Covid e disabilità, verso percorsi dedicati?

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Covid e disabilità, verso percorsi dedicati? Risponde l’Ufficio disabilità del governo

Redattore Sociale del 04/12/2020

Intervista ad Antonio Caponetto. “Bisogna uscire dalla logica dei ‘percorsi speciali’, per progettare strutture e servizi più accessibili a tutti”. Su diritto all’assistenza in ospedale da parte dei caregiver, “il governo sta lavorando per ridurre quantomeno le rigidità che si traducono, purtroppo, in situazioni di estrema sofferenza. Difficile avere un protocollo unico”. Tra le priorità, la deistituzionalizzazione 

ROMA. Finisce sotto accusa, l’ospedale Cardarelli di Napoli, per non aver assicurato a una donna con sindrome di Down, ricoverata per sintomi di Covid, “percorsi ad hoc”. Secondo la denuncia della madre, respinta dall’ospedale dopo le necessarie verifiche interne, la paziente sarebbe stata anche legata al letto. Che ci sia stata o meno contenzione fisica, quel che appare certo è che questa donna non abbia ricevuto un’assistenza adeguata alle sue particolari condizioni ed esigenze. E’ l’ennesimo capitolo di una lunga storia, che racconta del difficile rapporto tra disabilità e ospedale: un rapporto che si fa ancor più complicato ora, con la pandemia in corso, un sistema sanitario in affanno e la necessità di contenere i contagi. Alcune associazioni di caregiver famigliari, come Oltre lo sguardo onlus ed Hermes, da mesi chiedono che a questo problema si trovi soluzione: ultimamente, hanno inviato al ministro della Salute Speranza e ad altri referenti istituzionali una proposta di protocollo, in cui chiedono tra l’altro il diritto di accesso ai reparti Covid per i caregiver familiari, qualora sia ricoverato un paziente non autosufficiente.
Ha ricevuto questa proposta anche Antonio Caponetto, capo dell’Ufficio per le politiche in favore delle persone con disabilità, a cui abbiamo chiesto se e come il governo intenda affrontare il problema. 
Nel 2013 è stata siglata la Carta per i diritti delle persone con disabilità in ospedale, che ha lo scopo di garantire a queste l’adeguata e personalizzata assistenza durante le cure e i ricoveri. Pensate che, ad oggi, gli ospedali italiani siano in grado, indipendentemente dalla pandemia, di accogliere adeguatamente chi ha bisogni ed esigenze particolari?
La pandemia ci ha ricordato quelli che sono i settori essenziali e che non vanno assolutamente mai trascurati. Sicuramente nel medio e nel lungo periodo ci saranno importanti investimenti, da parte del governo, sul comparto sanitario per colmare le carenze strutturali che si sono purtroppo evidenziate durante l’emergenza in alcuni territori. Per quanto riguarda la presa in carico di pazienti con disabilità da parte di strutture pubbliche o private, bisogna uscire innanzitutto dalla logica dei “percorsi speciali”. Progettare un ospedale “a misura” di persone con disabilità significa progettare strutture e servizi più accessibili “a tutti”, senza ricorrere a interventi ex post che rischiano soltanto di esasperare la discriminazione, reale o percepita, di questi pazienti particolarmente fragili e delle loro famiglie. Un paese più accessibile lo è per tutti, e questo deve essere il nostro obiettivo.
La pandemia ha aggravato il problema dell’accesso a cure adeguate per le persone con disabilità: diverse storie ci dimostrano quanto la presenza del caregiver rappresenti essa stessa una cura. Come conciliare prevenzione del contagio (tramite la chiusura e la protezione dei reparti) e necessità assistenziali particolari?
Le storie che lei cita sono episodi drammatici, che non avremmo mai voluto leggere. Purtroppo questa emergenza sanitaria ci sta dimostrando come, soprattutto in presenza di squilibri strutturali, è difficilissimo conciliare il diritto alla salute con altri diritti ugualmente fondamentali. Eppure, è compito dello Stato garantire il raggiungimento di quell’equilibrio, sempre. A marzo, come Ufficio e di concerto con altre amministrazioni competenti, abbiamo dovuto prendere la difficilissima scelta di chiudere i centri diurni per disabili, per prevenire il più possibile il rischio di contagio fra persone particolarmente fragili ed esposte al virus. In questo caso, come in altri, ha prevalso il principio di massima precauzione. In altre occasioni, invece, tanto dipende dalle scelte delle direzioni sanitarie che meglio conoscono le situazioni sulle quali intervenire. Purtroppo, anche in questo caso abbiamo capito che non può esistere un modello univoco di intervento per fronteggiare il rischio di contagio e di focolai. Questo è anche il più grande insegnamento che ci ha consegnato la pandemia.
I caregiver familiari, tramite associazioni e comitati, stanno chiedendo a gran voce, dall’inizio della pandemia, percorsi Covid dedicati per le persone con disabilità: dai tamponi a domicilio e/o in sedazione al ricovero del caregiver insieme alla persona con disabilità. Il governo sta provando a recepire queste richieste? In che modo?
Trattasi di richieste comprensibili e legittime, segno – come detto – della difficoltà nel conciliare il diritto alla salute con altri e fondamentali diritti, ma anche e soprattutto della presenza di gravi carenze a carico del nostro sistema sanitario. Nello specifico, le richieste che giungono da queste associazioni e da questi comitati hanno, tutte, un minimo comune denominatore: l’incapacità di riconoscere, adattarsi e rispondere ai bisogni di assistenza e sostegno alla persona con disabilità. Ciò detto, il governo farà quanto possibile per introdurre misure che, correggendo le rigidità del sistema e prestando particolare attenzione alle condizioni di maggiore vulnerabilità, ci aiutino tutti ad uscire fuori da questa emergenza. Il tema sarà, poi, farne tesoro e correggere strutturalmente il sistema, perché la pandemia ne ha soltanto esacerbato e reso palesi le carenze, con conseguenti ricadute in termini di violazione dei diritti.
In particolare, è forte la richiesta di accesso ai reparti Covid, qualora qui fosse ricoverato un familiare con disabilità. Quale difficoltà comporta la realizzazione di questa possibilità?
L’estrema contagiosità di questo virus rende difficilissimo stilare dei protocolli univoci che valgano per tutte le situazioni e bisogna muoversi, specialmente in ambito ospedaliero, seguendo il principio della prudenza massima. Tuttavia, è chiaro che le persone non autosufficienti necessitano di assistenza particolare, fisica ma anche psicologica. Ancora una volta, la maggiore difficoltà sta nel fatto che questa emergenza sanitaria riguarda una malattia infettiva, senza dimenticare il fatto che è molto complicato, al livello centrale, stilare un protocollo che possa valere in maniera univoca su tutte le strutture sanitarie, per tutti i pazienti, per tutti i livelli di degenza. Come detto prima, il governo sta lavorando per ridurre quantomeno queste rigidità che si traducono, purtroppo, in situazioni di estrema sofferenza.
Indipendentemente dalla pandemia, il caregiver che presti assistenza in ospedale al suo familiare con disabilità non riceve alcun supporto, spesso neanche pasto e letto all’interno della struttura ospedaliera: pensate sia possibile e ritenete sia opportuno garantire ai caregiver un’accoglienza adeguata, in caso di ricovero dei loro cari?
Le persone che si prendono cura dei loro cari a tempo pieno meritano sicuramente un trattamento dignitoso, e questo a tutti i livelli, compresi naturalmente i casi in cui l’assistito si trovi ricoverato in una struttura ospedaliera. Nel percorso che il governo sta portando avanti in materia di caregiver, di cui fa parte l’aumento strutturale del fondo dedicato in legge di Bilancio, ci sarà sicuramente un lavoro importante su questi aspetti di cui lei ha segnalato un esempio significativo. Sono interventi che possono sembrare minimi, ma che fanno una grande differenza nella vita di queste persone.
Più in generale, quali crede che siano le carenze che bisognerebbe al più presto affrontare, per rendere le persone con disabilità meno fragili nel contesto della pandemia e al di fuori di questo?
Bisogna innanzitutto puntare sul concetto di de-istituzionalizzazione, tanto più che l’emergenza sanitaria ci ha appunto insegnato come la costruzione di percorsi e procedure “standard” finiscano per diventare elementi di rischio nei momenti di più difficile gestione. Il sistema di welfare deve puntare a percorsi più inclusivi e non “speciali”. Vanno finanziati interventi che mirino al raggiungimento della vita indipendente, vanno invece scoraggiate quelle iniziative basate sulla logica della mera “protezione”. Da questo punto di vista, rappresentano degli strumenti importanti la legge 112/2016 (c.d. Dopo di noi), per la quale è stato da poco istituito un tavolo di lavoro presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, e la legge 328/2000 sul progetto individuale, che ha l’obiettivo di interpretare i bisogni e le potenzialità della persona, in ogni dimensione o ambito del vivere, e durante tutte le fasi della vita.

di Chiara Ludovisi