Scuola, nidi, welfare e cantieri «tagliano» lo smart working

da Il Sole 24 Ore

di Tiziano Grandelli e Mirco Zamberlan

Il lockdown differenziato sul territorio riscrive le regole per il lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni. A distanza di una settimana dal decreto Dadone, operativo dal 29 ottobre scorso, le Pa che rientrano nelle zone rosse devono ripensare le modalità operative di erogazione dei servizi mettendo nel cassetto quanto fatto nella settimana precedente.

Usciti dal prima fase dell’emergenza, dove il lavoro agile costituiva la modalità ordinaria della prestazione lavorativa, i datori di lavoro pubblici dovevano portare lo smart-working al 50% delle attività che potevano essere svolte anche da casa. Con la pubblicazione in Gazzetta del Dm del 19 ottobre 2020 l’organizzazione doveva essere ulteriormente modificata per arrivare a una percentuale ancora più elevata rispetto della metà dei dipendenti. Con il Dpcm del 3 novembre, operativo dal 6, le Pa nelle regioni ad alto rischio tornano alla casella di partenza rappresentata dalle regole previste per il primo lockdown: solo le attività indifferibili che richiedono la presenza in servizio possono evitare il lavoro agile. Tutti gli altri dipendenti devono svolgere la prestazione lavorativa in smart-working. Il testo dell’articolo 87, comma 1, lettera a), del Dl 18/2020, vigente fino a metà settembre, è identico all’articolo 4, comma 4, lettera i) dell’ultimo Dpcm.

La scelta non può stupire perché l’emergenza è tornata nella fase acuta. Al contrario stupisce che non sia stata riproposta la norma, contenuta nell’articolo 87, comma 2 del Dl 18/2020, che equiparava alla presenza in servizio l’assenza dei dipendenti addetti ad attività non indifferibili e non smartizzabili (come per i lavori manuali) una volta esaurite ferie, congedi e banca ore. La situazione è aggravata dal fatto che le ferie sono già state consumate nella prima fase dell’emergenza. È pur vero che il decreto Dadone consente di adibire questo personale ad altre mansioni o di prevedere percorsi formativi, ma per operai o uscieri non è semplice rendere concrete queste previsioni. Salvo nascondersi dietro improbabili corsi da improvvisare.

Per le altre regioni viene confermato quanto già previsto dal quadro normativo precedente, cioè uno smart-woking con le percentuali più elevate possibili garantendo comunque il 50% calcolato sulle attività smartizzabili e nel rispetto della qualità dei servizi erogati. Il che vuol dire una significativa flessibilità nella gestione sia dei servizi che della percentuale di lavoratori in presenza, arrivando addirittura a rimanere sotto la soglia minima.

Ma il rispetto della qualità dei servizi nell’organizzazione del lavoro in presenza o da remoto, valido per tutto il territorio nazionale a mente dell’articolo 5 del Dpcm, si applica anche alle regioni rosse? In altri termini, la presenza del solo personale impiegato in servizi indifferibili che non possono essere svolti da casa deve tenere in considerazione o meno la «effettività dei servizi erogati», uno dei principi cardine della pubblica amministrazione? Non è un problema da poco visto che il numero dei dipendenti potrebbe variare molto. Pur nell’incertezza normativa si deve evidenziare che il Dpcm è disseminato di affermazioni di principio che invocano il lavoro agile come strumento per ridurre la mobilità sul territorio.

Andando oltre agli adempimenti giuridici, sul piano pratico il Dpcm non sospende i termini dei procedimenti amministrativi e lascia aperti i servizi scolastici e i nidi d’infanzia. È impensabile sospendere poi l’assistenza sociale alle fasce deboli della popolazione o bloccare i cantieri in corso. Ne consegue che in questa seconda fase agli enti locali restano ben pochi spazi di manovra.