Vaccini: priorità per i docenti? Ma allora la scuola non è un “luogo sicuro”?

da La Tecnica della Scuola

Durante l’audizione del 2 dicembre in Commissione cultura della Camera dei deputati, Agostino Miozzo, coordinatore del Cts (Comitato tecnico scientifico) ha tra l’altro affermato che “il personale della scuola è in cima alle priorità dei vaccini e anche gli studenti delle scuole superiori che hanno una grande possibilità di trasmissione del virus“. Ora sorge spontanea (come suol dirsi!) una domanda: se i vaccini rappresentano una priorità per la sicurezza della convivenza a scuola come si concilia ciò con la volontà addirittura di anticipare i tempi da parte della ministra Azzolina (e di Conte? Nonostante le precauzioni della Commissione europea che invece propone prudenza, magari prolungando le vacanze natalizie qualche giorno dopo il 6 gennaio)?

La scuola è un “luogo sicuro” ma poi i vaccini sono prioritari per docenti e alunni? …Un po’ contraddittorio!

Insomma se docenti (e studenti) sono considerati possibili veicoli di contagio a tal punto da rappresentare una priorità nelle vaccinazioni (magari per qualcuno addirittura ancor prima del personale sanitario?), perché il dott. Miozzo e il resto della “bella compagnia” spingono per una scuola in presenza al più presto? Naturalmente con il solito slogan “in sicurezza” (prima era “in piena sicurezza”, ora si aggiunge “si sa che il rischio zero non esiste”, e così ci si copre in caso di futuri malaugurati eventi) “e senza assembramenti”. Delle due l’una: o la scuola è un luogo sicuro molto più di altri e allora perché la priorità sui vaccini oppure non lo è e bisogna fare eventualmente i vaccini.

Tanti insegnanti anche nelle scuole superiori (docenti di sostegno, di laboratorio, ma non solo) sono già in servizio in presenza

Peraltro detto per inciso ci sono già alcune tipologie di insegnanti che vanno a scuola in presenza, a parte insegnanti dell’infanzia, della primaria e di buona parte delle scuole medie, anche docenti delle scuole di istruzione secondaria di II grado (e non su base volontaria, e spesso neppure i loro alunni volontariamente), per esempio gli insegnanti di sostegno e i docenti dei laboratori: rispetto ai loro colleghi (spesso in tal senso poco solidali) loro possono e devono rischiare di più?! Della serie: non tutti sono uguali?

Chiariamo subito che non voglio porre questioni sulla opportunità di vaccinarsi: personalmente in via generale (poi è chiaro che ci possono essere limitati casi specifici) sostengo il valore delle vaccinazioni e ne sono favorevole, ovviamente se attendibili. Parlo invece di coerenza e “priorità”. E in effetti  il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha dichiarato che “i primi a ricevere i vaccini saranno gli operatori socio-sanitari, i residenti delle Rsa e gli anziani”. E che successivamente “con l’aumento della disponibilità di dosi di vaccino Covid si inizieranno a sottoporre a vaccinazione le altre categorie di popolazione, tra le quali quelle appartenenti ai servizi essenziali quali anzitutto gli insegnanti e il personale scolastico, le Forze dell’ordine, il personale delle carceri e dei luoghi di comunità”, come dichiarato illustrando qualche giorno fa il Piano strategico per i vaccini alla Camera.

Ristabilendo quindi un certo ordine di priorità, sempre che anche lui non cambi “in corso d’opera”. Il ministro ha anche detto che non ci sarà obbligatorietà (senza però compromettere la salute delle altre persone, aggiungo io), ma che sarà somministrato gratis a tutti gli italiani senza disuguaglianze. Ma il sottosegretario alla Salute Sandra Zampa, ospite un paio di sere fa nella trasmissione Rai “Carta Bianca”, ha a sua volta affermato: “penso che per gli insegnanti il vaccino contro il Covid dovrebbe essere obbligatorio”.

Ma mettetevi d’accordo (magari con brevi messaggi su twitter!) prima di dire cose differenti all’interno dello stesso Ministero. Già bastano le prese di posizione spesso opposte e quindi contraddittorie nell’ambito del governo, tra titolari di vari Dicasteri.

Ma anche nella maggioranza di governo le divisioni sul tema della scuola in presenza o della necessità ancora della Dad sono evidenti, tra chi invita alla prudenza (anche in base a pareri di eminenti virologi ed infettivologi sullo stato attuale dell’emergenza sanitaria e sui rischi futuri) e chi invece vuole anticipare i tempi della riapertura (a parte che i soliti “meno uguali” degli altri continuano o hanno ripreso già a lavorare con le scuole aperte, come abbiamo segnalato prima), soprattutto tanti 5S che fanno quadrato attorno alla loro ministra Azzolina e i renziani.

Dad solo in emergenza perché la scuola “vera” è quella in aula: proprio così, il problema è che l’emergenza c’è ancora

Torniamo al dott. Miozzo, che ha affermato che “la Ddi (didattica digitale integrata) è un metodo di insegnamento intelligente, ma non può essere la sostituzione dell’attività didattica, può essere utilizzata solo in ambito emergenziale”. Perfettamente d’accordo, penso che la stragrande maggioranza degli addetti ai lavori (personale scolastico in primo luogo) sia pienamente consapevole che la didattica a distanza va utilizzata in situazioni di emergenza e che la scuola “vera” sia quella in presenza, in aula (io, che peraltro non sono docente, l’ho scritto subito già in primavera quando fu imposta la Dad, che allora comunque rappresentava una soluzione). Il problema è che siamo ancora “in ambito emergenziale”.

Anzi, per quanto riguarda le regioni del Sud, mentre in primavera forse il lockdown avrebbe potuto essere evitato, limitandosi a necessarie restrizioni, ora nel Meridione d’Italia la situazione è analoga se non in taluni casi peggiore rispetto ad altri territori del Centro e del Nord.

E quindi nel momento in cui Agostino Miozzo dichiara che “da marzo a maggio l’aggregazione scolastica non consentiva la presenza nelle classi, ma oggi, anche se nessuno può sostenere di poter aprire in sicurezza, bisogna intervenire per rientrare nelle aule”, non mi sembra dica una cosa esatta né convincente, per due motivi: il primo perché forse in primavera nelle regioni del Sud si sarebbe potuto continuare, con le dovute precauzioni, la didattica in presenza (tra l’altro allora non c’era in diverse famiglie la strumentazione tecnologica che si dice sia stata poi fornita agli studenti: ma dove è finita adesso??), il secondo motivo è che non si capisce ragionevolmente perché in questo momento si dovrebbe aprire se neppure ora si può garantire la sicurezza (e come detto prima si parla di priorità dei vaccini per docenti e alunni delle superiori).

Se poi Miozzo vuole fare raccomandazioni pedagogiche le lasci fare ai pedagogisti, come dice lui stesso al Cts sono medici, quindi diano consigli di carattere sanitario (penso sia stato costituto per questo il Comitato e non solo per parlare di scuola, né tanto meno di consigli pedagogici).

Anzi nell’audizione in Commissione cultura della Camera (l’intera seduta è riportata in un articolo pubblicato ieri sulla Tecnica della Scuola) Miozzo ha precisato che “il Cts è un comitato di 26 esperti e scienziati di settore epidemiologico, di disastri ambientali, ecc. che analizza dei quesiti e risponde con argomentazioni squisitamente tecniche e sanitarie”. In realtà, come ho già documentato in un articolo di una dozzina di giorni fa dal titolo “Contagi: siamo sicuri… che la scuola sia sicura?“, risultavano facenti parte del Cts (almeno nella composizione del nucleo iniziale, poi ci sono state diverse integrazioni) Giuseppe Ippolito direttore scientifico dell’Istituto nazionale per le malattie infettive “Lazzaro Spallanzani”, l’immunologo Franco Locatelli, pediatra oncoematologo, Sergio Iavicoli direttore del Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale dell’Inail. Quindi un infettivologo, un immunologo e un epidemiologo. Non risultano ad esempio virologi. Gli altri, sicuramente personalità a loro volta di spicco (a cominciare da Silvio Brusaferro, presidente dell’ISS), hanno nella maggioranza dei casi, se non andiamo errati, incarichi presso Ministeri o altre istituzioni, ma non specializzazioni nel settore specifico. Agostino Miozzo dopo la laurea vanta come titolo un perfezionamento in chirurgia ostetrico ginecologica (conseguito, si legge nel suo curriculum, nel 1982).

Problematiche note a tutti. Ma i consigli del Cts (e di altri esperti) vengono recepiti solo se “conformi” ai desideri dei politici?

Nel corso dell’audizione il Coordinatore del Cts ha parlato delle problematiche legate ai trasporti (sottolineando che erano già state segnalate durante il lockdown, ma penso fossero evidenti a tutti!), con una mobilità di parecchi milioni di persone che usano i mezzi pubblici, tra cui un numero molto alto di studenti e insegnanti che si spostano per recarsi a scuola (appunto: e vogliamo farli stare a scuola, ammesso che non si contagino lì ma sui mezzi pubblici, e poi tornano – magari asintomatici – in ambito familiare?!). Inoltre ha evidenziato come il Comitato tecnico scientifico abbia sollevato il tema dell’importanza dei tamponi (se non molecolari almeno quelli con test antigenico) e di un eventuale presidio medico negli istituti scolastici. Insomma, tutte cose che non bisogna essere esperti o addirittura “scienziati” per capirne l’importanza e per suggerirli. Semmai adesso comprendiamo bene come i “consigli” del Cts vengano recepiti dai politici quando sono “conformi” ai propri desideri, utili per sostenere i loro obiettivi, e come invece restino “perle di saggezza” inascoltate o comunque non attuati quando per un motivo economico o di interesse politico conviene accantonarli. E a questo serviva un Comitato tecnico scientifico di esperti e scienziati?

Per le difficoltà tecniche riguardanti “l’installazione dei termoscanner” nelle scuole, a cui ha fatto riferimento sempre il coordinatore del Cts, ricordiamo sommessamente al dott. Miozzo che i termoscanner vengono normalmente utilizzati in vari contesti, persino in alcune pizzerie!

Infine, sui dati relativi all’emergenza sanitaria richiesti da qualche componente della Commissione cultura, Agostino Miozzo ha detto (come leggiamo sempre nel suddetto articolo pubblicato ieri su questa testata) che “i dati vengono forniti dall’Istituto superiore di Sanità e allo stato attuale 20.000 casi al giorno non consentono un’analisi approfondita dei dati”. Però conosciamo i dati che il Ministero ha fornito a Wired: considerando il solo ambito scolastico, sono circa 65.000 i positivi segnalati dalle istituzioni scolastiche al 31 ottobre scorso. Un dato non proprio confortante‼

Ma a parte ciò, qualcuno in Commissione cultura insisteva sul fatto che il Cts dovesse valutare su dati più aggiornati, relativi a fine novembre, e Miozzo, probabilmente giustamente in questo caso, ha replicato che a loro i dati vengono comunicati visto che “il Cts non ha un proprio istituto di ricerca”. Però ci si potrebbe allora domandare che consigli possa dare il Comitato se non conosce neppure i dati in base ai quali dovrebbe decidere (o meglio: consigliare).