D. Pennac, La fata carabina

Pennac diventa infinito

di Antonio Stanca

  Nato a Casablanca nel 1944, Daniel Pennac ha trascorso i primi tempi della sua vita tra l’Europa, l’Africa e l’Asia. Si è poi laureato e, stabilitosi a Parigi, ha insegnato Francese in Istituti di periferia. Qui è venuto a contatto con le fasce più povere della popolazione parigina, con le loro condizioni, i loro bisogni, qui ha maturato l’idea di scrivere di esse, di rappresentarle, da qui è derivata, a cominciare dagli anni ’80, la serie di romanzi detti di Belleville che avrebbe reso Pennac famoso in tutto il mondo. Molto tradotto, molto premiato sarebbe stato e quelle opere sarebbero risultate le sue più importanti anche se in molti altri generi si sarebbe applicato, racconti, saggi, monologhi, teatro, fumetti, fantascienza. Un autore eclettico sarebbe stato.

   Nel 2002 Pennac ha vinto il Premio Internazionale Grinzane Cavour, nel 2005 è stato insignito della Legion d’Onore per le arti e la letteratura, nel 2015 gli è stato assegnato il Premio Chiara alla carriera.

   Ora ha settantasei anni e di recente, nella “Universale Economica” della Feltrinelli, è comparsa la quarantanovesima edizione de La fata carabina, romanzo scritto dal Pennac nel 1987 e compreso nella serie di Belleville. Così si chiama un quartiere della periferia parigina dove lo scrittore immagina avvengano le storie da lui narrate. Personaggio in esse ricorrente è quello di Benjamin Malaussène, che svolge sempre la funzione di capro espiatorio. Anche ne La fata carabina c’è lui nella sua funzione e, come al solito, ci sono pure tanti altri personaggi, uomini e donne, bambini e vecchi, ricchi e poveri, giusti e ingiusti, buoni e cattivi, malati e sani, spacciatori e drogati, polizia e criminali. Su quest’ultimo confronto, in verità, s’incentra molta parte dell’opera, su come l’indagine della polizia del posto si estenda sempre più poiché sempre più difficile diventa scoprire chi ruba, chi uccide a Belleville. Qui è ormai di moda uccidere vecchietti che abitano in condomini fatiscenti o drogarli fino a far perdere loro la ragione e ricoverarli in ospedali psichiatrici dove moriranno poco dopo. E’ un’operazione crudele, nella quale rientrano, oltre a Benjamin e alla sua numerosa famiglia, molte altre persone che a volte non si capirà da quale parte stiano, se da quella delle vittime o dall’altra dei colpevoli. Rientreranno pure la bella giornalista che non ha paura dei ricatti, la figlia che vuole vendicarsi del padre ricco, i bambini poveri di un sottoscala, i traffici, i commerci illeciti di farmaci sospetti, di droga, l’amore, il sesso, la gioia, il dolore. E rientreranno, naturalmente, i poliziotti che si sono caricati di tanti sospetti da pensare di non riuscire a controllare la situazione, di non poter scoprire i colpevoli, di non saper fermare la strage. Ci sarà, infine, chi ha provveduto ad armare i vecchi, ad istruirli nell’uso delle armi affinché sappiano difendersi dai pericoli.

   Di tutto sta succedendo a Belleville e di tutto questo ha scritto Pennac nel suo romanzo: il suo sguardo si sposta in continuazione poiché molti sono i luoghi, i tempi, i personaggi, gli avvenimenti che è costretto ad inseguire, a mostrare. E’ simile ad una corsa continua quella compiuta dallo scrittore in quest’opera. Non finisce mai di dire, tante sono le situazioni che ha messo in moto che sembra non si possa arrivare alla loro conclusione, a vederle finite. Neanche quando si scoprirà di quale terribile truffa siano stati vittima quei vecchi, di come una grossa azienda edilizia abbia progettato di farli morire per liberare le loro case, abbatterle e costruire nuovi e più costosi edifici, neanche allora si potrà dire conclusa l’opera del Pennac perché molto di irrisolto, di sconosciuto rimarrà ancora.

   Immenso, infinito ha voluto farsi il Pennac di questo romanzo e ci è riuscito visto che  si conclude con una voce che narra e che non sembra aver intenzione di fermarsi.