Smart working anche a regime

da ItaliaOggi

Marco Nobilio

L’annuncio della ministra Dadone di emanazione di linee guida sullo smart working, senza coinvolgimento delle organizzazioni sindacali, non è la risposta giusta per affermare il diritto delle lavoratrici e dei lavoratori a partecipare alla trasformazione e al rilancio della pubblica amministrazione». Lo afferma in una nota la segretaria confederale della Cgil, Tania Scacchetti. La risposta del sindacato di Corso Italia è arrivata dopo l’intervento della ministra della Funzione pubblica, Fabiana Dadone, che durante un question time che si è tenuto alla camera dei deputati l’11 novembre, ha fatto sapere che l’emanazione delle linee guida sullo smart working nella pubblica amministrazione avverrà senza la previa stipula di un contratto ad hoc (si veda Italia Oggi del 17 novembre scorso). Secondo quanto affermato dalla ministra, il tavolo negoziale sarà aperto successivamente. Fino ad allora, dunque, i dirigenti della Pa (dunque anche nella scuola) applicheranno il lavoro agile in assenza della necessaria regolazione contrattuale. Sebbene misure organizzative e gestionali che saranno oggetto del decreto, andranno necessariamente ad impattare sulla prestazione dei lavoratori. Materia, quest’ultima, di stretta competenza della contrattazione collettiva. Di qui la reazione del sindacato. «Negli scorsi mesi le lavoratrici e i lavoratori della Pa» si legge nella nota della Cgil «hanno dovuto operare da casa, e spesso senza alcuna garanzia sul diritto alla disconnessione e con costi spesso a loro carico. É stata una misura necessaria e spesso apprezzata, ma ora lo smart working che si vuole realizzare a regime dovrebbe rispondere a processi di innovazione organizzativa in cui viene valorizzato il lavoro, e non essere l’ennesimo strumento unilaterale nella gestione in mano ai dirigenti».

La questione è molto delicata perché l’introduzione di modifiche unilaterali alle modalità di svolgimento della prestazione è una partita che si svolge contemporaneamente su due campi. Da una parte gli aspetti organizzativi e gestionali, di stretta competenza della parte datoriale. E dall’altra parte la prestazione in senso stretto: cosa è richiesto ai lavoratori, quali sono le modalità di svolgimento e quali sono i tempi di esecuzione. In altre parole: la determinazione dei diritti della parte datoriale e degli obblighi in capo ai lavoratori. E viceversa, a fronte dello svolgimento degli obblighi da parte dei lavoratori, quali siano i diritti che ne costituiscono la contropartita.

La regolazione unilaterale degli aspetti organizzativi e gestionali, prima della regolazione della prestazione e della controprestazione al tavolo negoziale, rischia quindi di tradursi, di fatto, in quella che i giuristi chiamano «novazione oggettiva del contratto». Che nel caso concreto riguarderebbe la modifica delle modalità di svolgimento della prestazione (con oneri a carico del lavoratore) e i tempi di esecuzione.

La prassi utilizzata in passato per evitare questo problema era la piena contrattualizzazione degli istituti o, in alternativa, la concertazione. E cioè la stipula di intese sulla base delle quali la politica e le amministrazioni emanavano i provvedimenti di loro competenza. Va detto, inoltre, che la legge non prevede più la possibilità per la contrattazione collettiva di derogare le norme di legge. Pertanto, anche i decreti attuativi di tali leggi, comprese le linee guida, non possono essere modificati dai contratti. Che spesso si limitano a recepirle (si veda il contratto sulla didattica a distanza).