Scuola digitale anche in classe: ecco come sarà la didattica post Covid

da Corriere della sera

«La didattica digitale non è utile solo nell’emergenza ma, fatta in classe, dovrà essere uno degli elementi della scuola di domani»: lo ha detto la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, agli Stati generali della scuola digitale 2020 che si sono tenuti a Bergamo venerdì scorso, e che hanno messo a confronto docenti, politici, operatori del settore, innovatori, con la partecipazione di circa 3mila docenti, dirigenti scolastici, genitori e attori del mondo scuola, in un momento in cui l’istruzione è tornata a essere al centro dell’agenda politica nazionale, anche in vista delle scelte da operare per i fondi europei del NextGenerationEU. «Questo momento difficile – ha detto Azzolina – è stato un motore di accelerazione enorme per la scuola, in pochi mesi è stato fatto quello che negli anni passati non si era potuto fare. Di ciò dobbiamo fare tesoro, affinché dall’emergenza possa nascere una scuola migliore. Oggi si parla di didattica a distanza, ma domani la didattica digitale dovrà essere fatta in classe, perché la didattica del XXI secolo vuole questo, perché i nostri studenti parlano anche quella lingua». Nel corso della giornata di studio, non sono mancate le critiche alla didattica a distanza, che non sempre ha incluso: disabili, bambini e ragazzi socialmente in difficoltà hanno penato, e la stessa organizzazione scolastica ha faticato per stare al passo. Basti pensare che uno studio della Sapienza ha rilevato che solo un prof su tre ha raggiunto i suoi studenti.

Gli svantaggi per i più fragili

«Quando ce la siamo inventati a marzo», la didattica a distanza «non era uno strumento perfetto né lo è ancora, ma era l’unico strumento che avevamo per non lasciare soli i nostri studenti. Era quello che la comunità scolastica doveva fare nel momento più difficile», ha sottolineato Azzolina. Secondo la ministra «non è stato tutto perfetto però c’è stata una risposta rapida». «La Dad si è dimostrata estremamente fragile per i ragazzi in termini pedagogici, psicologici ed economici, con effetti peggiorativi dell’apprendimento, più marcati per chi è già svantaggiato. Il rischio è di un blocco della mobilità sociale garantita dalla scuola», ha denunciato l’economista Tito Boeri. «In realtà – ha ribattuto Stefano Quintarelli, fondatore di ImparaDigitale – fare scuola da remoto non è inefficace, è il modo in cui l’abbiamo fatta che è stato inefficace: abbiamo dimenticato la didattica e la metodologia».Gli interventi, anche economici, poi sono arrivati, ma la stessa ministra ammette che non bastano: «Sulla scuola digitale abbiamo investito più di 400 milioni in questi mesi, abbiamo acquistato più di 400 mila device e abbiamo portato la connessione dove era possibile farlo, ma tanto ancora deve essere fatto. C’è un gap storico da recuperare e per questo serve uno sforzo gigantesco per accelerare. Dalla crisi che stiamo vivendo, dobbiamo necessariamente far fiorire opportunità».

La scuola di domani

Ed è stata proprio questa la linea rossa che ha attraversato tutta la giornata: la crisi che ha rivelato le opportunità, il trauma che ha fatto scoprire la cura, la difficoltà che ha svelato il risorse nascoste. «La scuola si è messa in gioco- come ha sottolineato Dianora Bardi, fondatore e presidente di ImparaDigitale – trovandosi a dover affrontare una situazione completamente nuova: i docenti hanno fatto il possibile, permettendo al sistema scuola di fare passi da gigante grazie a un nuovo patto educativo con le famiglie». La scuola di domani eredita tantissimo dalla crisi in cui l’ha gettata l’epidemia: «Dovrà essere rifondata sulla base di tre elementi imprescindibili: un piano nazionale contro la dispersione scolastica, un piano per la formazione delle competenze digitali e un piano di recupero della funzione critica dei ragazzi nei confronti del mondo», ha sottolineato Patrizio Bianchi, già coordinatore della task force del Miur. Sotto il profilo psicologico, come ha spiegato lo psicologo Matteo Lancini, presidente della Fondazione Minotauro, «gli adolescenti si sono adattati, nel momento in cui gli adulti li hanno responsabilizzati. Più preoccupante è la situazione dei bambini di materne e primarie, all’inizio del processo di conoscenza e di relazione. Ma la pandemia può davvero rappresentare una straordinaria occasione di crescita per tutti».

Il test della scuola innovativa a Bergamo

Da Bergamo parte l’idea quindi di una nuova scuola, dove presenza e assenza, virtuale e reale, distanza e vicinanza, si fondono, si intrecciano, fino a diventare un nuovo modello che proprio in questa città, così martoriata dall’emergenza, potrebbe essere sperimentato: «Sarebbe bello che Bergamo potesse concorrere a una sperimentazione» della scuola ma bisognerebbe che il ministro dell’Istruzione «avesse voglia di provare a fare un test e voglia di provare a prendere un territorio e fare delle cose» nuove, ha detto il sindaco Giorgio Gori. «La scuola è un baraccone enorme e riuscire ad attivare cambiamenti su scala nazionale è molto complesso – sottolinea Gori -, è invece più facile farlo in una scala piccola, dove si possono misurare i risultati, fare delle valutazioni e se c’è qualcosa che ha funzionato, allora poterlo condividere anche con altri».