Le regole non sono il gioco

Le regole non sono il gioco

di Maria Grazia Carnazzola

1. Per Iniziare

Un gruppo di cacciatori lascia l’accampamento al mattino, marcia per cinque chilometri in direzione sud e da lì per cinque chilometri in direzione ovest. A questo punto i cacciatori uccidono un orso. Poi marciano per cinque chilometri in direzione nord e giungono al loro accampamento. Di che colore è la pelliccia dell’orso?”. Tentare di trovare una risposta a questo gioco- rompicapo, ripreso da “Guardarsi dentro rende ciechi” di Paul Watzlawick, credo possa portare in evidenza le differenze che ci sono tra “gioco” e “regole del gioco”. Così come è formulato, il gioco-problema contiene tutte le informazioni necessarie alla soluzione, ma la scarsa consapevolezza della differenza tra gioco e regole, esplicitate o implicite, e della loro natura convenzionale, fa pensare che questa sia una barzelletta di cui bisogna capire il senso. O a un problema mal formulato che bisogna risolvere ricorrendo a regole conosciute. In genere si parte dalla premessa che nessun triangolo può avere due angoli retti, per cui si prova e si riprova, si controllano e si ricontrollano le deduzioni. Difficilmente si arriva a mettere in discussione le premesse perché queste hanno provato la loro corretta efficacia in molte situazioni del passato.

2. Premesse e deduzioni.

Quello che voglio mettere in evidenza è sia che facciamo fatica a mettere in discussione le regole che hanno dimostrato la propria efficacia e correttezza nel passato, sia a cogliere le situazioni che ci si presentano come un gioco nuovo e inedito. Lo sperimentiamo in questo particolare periodo in tutti i settori della vita personale, familiare, istituzionale e sociale. Ma di quale gioco si tratta? Con quali regole? Quali e quanti giocatori? Restringendo il campo al mondo della scuola, in tutta la confusione che via via sta aumentando, nel turbinio di assonanze, di neologismi recanti innovazioni miracolose la domanda rimane: cosa vanno a fare i bambini e i ragazzi a scuola? A scuola si va per imparare qualcosa di “scientifico” che, partendo dal sapere del senso comune, permetta di comprendere l’interazione tra i fenomeni sociali e naturali attraverso gli strumenti culturali e le solide categorie interpretative (rigorosi approcci disciplinari) che permettono la costruzione di quell’ atteggiamento critico fondamentale per essere cittadini attivi. Tornando alla questione del gioco, bisogna distinguere le regole, che possono essere condivise e replicate, dal gioco, fatto personale, intimo, sempre nuovo e diverso. Questo scritto di Camilleri, in chiusura di “U iocu d’a musca”, credo valga più di mille spiegazioni. Alla minuzia della descrizione del gioco, segue una secca chiusura di carattere emotivo. “Sono fermamente persuaso che nel corso di questo gioco, durato anni, si sono decisi i nostri destini individuali…E così qualcuno divenne gangster, un altro ammiraglio, un terzo uomo politico. Per parte mia, a forza di raccontarmi storie vere e inventate in attesa della mosca, diventai regista e scrittore”.

3. La scuola: le regole e il gioco.

Il gioco della scuola è una questione molto seria, ha un contenuto, ha delle regole e presuppone che i giocatori, alunni e docenti, giochino con passione e conoscano, tutti, l’obiettivo dello “stare a scuola”, in presenza o a distanza.

3.1 Le regole.

Lezioni in presenza, a distanza, distanziamento, sanificazione, mascherine, areazione, banchi a rotelle, ingressi differiti, giustificazioni per l’attività in presenza, per quella on line, registrazione delle presenze, quarantena, durata delle lezioni, intervalli… tutto vorrebbe essere regolamentato. DPCM, regolamenti attuativi, linee Guida, note di chiarimento… una valanga di informazioni, qualche volta non proprio coerenti, in continuo mutamento che cercano di orientare tutti gli aspetti organizzativi, a volte riuscendoci e a volte no, proprio per l’effetto perverso legato all’eccesso di informazione per cui tanto si sa ma non sempre tanto si capisce. C’erano altre regole di cui nessuno parla più: favorire gli apprendimenti, costruire relazioni significative, favorire il collegamento organico tra educazione ed esperienza personale, sviluppare capacità critiche, valutare gli apprendimenti- l’insegnamento- l’organizzazione, promuovere la professionalità dei docenti, promuovere la cittadinanza…

Ora le lezioni si svolgono prioritariamente a distanza o in forma mista. Fanno eccezione, in questo momento, la scuola dell’infanzia, la primaria e la prima secondaria di primo grado. Per la Secondaria di 2^ grado, moduli di 40’ in modalità sincrona,20’ in modalità asincrona… altra lezione.

Che tipo di interazione, quale attenzione condivisa, quali mediazioni e confronti per un apprendimento significativo in 40 minuti di attività sincrona, è il problema. L’ integrazione tra sincrono/asincrono, per garantire il massimo di opportunità di interazione docente/allievi, impone una condizione: la capacità di utilizzare una serie supplementare di regole funzionali e di abilità tecnico-operative specifiche che permettano di gestire la direzione e il controllo della classe- sistema sociale-, da un lato, e il controllo dell’apprendimento individuale dall’altra. Comprendendo tra queste regole anche l’integrazione dei tempi in sincrono/asincrono. Il tempo non è l’obiettivo, che rimane l’apprendimento, ma una delle variabili. Le regole del gioco dell’insegnamento, restringendo la visuale sui docenti, possiamo riassumerle come segue.

-Pianificare, sul breve, medio, lungo periodo i risultati attesi, i contenuti, le strategie;
-predisporre ambienti di apprendimento adatti alle caratteristiche del gruppo;
– creare un clima di classe positivo: l’errore è funzionale agli apprendimenti;
-predisporre materiali differenziati di apprendimento e forme di feed-back flessibili e personalizzate; -organizzare e scandire i tempi;

-monitorare il lavoro individuale e del gruppo;
– organizzare i raggruppamenti degli allievi, coordinarne le attività modificando le strategie interattive; -mantenere la disciplina controllando e modificando i comportamenti disturbanti;
-verificare, valutare e notificare gli esiti;
– utilizzare la valutazione degli apprendimenti come retroazione sul proprio operare.

3.2 Il gioco.

Il gioco riguarda, invece, l’insegnamento in senso stretto e le scelte che ogni insegnante opera nell’immediato e in situazione, in relazione ai metodi didattici (le strategie) e ai comportamenti operativi che favoriscano l’interazione funzionale al raggiungimento degli obiettivi.

Se l’apprendimento di ciascuno e di tutti è l’obiettivo, come garantire il coinvolgimento attivo per accompagnare ogni studente verso il successo? S. Dehaene ci ricorda che i quattro pilastri su cui si fonda

l’apprendimento- e che rappresentano gli elementi del gioco nell’apprendimento scolastico- sono l’attenzione, il coinvolgimento attivo, il riscontro dell’errore e il consolidamento. A fare attenzione si impara, così come si impara la concentrazione e la voglia di sapere (motivazione), a mettersi alla prova e a consolidare quanto di nuovo imparato. Insegnare significa fare attenzione all’attenzione dell’altro: anche dal cosa e dal come si insegna/ impara oggi dipenderanno i destini individuali e collettivi di domani e dovremmo ricordarcelo ogni volta che entriamo e usciamo da un’aula scolastica. Così come dovremmo ricordarci che c’è conoscenza solo nella profondità e che l’informazione rappresenta la superficie: la nozione può essere appresa da tutti più o meno allo stesso modo, non tutti possono invece padroneggiare un concetto allo stesso livello perché appropriarsi di un concetto implica il riferimento all’esperienza soggettiva, alla sfera emozionale che riattiva altre esperienze e altre conoscenze personali. L’insegnamento che tende alla profondità, come ogni gioco, richiede la disponibilità a confrontarsi continuamente e con passione con l’incognita e con il rischio, come peraltro lo richiede ogni aspetto della vita. Anche questo, implicitamente ci dice Dehaene.

4. Conclusioni.

Che si tratti di insegnanti o di allievi, il gioco è quello di porre le condizioni, di creare le opportunità, i presupposti per il migliore dei mondi possibili, come dice H. Gardner, un mondo che ciascuno si creerà e contribuirà a creare. Non sappiamo quale e come sarà il migliore dei mondi possibili, ma come persone di scuola sappiamo, per certo, che il peggiore è quello fondato sui privilegi di pochi. I diritti di tutti possono essere tutelati non dal governo, non dalla scienza, non dalla tecnologia, ma dalla responsabilità di ciascuno di noi.

Per concludere, doverosamente, riporto la soluzione fornita da Watzlawick alla domanda “ … di che colore è la pelliccia dell’orso?” del gioco-problema proposto in apertura. “C’è un luogo soltanto sulla terra in cui questo accampamento può essere situato, vale a dire il Polo Nord: soltanto al Polo Nord è possibile dirigersi a sud, fare un angolo di 90°verso ovest e ritornare al punto di partenza, dopo aver fatto una seconda deviazione di 90°a destra (cioè a nord). Perciò i cacciatori devono aver ucciso un orso polare”.

BIBLIOGRAFIA

S. Dehaene, Imparare, Raffaello Cortina Editore, Milano 2019;
P. Watzlawick, Guardarsi dentro rende ciechi, TEA Pratica Ed., Milano 2018, p. 281; A. Camilleri, Piccola enciclopedia di giochi per l’infanzia, H. Beyle Edizioni, Milano; H. Gardner, Cinque chiavi per il futuro, Feltrinelli, Milano 2006;
L. Tomassucci Fontana, Fai lezione, La Nuova Italia, Firenze 1997.