Il caregiver di una persona disabile e quel rischio silente

Il caregiver di una persona disabile e quel rischio silente che “da un malato ne tiriamo fuori due” 

Disabili.com del 18/11/2020

“I caregiver, più che le persone da loro assistite, sono i veri fantasmi. Sono fantasmi, ma devono esserci sempre”.
Laura e Stefano sono una coppia rodata: moglie e marito, amica e amico, da qualche anno assistita e caregiver. Nell’ultimo post del suo blog La vita Possibile (di cui qui facciamo una sintesi, e che vi invitiamo a leggere nella sua completezza qui), Laura Santi parla con implacabile realismo e onestà intellettuale della parte solitamente meno raccontata della relazione disabile-caregiver, ovvero la fatica, il lavoro di assistenza continuo e senza ferie, il carcere che tocca a suo marito, trasformatosi per necessità anche nel suo assistente. 

Laura, che non può stare sola mai a causa del suo bisogno continuo di assistenza, si è decisa a scriverne dopo l’ennesima notte insonne di Stefano. Dopo gli strappi muscolari per sollevarmi, dopo le infiammazioni ai tendini per spostarmi, girarmi, piegarmi. E sarebbe domenica, oggi! Ma per noi non esistono domeniche. Per noi non esistono feriali o weekend. Per lui, non esistono turni di riposo. 
E Laura non è una che si lamenti o non ci provi con tutta se stessa: nonostante riabilitazione, caparbietà, manovre apprese per i trasferimenti, la sclerosi multipla le ha tolto l’autonomia anche nelle alzate notturne per la pipì, che sono due, e che richiedono di svegliare Stefano: Dalla sua risposta “… Arrivo.”, da quanto è immediata e di voce già fresca, capisco quanto stesse dormendo o meno. Confesso: quando lo sento già sveglio sono egoisticamente ‘contenta’: almeno non sono stata io a svegliarlo. Quando però lo sento ancora sveglio alla seconda alzata – per me è passato un secondo sonno; per lui, magari, tre ore di veglia – mi sento morire. Ogni singola notte. 

E poi la giornata comincia. Si fa il punto della situazione – quali assistenti arrivano, a che ora, come si alternano, quali sono gli incastri di attività, forse riesce a fare la spesa: una incombenza che diventa un momento di libertà da me – riflette con spietata lucidità Laura. 
C’è da imboccare per colazione, chè mani e braccia la mattina sono spastiche, c’è da essere portati in bagno, ma ora lasciami da sola. Poi quando inizio il bidet ti chiamo. E ancora. bidet assistito, alzata in piedi, mi alzo, no non mi alzo, due passi, quattro, okay sto già al limite, puoi vestirmi? Vestizione. Il pomeriggio non è molto diverso, tanto più la domenica, giorno senza assistenti. 

La fortuna di Laura e Stefano? La complicità immutata, e questo ci salva. 
La sera sono un film, quattro risate, due coccole. Ma questa routine è 24 ore al dì, per 7 giorni, per 12 mesi. Non esiste vacanza, non esiste pausa se non, paradossalmente, nelle sue trasferte di lavoro, che comunque sono causa di stress organizzativo per reperire tutte le assistenti che servono – ufficiali o in nero – e in ogni caso in piena pandemia sono completamente assenti. 
Come assenti sono i sostegni al reddito, gli sgravi contributivi: Stefano è libero professionista e non ha la 104. E per fortuna, ci capita di commentare: che ci faremmo con qualche giorno al mese di permesso, con lui in ufficio e vincolato da un orario? 
E allora suona come una presa in giro l’ennesimo discorso del premier di turno, quando annuncia “saremo vicini alle famiglie dei disabili, cioè aumenteremo i giorni di 104“. Quanta ignoranza, o menefreghismo, dietro questi proclami? (e quanta invidia malcelata in chi ti dice, ‘beato te che hai la 104?‘). Dietro le fattispecie arcaiche di leggi quasi trentennali c’è una realtà diversa, feroce. Si chiama “bisogno di assistenza continua”, migliaia di coppie o famiglie la provano sulla propria pelle, sostituendosi allo Stato e pagando un prezzo in termini di salute mentale. Possibile che venga ignorato, a tutti i livelli?

Nessuna traccia neppure di supporti psicologici. E sì che ne avrebbe bisogno. Non sempre la nostra complicità è immutata. Discussioni, stanchezze, parole non dette o urlate: lasciami almeno mezz’ora, lacrime (mie), sforzi supremi per mantenere il sangue freddo (suoi). Una altalena di sentimenti, alcuni espressi, altri repressi. La proposta per recuperare le energie: Vai via due, tre notti… Chiamo una delle assistenti a nero, ti prendi un hotel, te lo pago io, o vai da tuo fratello o da un amico… 
Il burnout dietro l’angolo, o già raggiunto, con Stefano che nel cuore della notte si sveglia con gli incubi e si precipita da Laura, credendola in pericolo. 

E’ questa la quotidianità di un caregiver invisibile e di sua moglie, che nei momenti più bui si sente la sua carceriera. Di fronte a queste realtà, di cui sono piene le case italiane, non solo non c’è sostegno, ma neppure uno straccio di riconoscimento legale per i caregiver. Non fermerebbe l’avanzare della malattia, certo, ma, come giunge amaramente a conclusione Laura, aiuterebbe a non fare due malati da uno solo.

Ringraziamo Laura Santi per l’autorizzazione a riprendere su Disabili.com parti del suo post, che vi invitiamo leggere nella versione completa a questa pagina. 
Il blog di Laura Santi: lavitapossibile.it