicura. Chiuderla significherebbe privare i ragazzi di un luogo controllato dove possono incontrarsi senza rischiare il contagio. E poi i bambini di elementari e medie sono i più bravi nel rispettare le regole, molto più degli adulti».

È favorevole a nuovi blocchi?

«Non è questione di essere per il sì o per il no. L’aumento repentino dei casi nell’ultima settimana ci impone di non azzardare previsioni a lungo termine. Oggi, sabato 31 ottobre, penso non sia ancora necessario intervenire con un’ulteriore blindatura. Gli effetti delle misure introdotte nell’ultimo Dpcm non sono ancora visibili. Serve altro tempo per la verifica. Sarebbe già molto riuscire a contenere la curva epidemica come è oggi ed evitare il peggioramento. Tenendo conto che si tratterebbe comunque di un equilibrio instabile. Le terapie intensive sono ad altissimo rischio di saturazione».

Ha senso temporeggiare visto che non ci sono dubbi sulla tendenza alla crescita veloce dei casi?

«Dieci giorni fa nessuno avrebbe detto che in così poco tempo avremmo superato i 30 mila casi in 24 ore».

A che servono allora l’epidemiologia e gli istituti di ricerche statistiche?

«Questa situazione ha troppe variabili. Siamo alle prese con un virus nuovo. Se durante l’estate molti non avessero creduto che l’epidemia fosse finita non ci troveremmo in questa crisi».

I letti non bastano, bisognava crearne di più. Eppure era previsto che sarebbero serviti. Perché i ritardi?

«I posti di terapia intensiva non si inventano da un giorno all’altro, ne abbiamo circa 1.300 in più rispetto alla prima ondata. Oggi un letto resta occupato molto più a lungo, anche un mese. Le cure sono migliorate e molti pazienti gravi guariscono. Ecco come mai il fenomeno della saturazione non dipende soltanto dalla quantità di posti».

È possibile una nuova normalità fra i paletti dai quali siamo circondati?

«Sì. Basta adattarsi per qualche mese».

Che abbiamo imparato?

«Che il servizio sanitario è una grande risorsa, ma che è composto da figure mediche che andrebbero riformate in quanto propongono vecchi modelli».

Allude a medici e pediatri di famiglia?

«Proprio così».