Studenti disabili, a casa o in classe?

Studenti disabili, a casa o in classe? Il dilemma raccontato dai genitori

Redattore Sociale del 05/11/2020

L’ultimo Dpcm, pur estendendo al 100% la didattica a distanza nelle superiori, garantisce agli studenti con disabilità la possibilità di andare a scuola. In molti casi, questo significa stare da soli in classe, con i compagni a distanza e il docente di sostegno accanto. Cosa sceglieranno le famiglie? “Una decisione sofferta: mia figlia sta continuando ad andare”. “Questa non è scuola, la tengo a casa” Nadia Esposto Fabio e Luca in didattica a distanza

ROMA. Scuola o non scuola? A distanza o in presenza? E’ un vero e proprio dilemma quello che tanti genitori di ragazzi con disabilità vivono in queste ore: con la didattica a distanza che, nelle superiori e nelle zone rosse, è stata portata al 100%, resta comunque la possibilità, per studenti con disabilitò, Bes e Dsa, di frequentare la scuola in presenza. Cosa questo significhi, ce lo hanno hanno raccontato ieri su queste pagine alcuni assistenti scolastici: aule deserte, connessioni non funzionanti, corridoi vuoti, popolati solo di pochi ragazzi con disabilità e qualche docente. Oggi, con l’aiuto di Anffas, abbiamo chiesto ad alcune famiglie di raccontarci se, pure in queste condizioni, andare a scuola possa avere, per i figli, un valore e un significato. O se non sia preferibile restare a casa, collegati a distanza con i propri compagni e docenti. “Entrambe le soluzioni possono essere considerate utili, a condizione che si tenga sempre conto di alcuni elementi, a mio avviso imprescindibili – spiega a Redattore Sociale Roberto Speziale, presidente nazionale di Anffas -. Primo, la scelta di quale sia la soluzione migliore, nella situazione data, deve vedere al centro esclusivamente gli interessi dello studente con disabilità; secondo, va sempre garantito il diritto allo stesso studente, supportato dai suoi familiari, di poter esprimere le proprie preferenze; terzo, le soluzioni devono essere discusse e condivise all’interno degli organismi scolastici a ciò preposti, aggiornando il Pei. E va sempre perseguita la massima dimensione inclusiva possibile. Prioritariamente, deve essere garantito il diritto a frequentare in presenza anche in caso di sospensione totale delle lezioni, “in una dimensione inclusiva vera e partecipata” e “adottando tutte le misure organizzative ordinarie e straordinarie possibili”, come previsto dall’Ordinanza ministeriale n. 39/2020. Laddove si dovesse invece propendere per la didattica a distanza o a domicilio, si dovranno sempre approntare tutti i necessari accorgimenti per garantire i necessari supporti, unitamente al collegamento con i vari docenti curricolari e di sostegno e, soprattutto con il contesto classe. In buona sostanza occorre evitare che, con la scusa dell’emergenza Covid 19, si realizzi un isolamento dal contesto classe dello studente con disabilità o non vengano garantiti i necessari sostegni per poter svolgere al meglio il proprio percorso educativo e di apprendimento, nonché relazionale. Comprensibili, quindi, le preoccupazioni espresse da molti genitori – osserva Speziale – che paventano il rischio che tutto ciò si traduca in un ulteriore arretramento del percorso inclusivo. Ma ciò non discende dagli attuali provvedimenti, che anzi sembrano segnare una inversione di tendenza rispetto al passato, anche recente, ma ad una situazione di forte criticità con comportamenti poco edificanti, preesistente alla crisi pandemica che il sistema scolastico fa molta molta fatica a superare ed abbandonare. Ancora una volta, basterebbe applicare correttamente le tante buone norme e prassi di cui, anche grazie al movimento delle persone con disabilità, disponiamo in Italia”.
“Questa non è scuola: mia figlia resta a casa”
Barbara Picchioni è la mamma di Sara, 19 anni e una grave disabilità: “Mia figlia non va a scuola, innanzitutto perché non ci sono tutti gli insegnanti di sostegno: alcuni non sono stati ancora nominati, altri sono in quarantena. Quindi, non andava a scuola neanche quando i suoi compagni erano in classe. Risultava assente”. Paradossalmente, con gli ultimi due Dpcm la situazione è migliorata: “Ora c’è la didattica a distanza per tutta la classe, quindi lei può partecipare ed essere presente, da casa, come i suoi compagni. Certo, devo esserci io accanto a lei, ma non lavoro e posso dedicarmi a questo. Inoltre, con il computer lei lavora bene e a casa si concentra di più, ha meno distrazioni. Non ho quindi intenzione di mandarla a scuola, anche se il decreto ci offre questa possibilità: non sarebbe una condizione di integrazione. Magari la manderei una volta ogni tanto, per farla uscire di casa, ma consapevole che quella non sarebbe scuola, perché mancherebbe la relazione. Capisco però chi fa una scelta diversa, necessaria per tanti genitori che lavorano e non possono seguire i figli nella didattica a distanza”.
“I miei figli a scuola, per noi e per loro è una buona possibilità”
Nadia vive vicino Udine e ha due figli, gemelli, con disabilità cognitiva e visiva a causa di una malattia genetica. Fabio e Luca hanno 18 anni e frequentano il quarto anno di un istituto superiore: “Vanno a scuola anche se i compagni non ci sono – ci racconta – Abbiamo scelto così per due ragioni: primo, perché noi lavoriamo, io in smart working, ma loro non sono autonomi e io non ho la possibilità di seguirli. La seconda ragione è che per loro è più proficuo lavorare in presenza con docenti ed educatori accanto, perché tramite il video è difficile sia per il ragazzo che per l’insegnante: al primo manca la presenza fisica, al secondo la visione completa. Lo scorso anno la didattica a distanza non ha funzionato, né con loro né in generale. Per questo, ritengo che oggi ci venga offerta una buona possibilità e anche loro preferiscono andare a scuola, anche sapendo di trovare solo gli insegnanti. Certo, è triste che non ci siano i compagni, con cui però si collegano da scuola e, con il docente accanto, per loro è tutta un’altra cosa”. 
“Una scelta combattuta, ma per ora mia figlia va a scuola”
Per Nicoletta Ravasi, mamma di Marta, 18 anni e una grave e complessa disabilità, “è stata una scelta molto sofferta”. Aveva appena iniziato le superiori Marta: un liceo artistico “che abbiamo cercato a lungo, fin quasi alla scadenza delle iscrizioni, perché molte scuole non se la sentivano di accogliere Marta, con le sue grandi difficoltà. Poi abbiamo trovato questo liceo artistico: dirigente e insegnanti non hanno avuto paura ma hanno accettato la sfida, permettendo a Marta di ambientarsi e inserirsi. Lo stop è stato un duro colpo”. Vive in zona rossa, Nicoletta, a nord di Milano. “Lo scorso anno è stata molto dura: con la didattica a distanza Marta ha avuto grandi problemi, alla fine rifiutava il mio aiuto e rifiutava il tablet. Avevamo grandi speranze, quest’anno, con quei compagni pieni di colori, per i quali la diversità era una scelta e un valore. Questa chiusura ci rattrista molto. Abbiamo riflettuto molto, poi abbiamo scelto di continuare a mandarla, almeno fin quando ci saranno i docenti a far lezione da scuola: è anche un modo per uscire, per lei che soffre molto a star chiusa in casa. Certo, ieri che sono andati a scuola anche i suoi compagni, per un laboratorio pittorico, era entusiasta: batteva le mani e dopo pranzo si è addormentata, distrutta dall’emozione. Mandarla senza compagni è una scelta difficile, ma ora che si esce di meno e non ci sono più zone aggreganti, le è rimasta solo scuola e se leviamo anche questa, è davvero triste e faticoso. Si stavano creando relazioni in classe: è un peccato che si siano interrotte, ma spero sia un fermo momentaneo. Una cosa però è certa: se dovesse andare scuola solo con il docente di sostegno e l’educatore, allora resterà a casa: ho già chiesto e ottenuto dalla regione di autorizzare l’educatore a venire a domicilio e sto cercando di avere la stessa autorizzazione dal dirigente per l’insegnante di sostegno. Da marzo a giugno, quando Marta faceva didattica a distanza, non ho cucinato per tre mesi: la mattina stavo accanto a lei e il pomeriggio preparavo il materiale. Se fosse indispensabile, lo rifarei, ma sento che anche per lei non è giusto. Per questo, finché ci sarà un contesto minimamente inclusivo, andrà a scuola: noi abbiamo bisogno di credere nei nostri figli e loro hanno bisogno di sentire che noi crediamo in loro. E’ questo, soprattutto, il senso di questa difficile scelta”. 

di Chiara Ludovisi