Formazione obbligatoria per superare l’improvvisazione

da Il Sole 24 Ore

di Andrea Gavosto*

Già sappiamo purtroppo che questa generazione di studenti pagherà alla pandemia globale un conto elevato, con perdite gravi di apprendimenti, di competenze, di socialità, che avranno riflessi negativi sulla loro vita e il benessere economico futuri.

In Italia, a quella lunghissima in primavera, oggi si aggiungono nuove chiusure delle scuole. Mentre si scrive sono ancora parziali, in quanto differenziate per grado scolastico e per territorio in relazione alla gravità del contagio (alcune regioni, però, hanno già chiuso ogni istituto), ma non si può escludere che possano diventare presto generalizzate e durare oltre Natale. Nell’ipotesi migliore, l’anno scolastico sarà a singhiozzo, con nuovi pericoli e perdite a danno di un processo essenzialmente cumulativo com’è l’istruzione.

Quanto elevato sarà il conto per gli studenti italiani ancora non sappiamo e sarà difficile scoprirlo, avendo perso l’occasione di usare a questo scopo uno strumento che era a disposizione, le prove Invalsi.

Nonostante tutto, è comunque un bene che il tema della learning loss, la perdita di apprendimenti, sia infine diventato oggetto di dibattito pubblico, lasciando indietro temi più futili, dal plexiglas ai banchi a rotelle.

Un’altra cosa che ancora non sappiamo è in quale misura la didattica a distanza (Dad), ora rinominata didattica integrata digitale (Did), sia riuscita a mitigare la perdita di apprendimenti durante il lockdown.

In attesa di capirne di più, resta il fatto evidente che – piaccia o meno – la didattica online continuerà a tenerci compagnia a lungo.

Tutti speriamo che ciò avvenga, laddove l’emergenza sanitaria lo consenta, grazie a una sua efficace integrazione con le attività didattiche in presenza. In questo caso, sarà una prima, sia pur forzata, sperimentazione di quelblended learning, che mette appunto insieme apprendimenti in presenza e online: una strada seguita già prima della pandemia da sistemi scolastici più aperti al rinnovamento della didattica. E con risultati promettenti, sebbene in attesa di nuova solida conferma.

Ma potrebbe anche darsi che la didattica online torni a essere l’unica risorsa per fare scuola, pur sapendo che non può efficacemente sostituirsi del tutto alle attività in presenza. Si pensi – per fare un solo esempio – alle lezioni laboratoriali che sono al centro dei percorsi formativi di istituti tecnici e professionali.

In entrambi i casi, è ormai tempo che di didattica online, di come farla e come migliorarla, si parli in modo più laico, come si propone di fare questa guida del Sole 24 Ore.

E come, invece, non si è fatto nei mesi scorsi, quando è quasi diventata il termometro degli umori mutevoli del Paese rispetto alla scuola in tempi di Covid. Si è partiti da una narrazione che nelle prime settimane esaltava l’impegno dei docenti nella Dad (che davvero è stato generoso), ma dimenticava talvolta sia i troppi studenti che di fatto ne erano esclusi, sia quanto improvvisata e talvolta limitata fosse l’offerta delle scuole. Ben presto si è arrivati, però, sulla spinta della richiesta da parte delle famiglie per una completa riapertura delle scuole e di alcuni autodafé di intellettuali, a una demonizzazione della didattica online: inadeguata, inefficace, iniqua, una parentesi da dimenticare subito, senza alcuna lezione da apprendere.

Nelle pagine seguenti si comprenderà meglio perché la didattica online non è una medicina cattiva né una panacea, ma una risorsa da analizzare criticamente e migliorare.

Per il salto di qualità credo serva, però, condividere alcuni presupposti che permettano di andare al di là dell’esperienza dei mesi scorsi. Provo, in chiusura, a metterne in fila alcuni.

In primo luogo, smettiamo di pensare – come ancora spesso avviene – che la didattica online sia fare una videoconferenza che riproduca in tempo reale una tradizionale lezione ex cathedra. Ci sono strade più promettenti, nei tempi e nei modi. La ricerca internazionale conferma, infatti, che ciò che davvero importa non è tanto che l’apprendimento avvenga “in sincrono” (in tempo reale) piuttosto che in altri momenti e formati, quanto che la proposta del docente fondi la sua qualità anche su alcuni ingredienti didattici ricorrenti, che già sono importanti in presenza e lo diventano di più in quella online e nelblended learning. Fra questi, fondamentale è la qualità della programmazione, delle spiegazioni strutturate e dei feedback da dare agli studenti, che in ogni momento anche a casa devono sapere a che punto si trovano. Non meno rilevante per gli esiti dell’apprendimento è insistere sul lavoro autonomo di ciascun allievo e sul lavoro collaborativo fra pari, all’interno di “cordate” online fra compagni di classe.

In secondo luogo, non va abbassata la guardia sui rischi che – anche dopo il primo lockdown – ci siano studenti ancora tagliati fuori. Nonostante investimenti importanti del ministero soprattutto in device per gli allievi, restano problemi tecnologici, inclusa per molte scuole la qualità del collegamento. Allo stesso modo, servono strategie specifiche per “tenere a bordo” gli studenti con disabilità e con bisogni educativi speciali, allorché la didattica in presenza – per loro in generale ancora più utile – diventi impossibile.

Infine – è banale, ma va ripetuto dopo l’inerzia colpevole degli ultimi cinque mesi – i miglioramenti che potrebbero traghettare la didattica online dall’improvvisazione a una prima maturazione si ottengono solo con un urgente programma di formazione obbligatoria dei docenti.

* Direttore della Fondazione Agnelli