L’analisi degli esperti: “La scuola non è responsabile dell’aumento di contagi”

da la Repubblica

Elena DUsi

Scuole assolte. Il serbatoio di benzina del coronavirus non è lì. Nonostante i dati messi a disposizione degli scienziati non siano abbondanti, Antonella Viola ed Enrico Bucci concludono: “La popolazione scolastica non ha avuto un ruolo primario nell’esplosione di casi a cui assistiamo da settimane”, anche se “non è esente dal contagio, cosa che sarebbe impossibile”. In un’analisi indipendente, portata avanti dalla direttrice scientifica dell’Istituto di ricerca pediatrica di Padova e dal professore di biologia dei sistemi complessi della Temple University di Philadelphia, si legge che gli under 20 si infettano e infettano gli altri come il resto della popolazione, in media.

“I tempi di raddoppio per ciascuna fascia di età, considerando tutti i dati disponibili nei rapporti dell’Istituto Superiore di Sanità dal 25 agosto al 7 novembre, sono indistinguibili. Il valore assunto dai positivi in una delle curve per qualunque fascia di età risulta sempre proporzionale a quello assunto in qualunque altra fascia di età” scrivono i due ricercatori. Ma con un’eccezione importante. Tra 0 e 10 anni il virus corre molto meno. È dai 10 ai 20 anni che i ragazzi, dal punto di vista dell’epidemia, diventano indistinguibili dagli adulti. Lo spiega nei dettagli Antonella Viola.

Il virus corre a velocità diverse nei bambini e negli adolescenti? 

“Il motivo non è del tutto chiaro, ma al di sotto dei dieci anni i bambini trasmettono meno il virus agli altri. La soglia dei dieci anni non è nettissima. Alcuni studi fissano il discrimine a 12, altri a età più basse. Ma si vede chiaramente che fra materne ed elementari da un lato e medie e superiori dall’altro ci sono differenze. Mettendo a confronto le curve della crescita dei contagi tra 25 agosto e 7 novembre si osserva che fra gli under 10 l’epidemia ha lo stesso andamento degli over 90, una fascia d’età molto attenta a non esporsi a rischi. Dai 10 anni in su la curva dei contagi comincia a diventare più ripida. Dove il virus si diffonde di più è soprattutto fra i 20 e i 50 anni”.

Avete visto cambiamenti nella curva dalla riapertura delle scuole? 

“No, l’andamento è stato costante in tutto il periodo tra fine agosto e prima settimana di novembre. Se le scuole avessero contribuito all’accelerazione dell’epidemia, avremmo visto aumentare la pendenza della curva dei contagi dalla fine di settembre, circa due settimane dopo la riapertura delle scuole. Né ci sono state differenze nelle Regioni che hanno rimandato l’inizio dell’anno oppure hanno deciso di richiudere le aule”.

I dati che avete usato sono divisi per fasce d’età ma non distinguono chi va a scuola e chi no. 

“Infatti, e questo è un problema per l’analisi. Abbiamo anche scritto al ministro dell’Istruzione Azzolina, ma purtroppo il problema è a monte. Chi effettua il tampone indica solo l’età, non l’eventuale frequenza della scuola. La raccolta dati in Italia è carente da molti punti di vista, non ha nulla a che vedere con l’organizzazione della Germania. Un primo problema da noi è la disomogeneità dei metodi di raccolta e memorizzazione dei questionari dei positivi e dei loro contatti. Asl diverse hanno database che non comunicano e non permettono confronti o analisi approfondite. Poi non esiste una raccolta delle informazioni specifiche sulla popolazione scolastica. Per le Asl che effettuano il test conta solo l’anno di nascita. Anche noi, nella nostra analisi, non siamo potuti andare oltre la raccolta dei contagi per fasce d’età”.

Anche in Gran Bretagna, dove tre giorni fa è stato reso pubblico un rapporto sulle scuole, si notava la differenza fra elementari da un lato e medie e superiori dall’altro. 

“Sì, fra i più piccoli ci sono classi con uno o due casi, ma raramente dei veri e propri focolai. Ovviamente, perché i contagi non si estendano è necessario che le misure di igiene nelle classi siano rispettate in modo rigoroso, come avviene ad esempio in Nord Europa. Laddove invece non si usavano mascherine e non si mantenevano le distanze, come è avvenuto d’estate in alcuni istituti in Israele, i contagi si sono moltiplicati. Ma oggi sappiamo come prevenire i focolai scolastici. Siamo in una posizione di vantaggio rispetto a marzo, quando il problema era deflagrato in modo talmente violento da non permetterci che una soluzione: fermare tutto il prima possibile”.

Perché allora molte regioni in Italia, ma anche molte metropoli, soprattutto negli Stati Uniti, stanno decidendo di passare alla didattica a distanza anche per i piccoli? 

“Perché test e tracciamento, almeno in Italia, spesso non riescono a seguire i casi. Se in una scuola c’è un positivo, occorre fare il tampone a un gran numero di contatti e il sistema rischia di andare in tilt. Molte classi si ritrovano in isolamento o quarantena per l’impossibilità di eseguire i test in tempi rapidi. A quel punto la situazione diventa ingestibile e si preferisce chiudere tutto. Per questo chiediamo che nelle scuole si usino di più i test rapidi. In Veneto ad esempio, dove il loro uso è diffuso, il sistema scolastico sta per il momento reggendo”.